Terremoto io non rischio
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Terremoto io non rischio
Campagna nazionale sulla riduzione del rischio sismico Manuale per i volontari formatori Iniziativa promossa da t Dipartimento della Protezione Civile t ANPAS In collaborazione con t Ingv – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia t Consorzio ReLUIS – Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica In accordo con t Regioni e Comuni interessati Con la partecipazione di t Associazioni nazionali ANA, ANAI, AVIS, FIR-CB, Legambiente, Misericordie d’Italia, PROCIV-ARCI, Psicologi per i Popoli, RNRE, UCIS e UNITALSI CAMPAGNA “TERREMOTO - IO NON RISCHIO” Moduli didattici per la formazione dei volontari Maggio - Giugno 2012 INDICE Parte Prima: La campagna Il servizio nazionale della protezione civile . . . . . . . . . . . 5 Il volontariato di protezione civile . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 “Terremoto io non rischio” Campagna nazionale per la riduzione del rischio sismico . . . 9 Parte Seconda: Cosa comunicare Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 Memoria storica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 Pericolosità sismica Perché i terremoti causano danni e distruzione? . . . . . . . . 20 Vulnerabilità sismica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 Rischio sismico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 Prevenzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 Parte Terza: Come comunicare Tecniche di comunicazione Storytelling . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46 Una rete per non finire nella rete . . . . . . . . . . . . . . . . . 54 Comunicare con un gioco Totem io non rischio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57 Semplificazione del linguaggio Obiettivo: farsi capire! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 Comunicazione interpersonale Faccia a faccia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62 Comunicare con il corpo La comunicazione non verbale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 Nuovi strumenti di comunicazione per la formazione La formazione continua... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 Glossario . 67 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71 1 PARTE PRIMA: LA CAMPAGNA IL SERVIZIO NAZIONALE DELLA PROTEZIONE CIVILE I n Italia la protezione civile è un “Servizio Nazio- ad assicurare i primi soccorsi alla popolazione, conale”, un sistema complesso e decentrato che è ordinando le strutture operative locali, tra cui i costituito da componenti e strutture operative. gruppi comunali di volontariato di protezione civile. Se il Comune non riesce a fronteggiare l’emerComponenti: governi regionali, le autonomie lo- genza - evento di tipo “a” - su sua richiesta cali e le amministrazioni centrali – Ministeri, Re- intervengono la Provincia, gli Uffici territoriali di gioni, Province, Comuni. Sono componenti anche governo, cioè le Prefetture, e la Regione, che attitutti i soggetti coinvolti, a vario titolo, in eventi di vano le risorse di cui dispongono - evento di tipo protezione civile: enti pubblici, istituti e gruppi di “b”. Nelle situazioni più gravi, su richiesta del Goricerca scientifica, istituzioni e organizzazioni verno regionale, subentra il livello nazionale, con anche private, cittadini e gruppi associati di volon- la dichiarazione dello stato di emergenza - evento tariato civile, ordini e collegi professionali - art di tipo “c”. In questo caso il coordinamento dell’in6, legge n. 225 del 1992. tervento viene assunto direttamente dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che opera tramite il DiStrutture operative: corpi organizzati come i partimento della Protezione Civile. Vigili del Fuoco, le Forze Armate e dell’Ordine, il Corpo Forestale, il Soccorso Alpino, la Croce Rossa In tempo ordinario. Le Amministrazioni sono e le strutture del Servizio sanitario nazionale. Tra impegnate, ad ogni livello, in attività di previsione questi, hanno assunto negli ultimi anni un ruolo di e nella programmazione di azioni di prevenzione e particolare importanza le Organizzazioni di volon- di mitigazione dei rischi. In questo processo è centariato di protezione civile, che, in questi anni, sono trale il coinvolgimento della comunità scientifica, cresciute in ogni area del Paese sia in numero sia che rappresenta una delle componenti del Servizio in termini di capacità operativa e di specializza- Nazionale, e l’informazione ai cittadini, che è di rezione e rappresentano la risorsa più numerosa del sponsabilità del Sindaco, autorità di protezione cisistema - art. 11 della legge n. 225 del 1992. vile sul territorio. Attività del Servizio Nazionale L a legge n. 225 del 1992, che ha istituito il Servizio Nazionale di Protezione Civile, ha codificato le sue quattro attività fondamentali: previsione, prevenzione, emergenza e ripristino. Le attività sono basate sul concorso di diverse amministrazioni, pubbliche e private, che partecipano sulla base di una precisa classificazione degli eventi, di tipo “a”, “b” e “c”. Legislazione e decentramento N el 1992 la legge 225 che istituisce il Servizio Nazionale affida al Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri un ruolo di indirizzo e coordinamento. Dal 1998 inizia un percorso verso il decentramento dallo Stato ai Governi regionali e alle Autonomie locali, che coinvolge anche l’organizzazione del Servizio Nazionale. Il decreto legislativo n. 112, meglio conosciuto come “Decreto Bassanini”, trasferisce alIn emergenza. In caso di eventi che colpiscono cune competenze in materia di protezione civile un territorio, il Sindaco ha il compito di provvedere dallo Stato centrale al territorio. Il Dipartimento 5 mantiene funzioni di indirizzo e coordinamento, ma il coordinamento operativo in emergenza è ri- forza e si impone definitivamente nel nostro ordinamento il principio di sussidiarietà, già affermato servato agli eventi di tipo c, per i quali viene dichia- con la legge Bassanini. Il decentramento amminirato lo stato di emergenza sentito il Presidente strativo trova la sua completa realizzazione: la prodella Regione interessata. tezione civile diventa materia di legislazione concorrente e quindi, nell’ambito di principi geneel 2001, con la Legge Costituzionale n.3 che rali stabiliti da leggi dello Stato, di competenza remodifica il titolo V della Costituzione si raf- gionale. q N Per saperne di più: La Protezione civile nella storia http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/storia.wp Le componenti http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/componenti.wp Le strutture operative http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/strutture_operative.wp Gli organi centrali http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/organi_centrali.wp Le attività http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/attivita.wp 6 IL VOLONTARIATO DI PROTEZIONE CIVILE I l volontariato rappresenta una delle componenti più vitali del sistema italiano di protezione civile. Una risorsa straordinaria in termini di competenze e capacità operativa che conta oltre 4 mila organizzazioni in tutto il Paese. Il volontariato di protezione civile è costituito da uomini e donne che hanno deciso di mettere a disposizione gratuitamente tempo ed energie per proteggere la vita e l’ambiente. Per rendere più efficace la loro azione, i volontari di protezione civile sono associati in organizzazioni, grazie alle quali condividono risorse, conoscenze ed esperienze. Le organizzazioni di volontariato di protezione civile sono diverse per dimensioni, storia, approcci e specializzazioni. Affiancano le autorità di protezione civile in un’ampia gamma di attività, integrandosi con le altre componenti del sistema di protezione civile. Le organizzazioni che fanno parte del sistema sono iscritte in appositi registri. Cosa fa I l volontariato di protezione civile opera quotidianamente nell’ambito della previsione e della prevenzione dei rischi. In caso di calamità, interviene per prestare soccorso e assistenza alle popolazioni. Il contributo di professionalità e competenze diverse è indispensabile soprattutto nelle grandi emergenze. Il mondo del volontariato di protezione civile presenta una vasta tipologia di specializzazioni e abbraccia molti campi. Per citarne solo alcuni: il soccorso e l’assistenza sanitaria, l’antincendio boschivo, le telecomunicazioni, l’allestimento dei campi d’accoglienza, la tutela dei beni culturali. Essere preparati a svolgere i diversi compiti in situazioni di rischio è importante. Per questo motivo, per diventare volontario di protezione civile, è necessario rivolgersi a una organizzazione riconosciuta e seguire un percorso di formazione. Il Dipartimento della Protezione Civile e le regioni promuovono esercitazioni periodiche per migliorare la capacità di collaborazione tra il volontariato e le altre strutture operative del sistema. Una realtà multiforme O rganizzazioni nazionali, associazioni locali, gruppi comunali. Il volontariato di protezione civile è un mondo caratterizzato da una molteplicità di forme associative ben radicate sul territorio. Le grandi organizzazioni nazionali si caratterizzano per la presenza di una struttura di coordinamento centrale e una rete di sezioni distribuite su tutto il territorio nazionale. Il loro interlocutore principale è rappresentato dal Dipartimento della Protezione Civile. Le associazioni locali e i gruppi comunali, di piccole e medie dimensioni, sono espressione di uno specifico ambito territoriale. I gruppi comunali, in particolare, nascono con la partecipazione o sotto la spinta dell’amministrazione comunale, che ne disciplina con propria delibera la costituzione, l’organizzazione e la regolamentazione. Gli interlocutori principali di queste realtà associative sono i sistemi regionali di protezione civile. Il sostegno delle istituzioni L e istituzioni valorizzano il volontariato come espressione della cittadinanza attiva. Garantendone l’autonomia e promuovendone lo sviluppo. Le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri possono beneficiare di agevolazioni ed esenzioni fiscali, accedere a contributi e stipulare 7 ne disciplina le forme associative: convenzioni con enti pubblici. In particolare, il Dipartimento della Protezione Civile e le Regioni promuovono il volontariato organizzato di protezione civile sostenendo progetti finalizzati a migliorare le capacità operative dei volontari, accrescere la sinergia tra il volontariato e le altre componenti del sistema e formare i cittadini alla cultura di protezione civile. Il volontariato nel sistema di protezione civile http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_ prov.wp?facetNode_1=f1_5&prevPage=provvedimenti&catcode=&contentId=LEG21151 La legge 225/1992 istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile e individua il volontariato come struttura operativa del Servizio, indicandone gli ambiti di attività: http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_ n Italia la protezione civile è una funzione attri- prov.wp?contentId=LEG1602 buita a un sistema complesso, il “Servizio Nazionale”, che opera nel rispetto del principio di La DPR 194/2001 disciplina la partecipazione sussidiarietà. Questo sistema è coordinato dal Di- delle organizzazioni di volontariato alle attività di partimento della Protezione Civile, dalle Regioni e protezione civile, dall’iscrizione ai registri ai benedagli Enti locali. Al volontariato la legge attribuisce fici previsti per i volontari iscritti: il ruolo di “struttura operativa”, insieme ai Vigili del Fuoco, le Forze Armate e di Polizia, il Corpo Fore- http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_ stale dello Stato, la comunità scientifica, la Croce prov.wp?contentId=LEG20554 I Rossa Italiana, il Servizio Sanitario Nazionale e il Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico. Normativa di riferimento Il decreto del 13/04/2011 contiene disposizioni in attuazione del Dlgs 81/2011 a tutela della salute e della sicurezza dei volontari di protezione civile: L a legge 266/1991 definisce il volontariato http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_ come attività personale, spontanea e gratuita e prov.wp?contentId=LEG26529 q Per saperne di più Volontariato http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/volontariato.wp Il ruolo del volontariato nel Servizio nazionale http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/il_ruolo_del_volontariato.wp Il percorso della sicurezza per i volontari di protezione civile http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS30059 La Consulta nazionale del volontariato http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_dossier.wp?contentId=DOS22573 Stati generali del volontariato http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/stati_generali.wp 8 “TERREMOTO IO NON RISCHIO” CAMPAGNA NAZIONALE PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO SISMICO T erremoto - io non rischio” è un’iniziativa per la riduzione del rischio sismico promossa dalla Protezione Civile e dall’Anpas-Associazione Nazionale delle Pubbliche Assistenze, in collaborazione con l’Ingv-Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e con ReLuis-Consorzio della Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica. La campagna, giunta alla seconda edizione, si svolge il 13 e 14 ottobre 2012 nelle piazze di più di 100 comuni italiani a elevato rischio sismico in diverse regioni d’Italia. Protagonisti di questa campagna sono i volontari di protezione civile, formati sul tema del rischio sismico, che istruiscono a loro volta altri volontari, diventando quindi attori di un processo di diffusione della conoscenza. Nelle due giornate nelle piazze i volontari saranno impegnati a distribuire materiale informativo e a rispondere alle domande dei cittadini sulle possibili azioni da fare per ridurre il rischio sismico. Obiettivo della campagna è promuovere una cultura della prevenzione, formare un volontario più consapevole e specializzato ed avviare un processo che porti il cittadino ad acquisire un ruolo attivo nella riduzione del rischio sismico. Imparare a prevenire e ridurre le conseguenze dei terremoti è un compito che riguarda tutti: diffondere informazioni sul rischio sismico è una responsabilità collettiva a cui tutti i cittadini devono contribuire. Oltre all’Anpas, saranno coinvolte nell’iniziativa altre organizzazioni di volontariato di protezione civile: l’Ana - Associazione Nazionale Alpini, l’Anai - Associazione Nazionale Autieri d’Italia, l’Avis - Associazione Volontari Italiani del Sangue, la Fir-CB Federazione Italia Ricetrasmissioni Citizen’s Band, Legambiente Onlus, la Confederazione Nazionale delle Misericordie d’Italia, la Prociv Arci - Associa- zione Nazionale Volontari per la Protezione Civile, la Federazione Psicologi per i Popoli, il Rnre - Raggruppamento nazionale Radiocomunicazioni Emergenza, le Ucis - Unità cinofile italiane da Soccorso e l’Unitalsi - Unione Nazionale Italiana Trasporto Ammalati a Lourdes e Santuari Internazionali. Nel 2011, l’iniziativa si è svolta il 22 e 23 ottobre nelle piazze di nove comuni italiani a elevato rischio sismico della Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Toscana, in accordo con i Comuni e le Regioni coinvolte. I temi della formazione L a formazione riguarda: la memoria storica dei terremoti, la pericolosità sismica del territorio e la vulnerabilità del patrimonio edilizio, la riduzione del rischio sismico, il ruolo dello Stato e del cittadino nell’azione di prevenzione e la comunicazione del rischio sismico.In programma anche alcuni approfondimenti sul Servizio Nazionale della Protezione civile, sul ruolo del volontariato nel Servizio Nazionale e sulla normativa relativa al volontariato. Gli strumenti di comunicazione Stand informativi. I volontari di protezione civile formati sul rischio sismico danno informazioni ai cittadini, nelle piazze dei comuni individuati, sulla pericolosità del territorio e sulle norme di comportamento da adottare in caso di terremoto. Pieghevole. Spiega in termini semplici cosa deve sapere il cittadino per imparare a prevenire e ridurre i danni dei terremoti e cosa può fare nella 9 propria casa, con il consiglio di un tecnico, oppure Questionario. Realizzato per comprendere da solo, fin da subito. quale sia il livello di consapevolezza e conoscenza del rischio sismico da parte dei cittadini, da distriLocandina. Informa i cittadini sulla data dell’ini- buire anche nelle scuole prima della manifestaziativa e sul luogo dell’appuntamento. zione. Scheda. Contiene informazioni utili a tutta la faTotem. Il totem è una installazione composta miglia sui comportamenti da adottare durante il da scatoloni sovrapposti, colorati e illustrati, che terremoto e subito dopo. La scheda può essere con- contiene piccole proposte di interazione per faciservata e anche appesa. litare la comunicazione tra volontari e cittadini. q Per saperne di più: La campagna “Terremoto io non rischio 2011” http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/terremoto_io_non_rischio.wp 10 PARTE SECONDA: COSA COMUNICARE INTRODUZIONE I terremoti costituiscono una delle ipotesi di rischio più reale per l’Italia. Oltre ai terremoti del 1997 in Umbria-Marche, del 2002 in Molise-Puglia, e a quello recente del 2009 in Abruzzo, ancora vivo nelle menti degli italiani restano i ricordi dei devastanti terremoti del 1976 in Friuli e del 1980 in Campania-Basilicata. E’ opinione diffusa che l’Italia sia un paese ad alto rischio sismico. E’ opportuno chiarire quale significato vada attribuito al termine rischio sismico, in modo da poter identificare i fattori sui quali é possibile e necessario incidere per giungere ad una sua riduzione. Per rischio sismico si intende la valutazione probabilistica dei danni materiali, economici e funzionali che ci si attende in un dato luogo ed in un prefissato intervallo di tempo, a seguito del verificarsi di un dato terremoto. Esso é frutto del prodotto concomitante di tre fattori: pericolosità sismica, vulnerabilità sismica ed esposizione. L a pericolosità sismica (spesso definita anche sismicità) è costituita dalla probabilità che si verifichino terremoti di una data entità, in un data zona ed in un prefissato intervallo di tempo; essa dipende dalla intensità, frequenza e mutevolezza dei sismi che possono interessare quella zona. L a vulnerabilità sismica misura la predisposizione di una costruzione, di una infrastruttura o di una parte del territorio a subire danni per effetto di un sisma di prefissata entità; essa é, in sostanza, una misura della incapacità, congenita e/o dovuta ad obsolescenza, di resistere ad azioni simiche. L ’esposizione é costituita dal complesso dei beni e delle attività che possono subire perdite per effetto del sisma. A titolo di esempio si consideri una zona desertica caratterizzata da una forte sismicità; essa non può essere definita ad alto rischio sismico, in quanto alcun danno a persone o cose può verificarsi anche a seguito di un forte terremoto (vulnerabilità ed esposizione nulle). A nche al significato da attribuire al termine previsione é bene dedicare alcune considerazioni. Se si pensa che essa possa condurre alla individuazione del momento preciso in cui si verificherà un terremoto, é bene chiarire che tale atteggiamento, oltre che inutilmente dispendioso, é anche dannoso in quanto, alimentando speranze infondate, devia l’attenzione da quella che può e deve essere una responsabile strategia di difesa dai terremoti. L’analisi statistica della sismicità storica consente di risalire alla frequenza (periodo di ritorno) con la quale un terremoto di una determinata intensità può presentarsi in una data zona. Tale risultato, affiancato da considerazioni di carattere socio-politico effettuate su scala nazionale e basate sulle risorse disponibili per fronteggiare tutti i diversi scenari di rischio (analisi costi-benefici), porta alla definizione del livello di protezione da garantire alle diverse aree (rischio sismico accettabile). Si perviene, in definitiva, alla divisione del territorio nazionale in zone ad uguale pericolosità sismica, realizzando la cosiddetta zonazione sismica. Va però rilevato come in Italia si siano avuti danni significativi anche a seguito di eventi sismici più deboli rispetto a quelli verificatisi in altre parti del mondo. La causa di ciò va attribuita alla vulnerabilità del patrimonio edilizio esistente. Avendo messo in relazione il livello di rischio con i danni, appare a questo punto chiaramente come la concomitanza di una pericolosità medio-alta e di una elevata vulnerabilità producano livelli di rischio significativii. Nei capitoli che seguono i diversi temi, dalla sismicità storica, alle componenti del rischio sismico, ai possibili interventi per la riduzione del rischio, saranno approfonditi con riferimento ai contenuti del pieghevole informativo utilizzato per la campagna “Terremoto. Io non rischio”. q 13 MEMORIA STORICA a cura di Romano Camassi L’ITALIA È UN PAESE SISMICO. Negli ultimi mille anni, circa 3000 terremoti hanno provocato danni più o meno gravi. Quasi 300 di questi hanno avuto effetti distruttivi (cioè con una magnitudo superiore a 5.5) e addirittura uno ogni dieci anni ha avuto effetti catastrofici, con un’energia paragonabile al terremoto dell’Aquila del 2009. Tutti i comuni italiani possono subire danni da terremoti, ma i terremoti più forti si concentrano in alcune aree ben precise: nell’Italia Nord-Orientale (Friuli Venezia Giulia e Veneto), nella Liguria Occidentale, nell’Appennino Settentrionale (dalla Garfagnana al Riminese), e soprattutto lungo l’Appennino Centrale e Meridionale, in Calabria e in Sicilia Orientale. Tu vivi in una zona ad alta pericolosità sismica, dove già in passato si sono verificati forti terremoti. Quello che sappiamo sui terremoti sti terremoti; non ci dicono il “quando”, se non per il passato (bella forza, direte voi: ma vedremo ui terremoti, oggi, sappiamo molte cose, e quanto questo sia importante). quello che sappiamo deriva in gran parte semplicemente dall’osservazione, confortata da qual- “Dove” avvengono, “quanto forti” e, forse, “quanto che modello. I terremoti hanno origine dove la spesso” sono interrogativi importanti, molto imcrosta è più fragile: le rocce si fratturano esatta- portanti. Ma conosciamo le risposte? S mente come farebbe un mattone schiacciato da una morsa o sottoposto a trazione e soggette a questi sforzi le rocce tendono a rompersi sempre lungo le stesse fratture. Per questo, già da molto tempo siamo in grado di disegnare mappe della sismicità mondiale che mostrano chiaramente che i terremoti più forti si concentrano prevalentemente in fasce limitate del globo, dove le tensioni sono più forti a causa delle collisioni fra i margini delle placche; con energia minore, tuttavia, possono avvenire praticamente dappertutto, dato che la litosfera è rigida e tutt’altro che a riposo. L’energia accumulata per decine, centinaia o migliaia di anni e rilasciata nel giro di pochi secondi si propaga velocemente e può scuotere, deformare e danneggiare tutti gli edifici co- Sempre più indietro, nel tempo I terremoti, vale la pena ripeterlo, non capitano a caso: tendono a ricorrere sempre nelle stesse zone. È quindi importamte studiare quelli già avvenuti, tramite le informazioni registrate dagli strumenti, gli effetti prodotti sugli edifici e le tracce che hanno lasciato nell’ambiente: in questo modo possiamo definire la “sismicità” del nostro territorio. Per i terremoti più recenti abbiamo i dati dei sismometri, ma solo da pochi decenni esiste una moderna ed efficiente rete di osservazione. Per gli eventi più vecchi non resta che studiare i documenti storici o le tracce lasciate nelle opere dell’uomo e nel paesaggio. Dalle informazioni storiche e strumentali si ottengono i parametri essenziali (una sorta di carta Queste mappe ci dicono “dove” avvengono i ter- di identità) dei terremoti: data e ora, localizzazione remoti, soprattutto quelli più forti; in qualche caso dell’epicentro, intensità e (direttamente o indiretrendono evidente “quanto spesso” accadono que- tamente) magnitudo e profondità. struiti. 14 Di strumenti di ‘misura’ del terremoto ne esistono un esempio) attraverso la raccolta e interpretafin dall’antichità, ma possiamo parlare di osserva- zione di informazioni sugli effetti prodotti dal terzione strumentale dei terremoti solo da quando esistono le moderne reti sismiche; a livello mondiale una data spartiacque è il 1964, mentre per l’Italia solo dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980 si sviluppa una vera rete sismica: disponiamo quindi di dati strumentali di buona qualità e con una buona copertura territoriale solo per gli ultimi 25-30 anni. Le mappe che rappresentano la sismicità strumentale del territorio italiano (in rete se ne trovano facilmente dal 1981 ad oggi) sono interessanti, perché rendono evidente quanto sia frequente e diffusa la sismicità. Tuttavia i processi geologici che producono un terremoto hanno tempi molto lunghi: decenni, centinaia (per i terremoti più forti), in qualche caso migliaia di anni. Per questo per sapere “dove”, “quanto forti” ed eventualmente “quanto spesso” occorre una finestra di osservazione molto, molto più grande. Per fare questo occorrono reti di osservazione molto diverse da quelle strumentali: le principali (non uniche) sono quelle che ricostruiscono la sismicità di un territorio attraverso lo studio degli effetti che i terremoti del passato hanno prodotto; è il lavoro che fanno la macrosismologia e la sismo- remoto sul maggior numero possibile di località potenzialmente interessate; tali informazioni sono interpretate, “classificate” in una “graduatoria” crescente di intensità previste da una scala macrosismica. Come la Scala Mercalli, ad esempio (ma la versione attuale, in italia, si chiama Mercalli-Cancani-Sieberg “MCS”, e ne esiste una versione europea più raffinata, la European macroseismic Scale, appunto “EMS”). Il singolo grado di intensità (dal II all’XI, per semplificare, anche se i gradi sono 12) classifica, “ordina” l’insieme degli effetti (su persone, cose, edifici) osservati in una località, cioè su un insieme rappresentativo di persone e edifici. L’effetto su una o un piccolo numero di persone o edifici potrebbe essere influenzato in modo determinante da condizioni particolari. I n qualche modo ogni singola località funziona, con questa tecnica, come una sorta di sismometro, di stazione sismica. La singola osservazione ci dice ben poco sul terremoto; la distribuzione degli effetti osservati su qualche decina o centinaia di località (più sono meglio è) ci consente di ricavare i parametri del terremoto (soprattutto localizzazione e stima dell’energia), che a volte possono essere estremamente accurati, e comunque del tutto Fig. 1 – Schema semplificato dell’arco cronologico studiato dalle diverse discipline logia storica, soprattutto. confrontabili con quelli strumentali. Oltre a fornire informazioni ulteriori, quali ad esempio le carattea macrosismologia è la disciplina (la tecnica) ristiche di propagazione dell’energia, eventuali efche studia un terremoto (anche uno recente, fetti di amplificazione e molto altro ancora. Ogni incluso quello di l’Aquila del 6 aprile 2009, per fare grado di intensità definisce un particolare scenario L 15 di effetti dello scuotimento; la descrizione di ogni singolo grado della scala macrosismica è molto La storia sismica L a disciplina che più di tutte contribuisce a deestesa e ben più complessa delle sintesi super-semfinire le caratteristiche della sismicità estenplificate comunemente note e la sua applicazione dendo “all’indietro” la finestra di osservazione è, obbedisce a regole molto rigorose. come detto, la sismologia storica. Indicativamente tale finestra oggi si estende, in Italia, a circa 1.000 ’insieme di tutte le osservazioni macrosismianni fa (e anche qualcosa di più), anche se per i seche, di tutte le stime di intensità riferite a un coli più antichi è lontana dall’intercettare tutti i tersingolo terremoto, vengono poi elaborate in modo remoti importanti. Altre discipline aggiungono formalizzato, in modo da calcolare un epicentro del informazioni su alcuni grandi terremoti, ancora più terremoto stesso e un valore di magnitudo, che antichi: come l’archeologia sismica o la paleosismoviene calibrato nel tempo con tutti i dati strumenlogia, che cerca di riconoscere le dislocazioni di tali disponibili. Questa stessa procedura viene utigrandi terremoti di migliaia o decine di migliaia di lizzata per studiare terremoti di dieci, cinquanta o anni fa direttamente sulle faglie. A tutt’oggi la sicinquecento anni fa. L’unica differenza è che in smologia storica italiana conosce circa 3.000 terreluogo dell’osservazione diretta degli effetti si utimoti (costituiti normalmente sa sequenze, a volte lizzano testimonianze storiche: descrizioni, diari, molto complesse) che negli ultimi mille anni circa cronache, materiali giornalistici, documenti tecnici hanno prodotto danni; non sono tutti i terremoti o amministrativi; tutti materiali raccolti e interpre“forti” che si sono verificati in Italia in questo miltati con le tecniche proprie della ricerca storica lennio, ma ci danno un’idea abbastanza rappresenquantitativa, la stessa che studia la storia econotativa di quella che è la sismicità reale. L’immagine mica, ad esempio. Per questo la memoria storica, complessiva, che abbiamo visto tutti quanti molte intesa nel senso più estensivo, è davvero importante. Il nostro paese ha una tradizione gigantesca di produzione, conservazione e studio di documentazione storica. Paradossalmente è spesso più difficile studiare un evento di cinquanta anni fa, piuttosto che quello di trecento anni fa. Ci sono terremoti di trecento anni fa per i quali disponiamo di documentazione ricchissima, incluse perizie tecniche (di muratori o architetti) casa per casa; per uno dei terremoti più importanti della storia sismica italiana, quello che nel 1456 danneggia gravemente una vasta area appenninica fra l’Abruzzo meridionale e la Basilicata, abbiamo informazioni su circa duecento località; e così per i terremoti calabri del 1638, quello molisano-campano del 1688, quello irpino del 1694, ecc.. Quando la documentazione sugli effetti di un terremoto è molto ricca, sia come dettaglio che per numero di località documentate, i parametri che ne ricaviamo sono molto accurati, Fig. 2 – Mille anni di forti terremoti in Italia al livello dei migliori dati strumentali. [Mw 5.5] - www.emidius.mi.ingv.it/CPTI11) L 16 volte e facilmente rintracciabile in rete, è un terri- Augusta, a quello recentissimo del 13 dicembre torio che ha una sismicità molto diffusa, ma dove i 1990 (Mw 5.7). La sismicità dell’area Etnea è molto terremoti più forti avvengono solo in alcune zone. intensa, seppure di energia non elevata, ed è spesso collegata a fasi eruttive del vulcano; significativa uasi 300 terremoti hanno avuto una magnianche la sismicità dell’area montuosa dei Peloritudo superiore a 5.5 (in grado cioè di produrre tani-Nebrodi-Madonie, mentre è stata molto imdanni gravi) e quasi uno ogni 10 anni, di media portante la sequenza sismica che nel 1968 ha (negli ultimi 600 anni), ha avuto una energia paracolpito la Valle del Belice, con effetti distruttivi. gonabile al terremoto dell’Aquila del 2009, uno ogni trent’anni (negli ultimi 400) di energia paragonabile o superiore al terremoto dell’Irpinia del 1980. lcune delle sequenze più drammatiche della Quasi tutte le località italiane possono subire danni storia sismica italiana colpiscono la Calabria da terremoti, ma i terremoti più forti si concen- centro-meridionale (e la Sicilia nord-orientale): a trano in alcune aree ben precise: nell’Italia Nord- partire da quella che nei primi mesi del 1783 (fra Orientale (Friuli Venezia Giulia e Veneto), nella il 5 febbraio e il 28 marzo in particolare, due eventi Liguria Occidentale, nell’Appennino Settentrionale di Mw 7) ne sconvolge il paesaggio naturale e co(dalla Garfagnana al Riminese), e soprattutto lungo struito; su una scala temporale diversa una sel’Appennino Centrale e Meridionale, in Calabria e quenza altrettanto catastrofica si verifica all’inizio Sicilia Orientale. del secolo scorso, con i grandi terremoti dell’8 set- Q A Un viaggio nel tempo, dal Sud al Nord U no dei terremoti più forti della storia sismica italiana, se non il più forte in assoluto (Mw intorno a 7.4) è quello della Sicilia sud-orientale del gennaio 1693. Le due scosse principali si ebbero il 9 e 11 gennaio e produssero devastazioni in circa 70 località della Sicilia sud-orientale. Catania, Augusta e molti paesi del Val di Noto furono totalmente distrutti; parecchie località furono ricostruite in un luogo diverso. Le vittime furono circa 60.000. Ci furono vistosi sconvolgimenti del suolo in un’area molto vasta. I danni si estesero dalla Calabria meridionale a Malta e da Palermo ad Agrigento. Il terremoto fu fortemente avvertito in tutta la Sicilia, in Calabria settentrionale e in Tunisia. Effetti di maremoto si ebbero lungo la costa orientale della Sicilia da Messina a Siracusa. Le repliche continuarono per circa 2 anni. Proprio Siracusa è uno dei punti di osservazione più importanti dell’area e la sua storia simica è segnata dagli effetti distruttivi di terremoti: da quelli del 1125 e del 1169, su cui poco sappiamo, a quello del 1542 (Mw 6.7), che produsse danni gravi anche a Catania e tembre 1905 e del 28 dicembre 1908 (entrambi di Mw intorno a 7), intercalati da un evento ‘minore’ (23 ottobre 1907, Mw 5.9). Anche la Calabria centrale ha una storia sismica importante: la sequenza più importante è quella che la devasta nel 1638. Il 27 marzo (Mw 7) molti centri lungo la fascia tirrenica tra Nicotera e Cosenza subirono distruzioni e crolli diffusi, una ventina furono totalmente distrutti. Furono gravemente danneggiate anche le città di Catanzaro e, soprattutto, Cosenza, dove centinaia di case crollarono o divennero inagibili. Le vittime furono diverse migliaia. L’8 giugno dello stesso anno un nuovo fortissimo terremoto (Mw 6.9) colpì il versante ionico della regione, in particolare il crotonese. Diverse località nell’area del Marchesato e sul versante orientale della Sila subirono crolli e gravi distruzioni. Catanzaro, già fortemente danneggiata dal terremoto di marzo, fu semidistrutta e interi palazzi crollarono completamente. Danni molto gravi anche a Crotone. Il cosentino è colpito negli ultimi secoli da diversi terremoti di energia elevata (prossimi a Mw 6), seppure non distruttivi, quali quelli del 1767, del 1835, del 1854 e del 1870. 17 a sismicità maggiore della Basilicata si con- della storia sismica italiana, Mw 7.2) e del 5 giugno centra lungo la catena appenninica al confine 1688 nel Sannio; il terremoto di San Giuliano di Pucon la Campania; i terremoti storici più distruttivi glia del 2002, può essere considerato un evento di (Mw > 6.3) sono localizzati in Irpinia (8 settembre energia moderata (Mw 5.9), mentre ben più signi1694 e 23 novembre 1980); l’importante sequenza ficativo, in Regione, è il terremoto el 26 luglio 1805 del luglio-agosto 1561 è localizzata proprio al con- (Mw 6.6). fine fra Campania e Basilicata, mentre il terremoto nche nel Lazio la sismicità maggiore è localizdel 14 agosto 1851 è localizzato nel settore settenzata nelle aree appenniniche, in particolare trionale, al confine con la Puglia. Il terremoto del nelle province di Frosinone e Rieti; nel frusinate 16 dicembre 1857, di gran lunga il più importante l’evento più importante è quello del 24 luglio 1654 per la Basilicata, è localizzato in territorio regio(Mw 6.3), nel reatino il terremoto di Amatrice del nale; insieme a quello del 1694 e a quello, poco 10 ottobre 1639, di magnitudo poco inferiore a 6. noto, del 1273, produce danni molto gravi a PoTerremoti forti interessano anche il Viterbese, tenza. mentre decisamente più moderati, ma frequenti, a Campania è caratterizzata da una notevole at- sono i terremoti che si verificano nell’area dei Colli tività sismica nelle aree appenniniche e da si- Albani. La città di Roma avverte sensibilmente i tersmicità moderata lungo la fascia costiera; i remoti di quest’ultima area, mentre gli effetti di terremoti storici più distruttivi (MW > 6.5) interes- danno sono storicamente prodotti da terremoti sano le due principali aree attive del territorio re- ‘lontani’, dell’Aquilano in particolare. gionale: l’8 settembre 1694, il 29 novembre 1732, na notevole attività sismica appenninica caratil 23 luglio 1930 e il 23 novembre 1980 in Irpinia, terizza l’Abruzzo, in particolare nei settori il 5 dicembre 1456 e il 5 giugno 1688 nel Sannio. della Valle dell’Aterno (2 febbraio 1703, Mw 6.7), La storia sismica di Avellino è segnata da effetti nella Conca del Fucino (13 gennaio 1915, Mw 7.0) molto gravi; quelli più drammatici sono per il tere nei Monti della Maiella (3 novembre 1706, Mw remoto del 29 novembre 1732 e quello del 5 giugno 6.8); altri terremoti importanti sono quelli localiz1688; ma nel 1456 e in altri 3 casi almeno (1805, zati a SE della città de L’Aquila (27 novembre 1461, 1930 e 1980) la città è danneggiata seriamente. Mw 6.4, e 6 ottobre 1762, Mw 6.0) e quello della iù a Est, in Puglia, la sismicità più importante Maiella del 26 settembre 1933 (Mw 5.9). interessa la Capitanata (20 marzo 1731, Mw mbria e Marche condividono pienamente 6.5) e il Gargano (30 luglio 1627, Mw 6.7; 31 magtutta la sismicità appenninica maggiore, molto gio 1646, Mw 6.6). Il terremoto che segna la storia frequente e particolarmente ben documentata. Uno di Foggia è quello del 1731: verso le 4 del mattino dei terremoti più forti è quello “di Colfiorito” del 30 del 20 marzo una fortissima scossa causò il crollo aprile 1279 (Mw 6.3), che colpisce le stesse aree del di circa un terzo degli edifici e danni gravi agli altri; terremoto del 26 settembre 1997 (Mw 6.0). Il tersubirono danni gravi vari centri della pianura fogremoto più violento di tutto l’Appennino centrogiana e delle colline circostanti (Cerignola, Ortasettentrionale è quello del 14 gennaio 1703 (Mw nova, Ascoli Satriano ecc.). A Foggia si contarono 6.7), che precede di un paio di settimane l’evento circa 500 vittime. aquilano, e ‘inaugura’ un secolo scandito da forti l Molise condivide con le regioni vicine gli effetti terremoti (fra i più importanti quelli del 1741 nel dannosi dei forti terremoti appenninici, in parti- Fabrianese, 1781 nel Cagliese e 1799 nel Camericolare quelli del 5 dicembre 1456 (uno dei più forti nese). Un terremoto importante per l’Umbria è L A L U P I 18 U quello della Valle del Topino del 13 gennaio 1832 (Mw 6.3), mentre nella zona costiera marchigiana e romagnola diversi terremoti, generalmente di magnitudo di poco inferiore a 6, producono danni nelle provincie di Ancona, Pesaro e Urbino e Rimini. ’Appennino settentrionale, fra Toscana ed Emilia Romagna, manifesta una sismicità decisamente contenuta, seppur molto variabile: dalla costa riminese, all’Appennino Forlivese (22 marzo 1661, Mw 6.1), al Mugello (29 giugno 1919, Mw 6.3) e alla Garfagnana diversi settori manifestano una sismicità importante che qualche volta supera Mw 6. Il terremoto più forte è certamente quello che colpisce la Garfagnana il 7 settembre 1920 (Mw 6.5). Alcuni villaggi dell’alta Garfagnana furono quasi completamente distrutti e una settantina di altre paesi, fra Fivizzano e Piazza al Serchio, subirono danni gravissimi e crolli estesi. Danni minori si ebbero in un’area molto ampia comprendente la Toscana nord-occidentale dalla Versilia alle province di Pisa e di Pistoia, la Riviera ligure di levante e parte dell’Emilia. L terremoti più importanti che interessano la Liguria (e il basso Piemonte) sono quelli che si verificano nel settore occidentale, fra i quali spicca il grande terremoto del 23 febbraio 1887 (Mw 6.9), probabilmente localizzabile a mare. Forti terremoti, ma di magnitudo inferiore a 6, sono localizzati sul versante francese (1564, 1618, 1644). Altri terremoti significativi, ma di energia non particolarmente elevata, si verificano in Val Pellice e in Val di Susa. mente ricordato dalle fonti, che produce danni seri nel Bresciano. n Veneto la sismicità più importante si manifesta nel Veronese e lungo tutto il versante orientale. Il più forte terremoto di area padana è quello notissimo del 3 gennaio 1117 (Veronese, Mw 6.7), la cui localizzazione è ancora incerta. Molto importanti sono i terremoti dell’Asolano del 25 febbraio 1695 (Mw 6.5) e del Bellunese del 29 giugno 1873 (Mw 6.3). Decisamente più moderata, ma da non trascurare, la sismicità delle Provincie autonome di Trento e Bolzano. I I terremoti più forti dell’Italia Settentrionale si verificano però in Friuli Venezia Giulia. Insieme alla forte sequenza del 1976 (6 maggio, Mw 6.4; 15 settembre Mw 6.0) sono da ricordare il grande terremoto del 26 marzo 1511 (Mw 7.0), che interessa un’area molto simile e produce danni seri in Slovenia e Austria, e il terremoto del 25 gennaio 1348 (Mw 7.0), localizzabile nell’area di confine fra il Friuli e la Carinzia. P er concludere occorre ricordare due cose importanti. La prima è che pressoché nessun terremoto si manifesta come evento isolato: un forte terremoto è normalmente parte di una sequenza che può essere molto lunga e complessa, all’interno della quale possono manifestarsi eventi di energia molto prossima all’evento che riconosciamo come principale. La seconda è che quelli citati sono solo alcuni fra i più forti terremoti che hanno colpito il nostro paese nei secoli scorsi, mentre sono molto frequenti terremoti che, pur con energia minore, ella parte più settentrionale della Regione e in possono provocare danni a persone e cose. AffronValle d’Aosta si risentono effetti di danno per tare il problema solo quando si verifica il grande i forti terremoti del Vallese, in qualche caso di ma- catastrofico terremoto è troppo tardi. q gnitudo superiore a 6. I N I l settore della pianura Lombardo-Veneta ha una sismicità generalmente moderata, con qualche episodio però significativo, quale ad esempio il terremoto del 25 dicembre 1222 (Mw 5.8), larga- N.B. Nell’Appendice a pagina 71 è possibile consultare una tabella che raccoglie tutti i terremoti con magnitudo superiore a 6 gradi accaduti nell’ultimo millennio in Italia 19 PERICOLOSITA’ SISMICA Perché i terremoti causano danni e distruzione? a cura di Marco Mucciarelli QUANDO AVVERRÀ IL PROSSIMO TERREMOTO? Nessuno può saperlo, perché potrebbe verificarsi in qualsiasi momento. Sui terremoti sappiamo molte cose, ma non è ancora possibile prevedere con certezza quando e precisamente dove si verificheranno. Sappiamo bene, però, quali sono le zone più pericolose e cosa possiamo aspettarci da una scossa: essere preparati è il modo migliore per prevenire e ridurre le conseguenze di un terremoto. La pericolosità, ovvero facciamo “luce” sui terremoti né la loro propagazione sono semplici e simmetriche come quelle generate da un sasso in uno stagno. Spesso capita che da un lato dell’epicentro si motivi per cui gli edifici crollano durante un terosservino danni per decine di chilometri, mentre remoto dipendono dal come e dal dove un edifidall’altro lato non si osservano danni: questo fenocio viene costruito. Del come si occupa l’ingegneria meno si chiama direttività. Per tornare all’esempio sismica (vedi capitoli seguenti). Il luogo di costrudelle luci pensiamo ad un faro che ruota o ai lamzione può essere più o meno pericoloso per due peggianti blu delle ambulanze. Nella direzione in motivi: cui si proietta il fascio la luce è molto più intensa. 1 la distanza dalla sorgente delle onde sismiche; La sorgente delle onde sismiche (la faglia) è come un lampeggiante bloccato che proietta più luce in 2 le caratteristiche dei suoli di fondazione. una direzione. Purtroppo non possiamo sapere I terremoti non avvengono ovunque sulla super- quale sia questa direzione prima del terremoto. Per ficie terrestre, ma solo in alcune zone che i sismo- alcuni terremoti generati in California dalla stessa logi hanno imparato a conoscere. L’ideale sarebbe faglia a distanza di qualche decina di anni si è visto stare lontani da queste aree, che si chiamano zone che le due direzioni erano esattamente opposte. sismogeniche. In un paese come l’Italia queste zone ’energia del terremoto alla sorgente viene misono molto numerose e non è purtroppo possibile surata con la magnitudo, una grandezza che allontanarsene molto. Se guardiamo una lampadina deriva dalla conoscenza dell’ampiezza misurata da 100 watt da un metro dobbiamo chiudere gli delle onde sismiche una volta nota la distanza dalocchi per il fastidio, ma ad un chilometro di dil’epicentro. L’idea della magnitudo viene dalla classtanza la stessa lampadina è un punto appena visisificazione delle stelle, perché anche la loro bile. A parità di energia alla sorgente, i segnali luminosità è così diversa da non poter essere deluminosi così come le onde sismiche diminuiscono scritta da una relazione semplice come quella della la loro ampiezza in maniera inversamente proporluminosità di una lampadina (due lampadine da 50 zionale alla distanza. W fanno quasi la stessa luce di una da 100 W). La uando immaginiamo che tutta l’energia di un magnitudo infatti non è una scala lineare e ad ogni terremoto provenga da un solo punto lo chia- incremento di una unità corrisponde un aumento miamo epicentro. A complicarci la vita con i terre- dell’energia di 30 volte. Quindi un terremoto di mamoti c’è però il fatto che né la sorgente delle onde gnitudo 8.0 rispetto ad uno di 5.0 è 30x30x30= I L Q 20 27.000 volte più energetico. Questo non significa sioni. Lo stesso avviene per i terremoti. Non posche farà quasi 30.000 volte più danni. I danni sono siamo dire se una sorgente si accenderà domani o una proprietà locale del terremoto che dipendono dalla distanza dall’epicentro, da quanto è profonda la sorgente (ipocentro) dalla direzione principale dell’energia, dalle caratteristiche dei terreni di fondazione e dalla qualità delle costruzioni. Così può capitare che nel 2010 un terremoto di magnitudo 7 ad Haiti causi 250.000 vittime, mentre con la stessa magnitudo in Nuova Zelanda non si sono avuti morti. L’anno dopo nella stessa Nuova Zelanda ci sono state quasi 200 vittime per un terremoto di magnitudo 6. Gli effetti dei terremoti sono misurati dalle scale di intensità. In Italia si usa la scala Mercalli-Cancani-Sieberg. Fino al quinto grado non ci sono danni ma effetti sempre maggiori sulle persone (da non avvertito a spavento, terrore) e su oggetti (spostamenti, ribaltamenti, rottura). Dal sesto al settimo grado iniziano danni agli edifici, e dall’ottavo in poi ci sono crolli in percentuali crescenti. Se diciamo che due terremoti all’epicentro son stati di decimo grado intendiamo che hanno causato entrambi il crollo di oltre i ¾ degli edifici in muratura. D obbiamo poi chiederci ogni quanto tempo si “accende” la sorgente di un terremoto. Sarebbe bello se il comportamento fosse quello delle vecchie luci ad intermittenza dell’albero di Natale, periodico e regolare. Guardando per pochi minuti una lampadina potremmo imparare subito per quanto sta accesa e per quanto sta spenta, e tutte le altre sul filo seguirebbero la stessa regola. Purtroppo il terremoto è come un filo di luci natalizie di ultima generazione aggrovigliato su se stesso. A volte lampeggiano regolari ma poco dopo sembrano impazzire: non riusciamo a capire ogni quanto tempo si accende una singola lampadina e non capiamo neanche se quando se ne accende una poi si accenderà quella più vicina oppure un’altra. Possiamo fissare una singola lampadina e contare quante volte si accende in 5 minuti. Avremo così una idea del tempo medio che passa tra due accen- tra 20 anni, ma possiamo dire che rispetto a quelle vicine si accende più o meno frequentemente, e quindi abitare le città nei suoi paraggi sarà più o meno pericoloso che stare in altre. Avremo così una classifica relativa di pericolosità che serve agli ingeneri per capire dove bisogna progettare edifici più resistenti o rinforzare quelli esistenti. Perché i sismologi non sono capaci di dirci niente di più sulla pericolosità? Torniamo all’esempio delle lampadine natalizie. Quello che a noi sembra caos è in realtà una sequenza programmata. Se anziché 5 minuti aspettiamo un tempo più lungo vedremo la sequenza ripetersi più volte. Ma ogni singola sorgente dei terremoti si accende raramente, se paragonata alla vita umana. Alcune hanno un tempo medio tra due terremoti di centinaia di anni. Noi non abbiamo visto il ciclo sismico ripetersi più volte, e volendo essere onesti non possiamo dire se i 2000 anni di storia per cui abbiamo fonti attendibili che ci parlano dei terremoti passati sono un ciclo completo oppure no. Se vogliamo un’altra metafora, pronosticare quando accadrà un terremoto è come stare seduti sul treno guardando in senso contrario alla marcia. Non possiamo vedere e sapere dove stiamo andando a meno che non siamo già passati molte volte sulla stessa linea. Allora riconosceremmo qualcosa nel paesaggio o nelle città che ci farebbe capire dove siamo e dove stiamo andando. Ma la storia dei terremoti avviene su tempi così lunghi che nessun italiano (per fortuna) passa due volte per lo stesso terremoto ed i sismologi cercano di capire dove sta andando il treno mettendo insieme memorie di tempi e testimoni diversi (dati strumentali, dati strorici, dati archeologici, dati geologici). Come l’avaro Scrooge del “Racconto di Natale” di Dickens dobbiamo ricevere un insegnamento dai tre spettri del Natale Passato, Presente e Futuro. Dobbiamo approfittare dell’attenzione creata dal terremoto presente perché quello che sappiamo 21 dai terremoti del passato ci permetta di salvare vite dai terremoti del futuro. q 22 GLI EFFETTI DI UN TERREMOTO SONO GLI STESSI OVUNQUE? A parità di distanza dall’epicentro, l’intensità dello scuotimento provocato dal terremoto dipende dalle condizioni del territorio, in particolare dal tipo di terreno e dalla forma del paesaggio. In genere, lo scuotimento è maggiore nelle zone in cui i terreni sono soffici, minore sui terreni rigidi come la roccia; anche la posizione ha effetti sull’intensità dello scuotimento, che è maggiore sulla cima dei rilievi e lungo i bordi delle scarpate. L’influenza del terreno, ovvero quando il terremoto “suona” male. I terreni di fondazione sono molto importanti per la tenuta di un edificio, ed è cosa nota da millenni. Il Vangelo di Matteo riporta una parabola dove l’uomo saggio è colui che costruisce sulla roccia mentre lo stolto costruisce sulla sabbia e vedrà la sua casa in rovina. Potrebbe sembrare strano che questo sia vero anche per i terremoti. Gli atleti del salto in lungo atterrano senza danni nella morbida sabbia e si gioca a pallavolo sulla spiaggia, non su lastre di granito. Il senso comune ci farebbe pensare che una casa sulla sabbia stia su di un materasso messo lì apposta per attutire l’urto del terremoto. Questo è in parte vero, i terreni sciolti attenuano le onde più della roccia, ma i terreni hanno una proprietà contrastante che la roccia non ha: amplificano alcune frequenze del terremoto. Come è possibile che un materiale amplifichi più di quanto attenui? Quando pensiamo all’amplificazione abbiamo in mente l’impianto stereo: si gira una manopola ed il volume aumenta. Per i terremoti però non c’è nessun sulle pareti, ed anziché disperdersi lontano tornano nell’abitacolo. Quello che amplifica le onde sismiche non è la maggiore o minore “durezza” del terreno ma è il fatto che un terreno soffice sia a contatto con terreni più rigidi o con roccia che come le pareti di un tunnel imprigiona le onde nei suoli soffici e non le fa allontanare. E’ importante capire che se un terreno amplifica le onde sismiche lo farà per qualsiasi terremoto, facendo diventare terremoti deboli e lontani potenzialmente distruttivi come se fossero forti e vicini. A peggiorare la situazione contribuisce poi il fatto che i terreni meno rigidi a seguito di un terremoto possono trasformarsi in sabbie mobili (liquefazione), o se sono in pendenza possono dare il via alle frane indotte. Per questo motivo è importante conoscere le caratteristiche dei terreni per capire se e quanto è sicuro costruirci sopra. Per il singolo edificio l’ingegnere necessita di dati il più possibile precisi ed affidabili circa il terreno per ricostruire la risposta sismica del punto dove si andrà a costruire. Agli architetti che pensano allo sviluppo urbaniamplificatore nel terreno che faccia il lavoro di al- stico di una città serve invece una visione meno rafzare il volume, consumando magari un bel po’ di finata ma che permetta comunque di stabilire dove energia elettrica. Allora cosa succede? Pensiamo ad sarebbe più opportuno far sorgere nuovi quartieri un automobilista che guida a velocità costante con o infrastrutture importanti (scuole, ospedali, centri i finestrini aperti: sentirà un certo livello di rumore commerciali), considerando che costruire sui terche rimane uguale. Se però entra in una galleria il reni peggiori non è né impossibile né vietato, ma rumore percepito diventa molto più forte. Cosa è costa sicuramente di più. Questi studi che differensuccesso? Il rumore generato dal motore a regime ziano i terreni su tutta l’area urbana secondo il loro di giri costante non è aumentato, ma le onde sonore comportamento in caso di terremoti vengono defirimangono intrappolate nella galleria rimbalzando niti microzonazione sismica. Tornando al para23 gone con il mondo dei suoni, nel primo caso serve un solista, al massimo delle capacità perché tutto è affidato a lui. Nel secondo caso ci serve un coro, un contributo di molte voci dove la qualità dei singoli non è importante quanto il risultato d’insieme. C i sono delle situazioni particolari dove “l’eco” del terremoto può riverberare più a lungo che altrove, causando più danni. Alcuni rilievi montuosi e la gran parte delle valli possono dare problemi di amplificazione sismica. Geologi e sismologi hanno imparato a riconoscere i casi peggiori, e quindi anche se non possiamo prevedere quando avverrà un terremoto possiamo avere un idea in anticipo su dove il terremoto farà i maggiori danni. Dobbiamo quindi spostare l’attenzione dalla generica “previsione del terremoto” alla “previsione delle conseguenze del terremoto”. Adesso esistono strumenti normativi ed anche finanziamenti statali che incentivano gli studi di microzonazione. E’ importante far comprendere ai cittadini che fare le indagini che servono sia per un singolo edificio che per una intera città è un piccolo costo materiale, se paragonato agli enormi costi economici ed umani che si potrebbero avere quando il prossimo terremoto colpirà. Se il gruppo rock del figlio del vicino che prova in garage ci sembra troppo fracassone possiamo provare a picchiare con la scopa sul pavimento, ma quando il terremoto arriva, se siamo su di un terreno che amplifica non c’è modo di chiedergli di “abbassare il volume”. q 24 VULNERABILITA’ SISMICA a cura di Angelo Masi, con la collaborazione di Leonardo Chiauzzi COSA SUCCEDE A UN EDIFICIO? Una scossa sismica provoca oscillazioni, più o meno forti, che scuotono gli edifici con spinte orizzontali. Gli edifici più antichi e quelli non progettati per resistere al terremoto possono non sopportare tali oscillazioni, e dunque rappresentare un pericolo per le persone. È il crollo delle case che uccide, non il terremoto. Oggi, tutti i nuovi edifici devono essere costruiti rispettando le normative sismiche. È normale che un edificio oscilli durante un terremoto, non deve preoccuparci. Quello che bisogna evitare, o quantomeno limitare, è che queste oscillazioni possano provocare danni gravi, fino a far crollare l’edificio, in tutto o in parte. Se non è mai accettabile che un edificio possa crollare, ancor più lo è se il terremoto non è molto forte, come a volte accade nel mondo e, purtroppo, anche in Italia. Questo accade quando l’edificio è troppo vulnerabile, ossia debole rispetto al terremoto. Definiamo vulnerabilità sismica la predisposizione di un edificio a subire danni (effetto) a fronte di un terremoto di una data intensità (causa). Osservando il comportamento degli edifici dopo un terremoto vediamo che alcuni si danneggiano più di altri anche se molto vicini tra loro (Fig. X.1 A e B) e quindi interessati dalla stessa intensità sismica. In sostanza, non definiamo vulnerabile un edificio se questo si danneggia durante un terremoto, come già detto entro certi limiti il danno è un effetto fisiologico che può essere accettato, ma definiamo vulnerabili quegli edifici che si danneggiano in modo sproporzionato rispetto all’intensità del terremoto. Come diremmo per un’automobile che, a causa di un impatto a bassa velocità, si danneggia gravemente Fig. X.1 (A) mettendo in pericolo la vita degli occupanti. Q uando si verifica un terremoto, mentre il terreno si muove orizzontalmente, un edificio subisce delle spinte in avanti ed indietro in modo simile a quelle che subisce un passeggero dentro un autobus che frena ed accelera alternativamente. A parità di sollecitazione sismica (domanda), quanto più l’edificio è capace di assorbire queste sollecitazioni senza subire danni (capacità) tanto meno è vulnerabile. Gli studi sulla vulnerabilità sismica si occupano del confronto tra domanda e capacità, controllando se e quanto la domanda è maggiore della capacità (valutazione della vulnerabilità) e, qualora sia necessario, indicando come intervenire per diminuire la domanda - ad es. alleggerendo l’edificio - o aumentare la capacità (riduzione della vulnerabilità). 25 U n edificio è costituito da tre componenti principali: 1. la struttura portante (es. muri portanti, pilastri, ecc.); 2. gli elementi non portanti ma che assolvono funzioni proprie della vivibilità dell’edificio (es. tamponature esterne, divisori interni, controsoffitti, ecc.); 3. gli impianti (elettrico, idrico, idro-sanitario e di riscaldamento). Fig. X.1 (B) er struttura portante di un edificio (Fig. X.2) si intende l’insieme degli ele- cipalmente due: muratura e cemento armato (Fig. menti che garantiscono il sostegno del suo stesso X.3, a) e b)). Molto pochi sono gli edifici costruiti in peso (cosiddetto peso proprio), dei carichi che può legno o acciaio (Fig. X.3, c) e d)). contenere al suo interno (persone, suppellettili, ater come è fatta la struttura portante delle diftrezzature, ecc.) e delle azioni che provengono ferenti tipologie edilizie il comportamento in dall’ambiente esterno (es. vento, neve, terremoto). caso di terremoto di un edificio in muratura è difa funzione della struttura portante è garantire ferente rispetto a quello di un edifico in cemento che l’edificio possa essere utilizzato con le pre- armato. Infatti, nelle strutture in muratura la resistazioni attese e il livello di sicurezza previsto dalle stenza al terremoto dipende essenzialmente dai norme. In Italia, in particolare per l’edilizia di tipo muri “maestri” esterni ed interni, dal collegamento residenziale, i materiali che si utilizzano per realiz- tra loro e con i solai. Per una struttura in cemento zare la struttura portante di un edifico sono prin- armato invece la resistenza è concentrate in elementi singoli quali i pilastri (elementi verticali), le travi (elementi sui quali poggia il solaio di ogni piano) ed i loro collegamenti (nodi). Se i collegamenti tra i vari elementi sono stati progettati e realizzati pensando al terremoto allora l’azione sismica verrà distribuita in modo adeguato tra tutti gli elementi della struttura assicurando una maggiore resistenza all’azione sismica (meno vulnerabile). In caso contrario, l’azione sismica verrà concentrata su alcuni elementi provocandone una richiesta di X.2. Esempio di struttura portante di un edificio resistenza locale maggiore di P P L 26 A B C D Fig X.3. Esempi di struttura portante: a) muratura, b) cemento armato , c) acciaio, d) legno quella con la quale essi sono stati progettati (si vedano gli esempi riportati nelle Figg. X.4-X.6 nella pagina successiva). I n un edifico, durante un terremoto, anche gli elementi cosiddetti non strutturali (es. tamponature esterne, tramezzi interni, controsoffitti, camini, ecc.) possono subire seri danni causando sia gravi conseguenze alle persone che costi e tempi elevati per la loro riparazione (Fig. X.7). Questo può accadere anche in assenza di danni alla struttura portante, potendo coinvolgere le persone che stanno cercando di uscire ed allontanarsi dall’edificio. Ecco perché, durante un terremoto, è preferibile non scappare fuori ma ripararsi ad es. sotto un tavolo, un letto (o un banco se si è in una scuola) ed attendere la fine della scossa e poi, con calma, individuare un percorso sicuro per poter evacuare l’edifico. A nche gli impianti possono provocare danni, principalmente alla persone con cortocircuiti elettrici, fughe di gas ed altri problemi simili. Infine, molto importante è tener conto di mobili e suppellettili interni all’abitazione, come gli armadi che, con la loro caduta, possono causare serie conseguenze alle persone anche se l’edificio non fosse per niente danneggiato. Così come ciascun passeggero riesce a reggersi nell’autobus in modo più o meno efficace rispetto ad altri, così ciascun edificio ha una propria vulnerabilità sismica in relazione alle differenti caratteristiche costruttive con cui è stato realizzato. Quindi, a parità di forza ed energia dell’evento sismico, la previsione della gravità del danno che si può verificare, e quindi la vulnerabilità della struttura, dipende da una serie di fattori 27 Fig X.4 Esempi di danneggiamento in edifici in muratura Fig. X.5 Esempi di crollo e danneggiamento in edifici in cemento armato (a destra: crollo di tamponature e danni locali a pilastri e nodi; a sinistra: crollo totale del piano terra) 28 Fig.X.6 Esempio di danno localizzato in una struttura in cemento armato (grave danno alla testa di un pilastro a causa della presenza delle tamponature di altezza limitata delle per la realizzazione di finestre a nastro). come il tipo di materiale utilizzato (muratura, ce- significa in sostanza classificarli in termini di capamento armato, ecc.), la qualità del materiale, l’età cità rispetto ad una causa che può provocare delle di costruzione, lo schema resistente della struttura (telai, pareti, ecc.), l’altezza della struttura, ecc. Dall’osservazione del danneggiamento di terremoti passati si è visto che edifici con caratteristiche simili, sotto l’azione della stessa intensità sismica, subiscono danni simili. Sempre avendo come riferimento l’esempio del passeggero nell’autobus, la capacità della classe “adulti”, pur avendo al suo interno qualche piccola differenza tra gli individui che la compongono, è nettamente differente rispetto a quella della classe “anziani” mediamente meno capaci di resistere alle sollecitazioni esterne. Riconoscere questo diverso comportamento in gruppi di persone (edifici) con caratteristiche simili conseguenze (danni). Se l’osservazione dei danni dopo un terremoto ci consente di attribuire la vulnerabilità “a posteriori”, la stima della vulnerabilità sismica degli edifici prima che si verifichi un terremoto (valutazione “a priori”, cosiddetta in tempo di pace) è certamente un tema più complesso. Infatti, se dopo un evento sismico è sufficiente rilevare i danni che sono stati provocati, associandoli all’intensità della scossa subita ed alle differenti tipologie di edifici presenti, molto più difficile è la attribuzione della vulnerabilità “a priori”. A tale scopo sono stati messi a punto numerosi metodi che si basano sia sull’esperienza tratta da terremoti passati (metodi empirici) che su calcoli e modelli numerici (metodi analitici) che cercano di rappresentare, nel modo fisicamente più prossimo alla realtà, il comportamento delle strutture sotto l’effetto di differenti terremoti. Questi due approcci vengono spesso integrati dal cosiddetto giudizio “esperto” di specialisti nel campo dell’ingegneria sismica. P Fig. X.7. Due esempi di danno agli elementi non strutturali: crollo parziale espulsione della tamponatura esterna in un edificio in cemento armato (sopra); crollo rovinoso di tramezzi divisori all’interno (sotto). er poter stimare la vulnerabilità “a priori” si può operare considerando che strutture realizzate con caratteristiche costruttive simili possono essere raggruppate in classi omogenee sul piano della loro vulnerabilità attesa. Ad es. alla classe ad alta vulnerabilità corrispondono gli edifici in muratura più scadente (struttura portante in pietrame), una vulnerabilità più bassa è assegnata agli edifici con una muratura più resistente (struttura portante in mattoni) e alla classe con bassa vulnerabilità gli edifici con struttura in cemento armato. Differenti sviluppi sono stati effettuati nel corso degli anni introducendo classificazioni più dettagliate e anche classi aggiuntive considerando anche eventuali rinforzi strutturali come cordoli e/o catene o la tipologia di solai presente (legno, pignatte con travetti di cemento o di acciaio). q 29 RISCHIO SISMICO a cura di Sergio Castenetto e Angelo Masi ANCHE IL PROSSIMO TERREMOTO FARÀ DANNI? Dipende dalla forza del terremoto (se ne verificano migliaia ogni anno, la maggior parte di modesta energia) e dalla vulnerabilità degli edifici, cioè dal livello di rischio. Nella zona in cui vivi il rischio sismico è elevato e già in passato i terremoti hanno provocato danni a cose e persone. È possibile quindi che il prossimo forte terremoto faccia danni: per questo è importante informarsi, fare prevenzione ed essere preparati a un’eventuale scossa di terremoto. O gni giorno, ciascuno di noi ha a che fare con pericoli e rischi di vario genere. L’errore che spesso si fa, tuttavia,è quello di considerare i due termini equivalenti: pericolo e rischio vengono considerati la stessa cosa. In realtà, il pericolo è rappresentato da un evento”pericoloso”, che può cioè produrre conseguenze, ma che non è certo avvenga o per lo meno non sappiamo quando avverrà, mentre il rischio è rappresentato dalle conseguenze dell’evento. Facciamo un esempio legato ai nostri trascorsi scolastici. L’interrogazione di matematica rappresentava certamente un pericolo per il brutto voto che avremmo potuto prendere, ma non sapevamo quando il professore ci avrebbe interrogato. Le possibili conseguenze dell’interrogazione dipendevano da quanto eravamo vulnerabili, cioè preparati a rispondere alle domande del professore. Ovviamente la probabilità di essere interrogati e quindi di subirne le conseguenze dipendeva da quanto eravamo esposti alla possibile interrogazione, cioè se eravamo presenti o assenti alla lezione. Il rischio in questo caso era rappresentato dal brutto voto che avremmo potuto prendere. Quindi, esprimendoci in un modo più formale, possiamo dire che il rischio è il risultato di tre componenti: pericolo, vulnerabilità ed esposizione. Consideriamo ora il problema sismico. come la penisola è caratterizzata da due catene montuose principali, le Alpi e gli Appennini, allo stesso modo possiamo dire che, ad esempio, la Calabria e la Sicilia orientale sono interessate da terremoti poco frequenti ma di elevata energia, mentre nell’Appennino settentrionale i terremoti sono più frequenti ma l’energia associata è generalmente minore. Conoscendo la frequenza e l’energia (magnitudo) associata ai terremoti che caratterizzano un territorio ed attribuendo un valore di probabilità al verificarsi di un evento sismico di una certa magnitudo, in un certo intervallo di tempo, possiamo definire la sua “pericolosità sismica”. Un territorio avrà una pericolosità sismica tanto più elevata quanto più forte sarà, a parità di intervallo di tempo considerato, il terremoto più probabile. Ma in un territorio ad elevata pericolosità sismica non necessariamente le conseguenze di un terremoto sono sempre gravi; basti pensare alle numerose scosse che ogni anno interessano nazioni come il Giappone o gli Stati Uniti e che, nonostante l’energia associata all’evento, provocano danni limitati. Molto dipende infatti, dalle caratteristiche di resistenza delle costruzioni alle azioni di una scossa sismica. Questa caratteristica, o meglio la predisposizione di una costruzione ad essere danneggiata da una scossa sismica, si definisce “vulnerabilità”. Quanto più un edificio è vulnerabile (per la scal terremoto è un fenomeno naturale e la sismicità dente qualità dei materiali utilizzati o per le moda(frequenza e forza con cui si manifestano i terre- lità di costruzione), tanto maggiori saranno le moti) è una caratteristica fisica del territorio, al conseguenze che ci si devono aspettare in seguito pari del clima, dell’orografia, dell’idrografia,… Così alle oscillazioni cui la struttura sarà sottoposta. I 30 I mmaginiamo ora di considerare la funzione cui al tipo di sismicità, di resistenza delle costruzioni e è adibito un edificio; ad esempio una abitazione di antropizzazione (natura, qualità e quantità dei o un ufficio in ore diverse della giornata (giorno, beni esposti), ci si può attendere in un dato internotte), oppure una scuola o un albergo in periodi vallo di tempo. Ecco allora che, a partire da una diversi dell’anno (estate, inverno). Avremo una azione (lo scuotimento del terreno) che può provomaggiore o minore possibilità di danno alle per- care un danno, è possibile anche individuare quali sone secondo l’ora o il momento dell’anno in cui av- siano gli elementi sui quali agire per ridurre gli efviene il terremoto. Una considerazione analoga si fetti: la resistenza delle costruzioni (vulnerabilità), può fare considerando una città d’arte e una citta- le caratteristiche di utilizzo del territorio (esposidina moderna. Pensiamo ai danni inestimabili su- zione). L’Italia ha una pericolosità sismica mediobiti dai monumenti di Assisi a causa del periodo alta (per frequenza e intensità dei fenomeni), una sismico umbro-marchigiano del 1997. Anche in vulnerabilità molto elevata (per fragilità del patriquesto caso le conseguenze non sono paragonabili monio edilizio, infrastrutturale, industriale, produta quelle che si avrebbero in un piccolo centro mon- tivo e dei servizi) e un’esposizione altissima (per tano, ad esempio. Questa maggiore possibilità di densità abitativa e presenza di un patrimonio stosubire un danno (economico, in vite umane, ai beni rico, artistico e monumentale unico al mondo). La culturali,…) viene definita “esposizione”. L’insieme nostra Penisola è dunque ad elevato rischio sidei fattori “pericolosità”, “vulnerabilità” ed “esposi- smico, in termini di vittime, danni alle costruzioni zione”, consentono di valutare il rischio sismico di e costi diretti e indiretti attesi a seguito di un terun territorio, ossia la misura dei danni che, in base remoto. q Per saperne di più Rischio sismico http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/descrizione_sismico.wp 31 PREVENZIONE a cura di Sergio Castenetto e Angelo Masi P revenire il possibile danno causato da un fisica che non si può modificare. La prevenzione o evento, qualunque esso sia, significa mettere meglio la riduzione degli effetti di un terremoto si in atto una serie di azioni che consentano di evi- ottiene intervenendo sulle altre componenti del ritarlo o almeno di ridurne le conseguenze. Tor- schio: la predisposizione a subire un danno (vulnenando all’esempio dell’interrogazione scolastica, rabilità) ed il valore di ciò che è esposto ad un per ridurre le possibili conseguenze, ossia riuscire possibile danno (esposizione). a prendere almeno una sufficienza, non posso certo Una efficace politica di prevenzione è fatta di reagire sul pericolo, perché non posso influenzare le gole e norme, ma soprattutto è basata su un modecisioni del professore su chi interrogherà. Posso, dello culturale nuovo nei confronti del terremoto. però, studiare di più e quindi essere meno vulneLa prevenzione, infatti, essendo il rischio sismico rabile o più furbescamente darmi malato nei giorni indissolubilmente legato alla presenza dell’uomo, di interrogazione, riducendo la mia esposizione. richiede un rapporto consapevole e responsabile Nel caso del terremoto, è possibile ridurre le sue dell’uomo con il territorio in cui vive e in questa atconseguenze ma non annullare il rischio. L’evento tività di prevenzione due sono gli attori principali: (il terremoto), infatti, non è evitabile e la “perico- le istituzioni ed il cittadino, ciascuno dei quali losità sismica” di un territorio è una caratteristica svolge un ruolo importante e interagisce con l’altro. COSA FA LO STATO PER AIUTARTI? Nel 2009, dopo il terremoto dell’Aquila, lo Stato ha avviato un piano nazionale per la prevenzione sismica, che prevede lo stanziamento alle Regioni di circa un miliardo di euro in sette anni con diverse finalità: • indagini di microzonazione sismica, per individuare le aree che possono amplificare lo scuotimento del terremoto; • interventi di miglioramento sismico di edifici pubblici strategici e rilevanti; • incentivi per interventi di miglioramento sismico di edifici privati. L o Stato, ma più in generale le istituzioni, agi- • scono in vari modi per aumentare la sicurezza della popolazione nei confronti del rischio sismico, attraverso: • 32 il miglioramento delle conoscenze sul fenomeno, il monitoraggio del territorio e la valutazione del pericolo a cui è esposto il patrimonio • abitativo, la popolazione e i sistemi infrastrutturali (la viabilità, le reti elettriche, idriche, gasdotti, ferrovie, ecc.); la riduzione della vulnerabilità ed esposizione con azioni indirette (classificazione sismica, normativa per le costruzioni, micro zonazione sismica, pianificazione del territorio) e azioni dirette (rafforzamento locale, miglioramento e adeguamento sismico delle costruzioni); intervenendo sulla popolazione con una costante e incisiva azione di informazione e sensibilizzazione. U n ruolo molto importante hanno le attività di neficiare di detrazioni fiscali. studio e ricerca. In particolare, per quanto riLa cifra di 963,5 milioni di euro, anche se cospicua guarda l’ingegneria sismica, negli ultimi anni sono rispetto al passato, rappresenta una minima pernati in Italia centri di competenza come ReLUIS centuale del fabbisogno necessario per il completo (Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Siadeguamento sismico degli edifici pubblici e privati smica, www.reluis.it) ed EUCENTRE (www.eucene delle infrastrutture strategiche. Tuttavia, il piano tre.it), che svolgono studi e ricerche per conto del può avviare un processo virtuoso che porterà a un Dipartimento della Protezione Civile (DPC) su tedeciso passo avanti nella crescita di una cultura matiche relative alla valutazione e riduzione della della prevenzione sismica da parte della popolavulnerabilità delle strutture esistenti (edifici in muzione e degli amministratori pubblici. ratura e in calcestruzzo armato e ponti), allo sviluppo di criteri di progetto e verifica innovativi ’attuazione del piano è regolata attraverso orconcernenti le opere geotecniche (come dighe e dinanze del Presidente del Consiglio dei Minigallerie), alle nuove metodologie per la mitigazione stri, che disciplinano l’uso dei contributi impiegati del rischio che utilizzano dispositivi e materiali in- per: novativi, alla gestione e pianificazione dell’emer• studi di microzonazione sismica; genza, al monitoraggio di strutture e infrastrutture, ecc.. Le ricerche sono basate su studi teorici e su • interventi di rafforzamento locale o miglioraestese campagne sperimentali effettuate presso i mento sismico o demolizione e ricostruzione di principali laboratori italiani di ingegneria sismica edifici ed opere pubbliche di interesse stratee sono finalizzate allo sviluppo di manuali applicagico per finalità di protezione civile. Sono tivi, proposte di normativa e messa a punto di proesclusi dai contributi gli edifici scolastici, ogcedure operative a supporto dell’azione del DPC. getto di altri finanziamenti, ad eccezione di Gli studi sono un elemento di base importante per quelli che ospitano funzioni strategiche e sono applicare il concetto di prevenzione sismica, ma, individuati nei piani di emergenza di proteperché ciò accada in modo concreto e diffuso, sono zione civile; necessari tecnici competenti, politici lungimiranti • interventi strutturali di rafforzamento locale o e, soprattutto, cittadini informati e consapevoli. miglioramento sismico o di demolizione e ricoIl Piano nazionale per la prevenzione struzione di edifici privati; del rischio sismico L D opo il terremoto aquilano del 6 aprile 2009, lo Stato ha avviato un piano di interventi per la riduzione del rischio sismico, a livello nazionale, che prevede lo stanziamento di circa 965 milioni di euro distribuiti su 7 anni. Per la prima volta, attraverso un programma organico pluriennale, l’intero territorio nazionale viene interessato da studi per la caratterizzazione sismica delle aree e da interventi per rendere più sicuri gli edifici pubblici e privati. Novità assoluta del piano è la possibilità per i cittadini di richiedere contributi economici per realizzare interventi su edifici privati e non solo di be- • altri interventi urgenti e indifferibili per la mitigazione del rischio sismico, con particolare riferimento a situazioni di elevata vulnerabilità ed esposizione. I finanziamenti riguardano interventi di prevenzione del rischio sismico nei Comuni ad elevata pericolosità sismica in cui la classificazione sismica prevede una accelerazione al suolo ag non inferiore a 0,125g: in sostanza tutti i comuni che ricadono in Zona 1 e 2, più una parte di comuni in zona 3, per un totale di oltre 3000 comuni. 33 L’OPCM 3907 del 1 dicembre 2010 ha regolato l’uti- zone stabili, le zone stabili suscettibili di amplificalizzo del contributi della prima annualità. L’OPCM zione locale e le zone soggette a instabilità, quali 4077 del 29 febbraio 2012 disciplina l’utilizzo dei frane, rotture della superficie per faglie e liquefafondi dell’annualità 2011. zioni dinamiche del terreno. Gli interventi previsti per l’annualità 2011, come Gli studi di MS forniscono dunque informazioni per l’annualità precedente, vengono attuati attra- utili per il governo del territorio, per la progettaverso programmi predisposti dalle Regioni e dalle zione, per la pianificazione per l’emergenza e per Province autonome, in base a strategie e priorità la ricostruzione post sisma. che tengono conto delle caratteristiche territoriali. ltro elemento innovativo è la destinazione di ra gli strumenti di prevenzione sismica che parte dei contributi a interventi sull’edilizia maggiormente possono incidere sulla salva- privata, non utilizzati nella prima annualità, previguardia delle persone e delle cose e che ha visto un sti obbligatoriamente per l’annualità 2011 in misignificativo sviluppo e diffusione negli ultimi sura minima del 20% e massima del 40% del trent’anni, c’è sicuramente la microzonazione si- finanziamento assegnato alle Regioni, purché quesmica (MS). sto sia pari o superiore a 2 milioni di euro. Nell’annualità precedente (2010) solo la Regione Marche L’osservazione dei danni alle costruzioni e alle ha destinato parte dei fondi, circa 400.000 euro, a infrastrutture spesso evidenzia differenze sostaninterventi sull’edilizia privata. ziali anche a piccole distanze, oppure crolli e danni I cittadini possono richiedere contributi per gli notevoli anche a grandi distanze dall’epicentro. Esempi di questo tipo si sono riscontrati in quasi interventi di rafforzamento locale, miglioramento tutti i terremoti accaduti negli ultimi 100 anni. Si- sismico, demolizione e ricostruzione sugli edifici curamente la qualità delle costruzioni può influire privati consultando i bandi dei propri comuni sugli sulle differenze del danno, ma spesso le cause albi pretori e sui siti web istituzionali. E’ compito vanno ricercate in una differente pericolosità si- dei comuni registrare le richieste di contributi dei smica locale, determinata da effetti di amplifica- cittadini per poi trasmetterle alle regioni, che le inzione del moto sismico o da instabilità del suolo. seriscono in una graduatoria di priorità. Le richieTutto ciò è oggetto degli studi di MS, attraverso i ste sono ammesse fino a esaurimento delle risorse quali è possibile individuare e caratterizzare le ripartite. q T A Per saperne di più Prevenzione http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/view_ris.wp?contentId=RIS116 Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/piano_nazionale_prevenzione.wp 34 Microzonazione sismica http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/microzonazione.wp COSA DEVI SAPERE? In quale zona vivi. L’Italia è un Paese interamente sismico, ma il suo territorio è classificato in zone a diversa pericolosità. Chi costruisce o modifica la struttura di un’abitazione è tenuto a rispettare le norme sismiche della propria zona, per proteggere la vita di chi ci abita. Per conoscere la zona sismica in cui vivi e quali sono le norme da rispettare, rivolgiti agli uffici competenti della tua Regione o del tuo Comune. S ulla base della frequenza ed intensità dei terremoti del passato, tutto il territorio italiano è stato classificato in quattro zone sismiche che prevedono, nei comuni inseriti in elenco, l’applicazione di livelli crescenti di protezione per le costruzioni (massima per la Zona 1). Zona 1. E’ la zona più pericolosa, dove in passato si sono avuti danni gravissimi a causa di forti terremoti. Zona 2. Nei comuni inseriti in questa zona in passato si sono avuti danni rilevanti a causa di terremoti abbastanza forti. Zona 3. I comuni inseriti in questa zona hanno avuto in passato pochi danni. Si possono avere scuotimenti modesti. Zona 4. E’ la meno pericolosa. Nei comuni inseriti in questa zona le possibilità di danni sismici sono basse. namento. L’adozione della classificazione sismica del territorio spetta per legge alle Regioni. Ciascuna Regione, pertanto, ha pubblicato con un proprio decreto l’elenco dei comuni con l’attribuzione ad una delle quattro zone sismiche previste dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/03. Per conoscere la zona sismica in cui è classificato il territorio in cui si vive, ci si può quindi rivolgere alla Regione o al Comune. Nei comuni classificati sismici, chiunque costruisca una nuova abitazione o intervenga su una abitazione esistente, modificando le parti strutturali (mura portanti, solai, travi, pilastri, tetto) è obbligato a farlo rispettando la normativa antisismica, cioè criteri particolari di progettazione e realizzazione degli edifici. Ciò è avvenuto già a partire dal 1909, quando furono pubblicati i primi elenchi di comuni nei quali per le nuove costruzioni era necessario applicare specifiche norme. A partire dal Testo Unico delle leggi emanate a seguito del terremoto calabro-messinese del ciascuna zona è attribuito un valore di perico1908 (T.U. 1399 del 1917) la normativa tecnica per losità sismica espressa in termini di accelerale costruzioni da applicarsi in zona sismica si è evozione al suolo ag che ha la maggior probabilità di luta, per giungere alle più recenti disposizioni. essere superata in un dato intervallo di tempo, in genere 50 anni. La classificazione del territorio è Il principio sul quale si fonda la normativa vigente, iniziata nel 1909, dopo il disastroso terremoto di è quello di prescrivere norme per le costruzioni tali Reggio Calabria e Messina del 28 dicembre 1908, che un edificio sopporti senza gravi danni i terremoti ed è stata aggiornata numerose volte fino all’at- meno forti e senza crollare i terremoti più forti, saltuale, disposta nel 2003 con Ordinanza del Presi- vaguardando prima di tutto le vite umane. Il che sidente del Consiglio dei Ministri (n. 3274). In futuro, gnifica, in altri termini, garantire che un edificio potrà subire nuove modifiche se il miglioramento costruito con criteri antisismici non subisca danni delle conoscenze renderà necessario un suo aggior- significativi per i terremoti che con più frequenza A 35 36 interessano l’area in cui ricade, mentre potrà subire ritorio nazionale, su una maglia quadrata di 5 km danni, anche gravi, solo per i terremoti di forte in- di lato, indipendentemente dai confini amministratensità (quelli più rari), senza però crollare. tivi comunali (http://esse1-gis.mi.ingv.it/). L a classificazione sismica (zona sismica di appartenenza del comune) e il relativo valore di pericolosità attribuito alle zone, dunque, non serve per la progettazione delle opere, ma è utile per la er garantire che l’edificio sopporti lo scuotipianificazione e per il controllo del territorio da mento del terremoto, le attuali Norme Tecniparte degli enti preposti (Regione, Genio Civile, che per le Costruzioni (DM 14 gennaio 2008; ecc.). NTC08), entrate in vigore il 1 luglio 2009, prevedono che per ogni costruzione ci si debba riferire er il cittadino sapere la zona sismica in cui riper la definizione dell’azione sismica di cui tenere cade il comune dove abita è un’informazione conto nei calcoli di progetto, ad una accelerazione utile a comprendere livello di pericolosità sismica di “sito” individuata sulla base delle coordinate dell’area, ossia la possibilità che possa essere integeografiche dell’area dove si deve realizzare l’opera ressata da terremoti e sulla loro forza. Spetta ai tece in funzione della “ vita nominale” dell’opera, cioè nici esperti (ingegneri, architetti, geometri), nel del numero di anni durante i quali una struttura rispetto delle norme tecniche per le costruzioni, ocdeve poter essere usata per lo scopo per cui è stata cuparsi della progettazione corretta di nuovi edifici progettata, generalmente pari o superiore a 50 o della realizzazione di interventi sulle strutture di anni. Questo valore di pericolosità di base è stato un edificio esistente per renderlo più sicuro in caso definito e reso disponibile per ogni punto del ter- di terremoto. q Pur danneggiandosi, un edificio antisismico sarà in grado, quindi, di proteggere la vita di chi lo occupa. P P Per saperne di più Classificazione sismica http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/classificazione.wp Normativa antisismica http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/leg_rischio_sismico.wp 37 LA SICUREZZA DELLA TUA CASA. È importante sapere quando e come è stata costruita la tua casa, su quale tipo di terreno, con quali materiali. E soprattutto se è stata successivamente modificata rispettando le norme sismiche. Se hai qualche dubbio o se vuoi saperne di più, puoi rivolgerti all’ufficio tecnico del tuo Comune oppure a un tecnico di fiducia. L a classificazione sismica del territorio e l’applicazione di norme e regole per le costruzioni, non ha ridotto ancora in modo significativo l’entità del rischio sismico in Italia. Il limite fondamentale della prevenzione affidata alla sola applicazione del binomio classificazione sismica - normativa è dato dalla presenza in Italia di un consistente patrimonio edilizio storico, che caratterizza gran parte dei centri abitati e che spesso si presenta degradato e più vulnerabile, senza contare il patrimonio edilizio abusivo, spesso concentrato proprio dove maggiore è il livello di rischio, che non offre certamente garanzie di resistenza alle azioni sismiche. Il problema è, dunque, avviare il recupero di questa edilizia in chiave antisismica, recupero che richiede la partecipazione diretta del cittadino, consapevole delle caratteristiche di sismicità e del livello di rischio del territorio in cui vive. Questo modello culturale nuovo nei confronti del terremoto si deve tradurre in una crescita della responsabilità individuale, condizione indispensabile per una efficace azione di prevenzione. E • • di mattoni o di pietre regolari e ordinate, con catene di pietre piccole, irregolari e disordinate Tetto e solai sono: • di cemento armato • in legno, a volta o in travi di ferro la casa è: • nuova o costruita di recente e progettata da un tecnico • abbastanza vecchia, costruita tra i primi anni del ‘900 e gli anni cinquanta • molto vecchia o antica, costruita prima del ‘900 solaio, tetto e muri sono: • nuovi, oppure sono stati rifatti o riparati • vecchi, ma parzialmente rifatti e tenuti sotto controllo • vecchi e nessuno si è mai preoccupato di verificare in che stato siano ’ importante saperne di più sulla propria abitazione, ad esempio: conoscere l’età della coualora il cittadino non sappia rispondere o struzione, il tipo di struttura (muri portanti o abbia dei dubbi è importante che si rivolga ad struttura in cemento armato), i materiali di costruzione impiegati, il tipo di interventi di ristruttura- un tecnico specializzato per saperne di più. Solo tecnici esperti possono dare un giudizio sulla quazione realizzati, ecc. lità delle costruzioni e sulle caratteristiche di resiIn sintesi le cose utili da sapere sono: stenza di un edificio alle azioni sismiche. q I muri sono fatti: • di cemento armato, di mattoni o di grandi pietre regolari ed ordinate 38 Q COSA DEVI FARE PER LA TUA SICUREZZA? Con il consiglio di un tecnico. A volte basta rinforzare i muri portanti o migliorare i collegamenti fra pareti e solai: per fare la scelta giusta, fatti consigliare da un tecnico di fiducia. I problemi descritti sugli edifici esistenti possono essere affrontati adeguatamente, per quelli nuovi, già in fase di progettazione. Realizzare edifici nuovi “poco” vulnerabili (anche se l’invulnerabilità è un mito) è abbastanza semplice e non comporta costi elevati: basta rispettare poche regole contenute nelle norme tecniche per le costruzioni in zona sismica. Tuttavia, tenuto conto delle caratteristiche del patrimonio edilizio italiano, in cui sono presenti molti edifici antichi ma soprattutto vecchi, molti edifici costruiti senza regole antisismiche negli anni ’50, ’60 e ’70 e, dunque, anche piuttosto “stanchi”, possiamo dire che la vera sfida che abbiamo davanti per la riduzione del rischio sismico è la messa in sicurezza degli edifici esistenti, pubblici e privati. C ostruzioni realizzate dopo l’entrata in vigore della classificazione sismica e quindi soggette al rispetto delle norme è molto probabile che siano sismicamente protette, che siano state costruite, cioè, nel rispetto delle norme, in vigore già dal 1909 per alcune zone d’Italia. Ciò non toglie che, in assenza di controlli o a seguito di ristrutturazioni irregolari, le caratteristiche di resistenza della costruzione possono essere venute meno. Quindi, in tutti i casi, per fare la scelta giusta è importante affidarsi ad un tecnico di fiducia, sia per una valutazione delle caratteristiche dell’edificio sia per farsi consigliare su eventuali interventi, che in molto casi possono essere anche semplici e poco costosi. Molto importante è rivolgersi a professionisti che siano esperti di ingegneria sismica. Nel campo delle costruzioni ciò spesso non accade, contrariamente a quanto accade in ambito sanitario: si cerca sempre un bravo medico ma nessuna persona di buon senso si sognerebbe, avendo pro- blemi ad un ginocchio, di andare da un dermatologo invece che da un ortopedico. O perare su edifici esistenti significa anzitutto valutarne la vulnerabilità sismica attuale. Tale operazione di diagnosi è spesso sottovalutata o, anche in questo caso, affidata a mani poco esperte. Mentre nessuno di noi si sognerebbe di fare anche una banale otturazione ad un dente senza essersi prima sottoposti a radiografie ed altre analisi, nel valutare la sicurezza della propria casa questo in genere non accade: le indagini vengono viste come un fastidio che si cerca di evitare o limitare al massimo. Al contrario, le indagini e la conseguente valutazione della vulnerabilità sono fondamentali per capire quali siano le cause che determinano la debolezza dell’edificio e, di conseguenza, cosa si può fare per ridurla individuando quello che è realmente necessario. Ciò eviterà sia di fare meno di quanto è necessario per salvaguardare la nostra vita e quella della nostra famiglia, sia più del necessario per salvaguardare ….il nostro “portafoglio”. Ad esempio, per gli edifici in muratura, molto diffusi nei centri storici e nelle zone rurali, se il materiale delle pareti è di cattiva qualità bisogna intervenire per migliorare tale qualità ma, qualora anche i solai non siano idonei (ad es. solai con volte o in legno), senza intervenire anche su di essi non si riuscirebbe a ridurre significativamente la vulnerabilità. Per gli edifici con struttura in cemento armato, ossia i grandi fabbricati molto diffusi nelle zone urbane più recenti, è importante guardare alla qualità dei materiali (calcestruzzo e acciaio), ai particolari costruttivi (ad es. come sono disposte le barre di acciaio all’interno di pilastri e travi), e alle caratteristiche generali della struttura (forma regolare o irregolare, presenza e posizione delle tam39 ponature esterne, ecc.). Gli interventi che si possono fare per ridurre la vulnerabilità sono tanti e delle condizioni di sicurezza preesistenti. P er quanto riguarda il tipo di intervento, le posdi tipo diverso in termini di obiettivo, tecnica e tecsibilità sono numerose. Ecco alcune indicazioni nologia. Per quanto riguarda l’obiettivo, la riduzione della vulnerabilità può essere “totale” o tratte dalle attuali norme tecniche italiane: parziale: • rinforzo di alcune parti della struttura (pilastri, travi, ecc.); • interventi di adeguamento sismico finalizzato a dare all’edificio lo stesso livello di si- • aggiunta di nuovi elementi resistenti come, ad esempio, pareti in c.a. o controventi in acciaio; curezza previsto per gli edifici nuovi dalle • saldatura o ampliamento di giunti inadeguati norme tecniche vigenti; tra edifici adiacenti o inserimento di materiali • interventi di miglioramento sismico finalizatti ad attenuare gli urti; zati ad aumentare la sicurezza strutturale esistente, pur senza necessariamente rag- • eliminazione di eventuali piani “deboli” come il piano terra aperto attraverso la modifica o giungere i livelli richiesti dalle norme vil’inserimento di nuovi elementi strutturali; genti; • riparazioni o interventi locali di rafforza- • trasformazione di elementi non strutturali, come la tamponature in laterizio, in elementi mento che interessino elementi isolati, e che strutturali, ad esempio inserendo una incamicomunque comportino un miglioramento 40 • • • • ciatura in c.a.; riduzione delle masse, ad esempio eliminando una copertura pesante e sostituendola con materiali leggeri come il legno; limitazione o cambiamento della destinazione d’uso dell’edificio; demolizione parziale. introduzione di una protezione passiva mediante strutture di controvento dissipative e/o isolamento alla base. G li interventi devono ottenere il risultato di far crescere il rapporto tra la resistenza sismica dell’edificio (capacità) e l’azione del terremoto (domanda): gli interventi da 1. a 5. mirano essenzialmente a far crescere la capacità, quelli da 6. a 8. a far diminuire la domanda, l’intervento tipo 9. opera su entrambi i fattori. Come si vede si tratta di soluzioni tecniche diverse, da affidare a professionisti esperti che possano garantirne una applicazione “intelligente” in modo da ottenere il migliore risultato possibile in termini di efficacia tecnica e di efficienza economica. q 41 DA SOLO, FIN DA SUBITO • Allontana mobili pesanti da letti o divani. • Fissa alle pareti scaffali, librerie e altri mobili alti; appendi quadri e specchi con ganci chiusi, che impediscano loro di staccarsi dalla parete. • Metti gli oggetti pesanti sui ripiani bassi delle scaffalature; su quelli alti, puoi fissare gli oggetti con del nastro biadesivo. • In cucina, utilizza un fermo per l’apertura degli sportelli dei mobili dove sono contenuti piatti e bicchieri, in modo che non si aprano durante la scossa. • Impara dove sono e come si chiudono i rubinetti di gas, acqua e l’interruttore generale della luce. • Individua i punti sicuri dell’abitazione, dove ripararti in caso di terremoto: i vani delle porte, gli angoli delle pareti, sotto il tavolo o il letto. • Tieni in casa una cassetta di pronto soccorso, una torcia elettrica, una radio a pile, e assicurati che ognuno sappia dove sono. • Informati se esiste e cosa prevede il Piano di protezione civile del tuo Comune: se non c’è, pretendi che sia predisposto, così da sapere come comportarti in caso di emergenza. • Elimina infine tutte le situazioni che, in caso di terremoto, possono rappresentare un pericolo per te o i tuoi familiari. • N on tutti gli interventi che aumentano la sicurezza all’interno della casa in cui abitiamo richiedono il coinvolgimento di un tecnico o hanno bisogno di tempi lunghi di realizzazione e costi eco- • nomici. Il primo passo è guardarsi intorno e identificare nella nostra abitazione tutto ciò che in caso di terremoto può trasformarsi in un pericolo. La • maggioranza delle persone pensa che le vittime di un terremoto siano provocate dal crollo degli edifici. In realtà, molte delle vittime sono ferite da oggetti che si rompono o cadono su di loro, come televisori, quadri, specchi, controsoffitti. Alcuni ac- • corgimenti poco costosi e semplici possono rendere più sicura la nostra casa. Ad esempio: • 42 Allontanare mobili pesanti, come le librerie, da letti o divani o posti dove normalmente ci si riposa o ci si siede; • Fissare alle pareti scaffali, librerie e altri mobili alti; appendere quadri e specchi con ganci chiusi, che impediscano loro di staccarsi dalla parete. Porre gli oggetti pesanti sui ripiani bassi delle scaffalature e fissare gli oggetti sui ripiani alti con del nastro biadesivo In cucina, utilizzare un fermo per l’apertura degli sportelli del mobile dove sono contenuti piatti e bicchieri, in modo che non si aprano durante la scossa Imparare dove sono e come si chiudono i rubinetti di gas, acqua e l’interruttore generale della luce. Individuare i punti sicuri dell’abitazione, dove ripararsi in caso di terremoto: i vani delle porte, gli angoli delle pareti, sotto il tavolo o il letto. • • Tenere in casa una cassetta di pronto soccorso, una torcia elettrica, una radio a pile, e assicurasi zione alla salvaguardia della vita umana: quanti uomini, quali strutture di comando e controllo, quali che ognuno sappia dove sono. strade o itinerari di fuga, quali strutture di ricovero, aree sanitarie, etc. Informarsi se esiste e cosa prevede il Piano di protezione civile comunale: se non c’è, pretendere che sia predisposto, così da sapere come comportarsi in caso di emergenza. Il piano di protezione civile comunale Le aree di emergenza A ree destinate, in caso di emergenza, ad uso di protezione civile. Esse devono essere preventivamente individuate nella pianificazione di protezione civile e possono essere di tre tipi: n piano di protezione civile non è altro che il 1 Aree di ammassamento soccorritori e risorse. Luoghi, in zone sicure rispetto alle diprogetto di tutte le attività coordinate e di verse tipologie di rischio, dove dovranno tutte le procedure che dovranno essere adottate trovare sistemazione idonea i soccorritori e le per fronteggiare un evento calamitoso atteso in un risorse necessarie a garantire un razionale indeterminato territorio, in modo da garantire l’effettervento nelle zone di emergenza. Tali aree dotivo ed immediato impiego delle risorse necessarie vranno essere facilmente raggiungibili al superamento dell’emergenza ed il ritorno alle attraverso percorsi sicuri, anche con mezzi di normali condizioni di vita. Il Piano di protezione cigrandi dimensioni, e ubicate nelle vicinanze di vile o piano di emergenza è il supporto operativo risorse idriche, elettriche e con possibilità di al quale il Sindaco si riferisce per gestire l’emersmaltimento delle acque reflue. Il periodo di genza col massimo livello di efficacia. permanenza in emergenza di tali aree è comIl Piano deve rispondere alle domande: preso tra poche settimane e qualche mese. U a) quale eventi calamitosi possono ragionevolmente interessare il territorio comunale? b) quali persone, strutture e servizi ne saranno coinvolti o danneggiati? c) quale organizzazione operativa è necessaria per ridurre al minimo gli effetti dell’evento con particolare attenzione alla salvaguardia della vita umana? d) a chi vengono assegnate le diverse responsabilità nei vari livelli di comando e controllo per la gestione delle emergenze? I 2 Aree di attesa della popolazione. Sono i luoghi di prima accoglienza per la popolazione; possono essere utilizzate piazze, slarghi, parcheggi, spazi pubblici o privati non soggetti a rischio (frane, alluvioni, crollo di strutture attigue, etc.), raggiungibili attraverso un percorso sicuro. Il numero delle aree da scegliere è funzione della capacità ricettiva degli spazi disponibili e del numero degli abitanti. In tali aree la popolazione riceve le prime informazioni sull’evento e i primi generi di conforto. Le Aree di Attesa della popolazione saranno utilizzate per un periodo di tempo compreso tra poche ore e qualche giorno. l Piano di emergenza è dunque uno strumento di lavoro tarato su una situazione verosimile sulla base delle conoscenze scientifiche dello stato di ri- 3 Aree di accoglienza o di ricovero della popolazione. Sono luoghi, individuati in aree sicure schio del territorio, utile a dimensionare preventirispetto alle diverse tipologie di rischio e poste vamente la risposta operativa necessaria al nelle vicinanze di risorse idriche, elettriche e fosuperamento della calamità con particolare atten- 43 gnarie, in cui vengono installati i primi insediamenti abitativi per alloggiare la popolazione consentirne l’allestimento e la gestione. Rientrano nella definizione di aree di accoglienza o colpita. Dovranno essere facilmente raggiungibili anche da mezzi di grandi dimensioni per di ricovero anche le strutture ricettive (hotel, residence, camping, etc.). q Per saperne di più Cosa fare http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/cosa_fare_sismico.wp Piani di emergenza http://www.protezionecivile.gov.it/jcms/it/piano_emergenza.wp 44 PARTE TERZA: COME COMUNICARE TECNICHE DI COMUNICAZIONE: STORyTELLING a cura di Riccardo Rita “Ho imparato”, disse il filosofo, “che la testa non sente niente che il cuore non abbia già ascoltato, e che quel che il cuore sa oggi, la testa lo comprenderà domani”. (James Stephens, La pentola dell’oro, Adelphi) Introduzione la testa. Disse che sicuramente da quelle parti non c’era nessun museo, perché lui a Palermo c’era nato ualche tempo fa mi trovavo a un convegno or- e in quella via ci lavorava ogni giorno da vent’anni. ganizzato dal Ministero dei Beni culturali. Si È inutile che vi dica che, come si scoprì solo in sediscuteva delle strategie di comunicazione da adot- guito, mentre noi discutevamo, l’entrata del museo tare per far conoscere meglio ai cittadini la ric- si trovava esattamente dove si era sempre trovata, chezza del nostro patrimonio storico e culturale. anche negli ultimi vent’anni: ovvero alle spalle del Dopo una serie di interventi molto tecnici (e altret- parcheggiatore”. Q tanto noiosi) basati su statistiche, percentuali e uesta storia non solo aveva catturato l’attenslide che riportavano una serie di dati e numeri imzione di tutti, facendoci fare anche qualche ripilati gli uni sugli altri, prese la parola un dirigente di un certo progetto per la valorizzazione dei poli sata, ma conteneva più sostanza di tutti quegli interminabili grafici pieni di numeri. Con una narmuseali d’eccellenza. razione basata sulla propria esperienza personale, ravamo andati in missione a Palermo per un quel dirigente aveva messo a nudo il problema: sopralluogo al Museo Antonio Salinas”, at- buona parte del patrimonio culturale e artistico del taccò il dirigente. “Il Salinas – continuò – è tra i più nostro paese è pressoché sconosciuto alle persone, importanti poli archeologici del nostro Paese e pos- perfino quelle che ci lavorano davanti da vent’anni. siede, oltre a numerose testimonianze della storia E questa informazione, a differenza dei precedenti siciliana, una delle più ricche collezioni d’arte pu- interventi, c’era giunta attraverso un’emozione, nica e greca d’Italia. Viaggiavamo in automobile e non attraverso un’analisi. Avevamo appena assicercavamo di destreggiarci tra le vie del centro cer- stito a un brillante esempio dell’uso delle tecniche cando di intuire le indicazioni di un navigatore sa- di storytelling. La cui peculiarità è proprio quella di tellitare che perdeva continuamente la far passare le informazioni attraverso un processo connessione. Arrivati a uno spiazzo, dopo aver fatto emozionale. tre o quattro giri dello stesso isolato senza riuscire Da dove viene a raccapezzarci, ci siamo accostati per chiedere informazioni a un parcheggiatore abusivo che si ril termine storytelling non è così facile da traparava dal sole in un angolo ombreggiato della via. durre dall’inglese come potrebbe sembrare a Gli chiedemmo se cortesemente poteva indicarci la strada per il Museo Salinas. L’uomo alzò le spalle e prima vista. Generalmente viene tradotto con narci rispose che non l’aveva mai sentito nemmeno no- razione; altre, più liberamente, con l’arte di racconminare. Alla nostra insistenza cominciò a scuotere tare. Ciascuna di queste traduzioni, seppure Q “E I 46 funzionale, rinuncia alla ricchezza di sfumature che caratterizza il verbo to tell. Che non significa solo narrare, ma anche distinguere, dedurre, spiegare. Tre sfumature di significato che possono aiutarci a comprendere perché questa disciplina sia divenuta una tecnica di comunicazione sempre più fondamentale in quei campi che prevedano un’interazione diretta con le persone. Infatti distinguere, dedurre e spiegare sono le fasi basilari di ogni attività analitica, pedagogica, educativa e comunicativa. Lo storytelling applicato al mondo della comunicazione, sviluppato soprattutto negli Stati Uniti, è arrivato in Europa principalmente attraverso le tecniche adoperate nella politica e nel mondo del business. Il motivo è semplice: ci si è accorti che è un potente mezzo per influenzare le persone. Anche qui l’italiano non ci aiuta. Nella nostra lingua, influenzare qualcuno di solito significa condizionarlo, pertanto tendiamo ad associare questo termine a un’accezione negativa. In inglese invece il verbo to influence non ha niente di negativo e significa, piuttosto, influire, lasciare il segno. E in un mondo in cui è sempre più difficile catturare l’attenzione delle persone e coinvolgerle in un reale processo di condivisione, riuscire a lasciare il segno diventa essenziale. Che cos’è P agire per cavarsela. In questo senso, la narrazione ha rappresentato – e continua a rappresentare – un potente vantaggio evolutivo. La differenza tra storytelling e informazione S e raccontare storie serve a condividere esperienze e avvenimenti utili, che differenza passa tra fare informazione e fare storytelling? Risposta: la stessa differenza che, nell’introduzione, passava tra le presentazioni di interminabili elenchi numerici e la storia raccontata dal dirigente. Ma attenzione: tra le due esiste una connessione: sia i dati sia la storia raccontano la stessa cosa e, stranamente, ciascuna può essere vista come approfondimento e complemento dell’altra. Quando si parla di informazione, in Italia le prime due cose che ci vengono in mente sono ancora i quotidiani e i telegiornali. Tra questi ultimi, il TG5 di Enrico Mentana nei primissimi anni ’90 fu il primo a introdurre elementi narratologici che contribuirono a renderlo uno dei telegiornali più seguiti e apprezzati dell’epoca. Invece di proporre ai telespettatori una serie di notizie selezionate ed elencate solo in base all’importanza, come accadeva negli altri TG, si cominciò a preparare una scaletta che fosse coerente anche da un punto di vista narrativo, di modo che, per quanto possibile, ogni notizia fosse conseguenza della precedente o perlomeno stabilisse con essa un legame per affinità o associazione di idee. Questo legame narrativo era enfatizzato – e talvolta creato di sana pianta – dal conduttore, che veniva così ad acquisire elementi da storyteller, abbandonando la postura istituzionale e un po’ ingessata che aveva caratterizzato la conduzione dei telegiornali fino a quel momento. ossiamo definire lo storytelling come un particolare insieme di modalità comunicative basate sull’utilizzo di forme narratologiche. Semplificando, lo storytelling definisce alcune regole base per comunicare in un modo che, oltre a essere chiaro, sia anche coinvolgente – e queste regole non le inventa, ma le va a pescare pari pari dall’antica arte di raccontare storie. La narrazione ha origini ancestrali, ci ha accompagnato per decine Quando usarlo di millenni nel corso di tutta la nostra evoluzione. gni volta che desideriamo stabilire un canale Raccontare storie serve a condividere esperienze, di comunicazione con una o più persone. Lo in modo che non sia necessario vivere in prima per- storytelling, più che essere un insieme di tecniche, sona, per fare un esempio pertinente, una situa- è una modalità attraverso cui stabilire una relazione pericolosa per conoscere il modo corretto di zione con gli individui cui ci rivolgiamo. Questa re- O 47 lazione si crea grazie a una specifica comunanza: ogni essere umano possiede nel proprio bagaglio culturale (e probabilmente anche genetico) il retaggio dei millenni passati ad ascoltare storie attorno al fuoco. Ognuno di noi racconta storie, costantemente, da quando è nato. Il giorno ai colleghi, la sera agli amici o alla famiglia, raccontando com’è andata la giornata. Raccontare e ascoltare fa parte di noi, e quando qualcuno si pone nei nostri confronti in modalità narrativa ci predisponiamo quasi sempre con un grande e istintivo interesse. E dopo che la persona in questione ci ha raccontato la sua storia, avvertiamo con lei un legame, come se averla ascoltata, in qualche modo, ci rendesse coprotagonisti di quella particolare vicenda (fenomeno spiegato scientificamente con la scoperta dei neuroni-specchio). Avere una modalità narrativa consente di utilizzare questa naturale predisposizione delle persone (predisposizione non altrettanto diffusa se la modalità è semplicemente informativa). Come utilizzare la modalità narrativa delle tecniche di storytelling C cromovimenti dei muscoli facciali; ma se li prendiamo nel loro insieme, qui ci basta sottolineare che hanno a che fare con la mancanza di autenticità. Autenticità L a prima regola da rispettare è essere sempre autentici. Questo accade quando siamo convinti e sicuri di quello che stiamo comunicando e quando le motivazioni che ci spingono a farlo risiedono nel desiderio sincero di essere utili nel rispetto della libertà dell’interlocutore (che ha sempre il diritto di non ascoltarci). Ciò si traduce in un desiderio di stabilire un canale comunicativo biunivoco che consente, all’interlocutore, di interagire con chi comunica. Inoltre, la narrazione non deve mai tentare di nascondere eventuali zone d’ombra dell’informazione: sarebbe percepito come manipolatorio. Reciprocità C ome abbiamo visto, l’approccio narrativo alla comunicazione mira a stabilire una relazione tra chi parla e chi ascolta. Questa relazione deve essere basata sull’etica della reciprocità: se il nostro interlocutore decide di donarci parte del suo tempo, noi dobbiamo fare altrettanto, restando pienamente concentrati su di lui per il tempo necessario. Basta distogliere lo sguardo un attimo per salutare un collega per spezzare questo implicito patto di reciprocità. Se il comunicatore si appassiona alla costruzione della relazione comunicativa con l’interlocutore, quest’ultimo tenderà a lasciarsi coinvolgere e ingaggiare nel processo, massimizzando la possibilità che diventi in seguito egli stesso parte attiva nella diffusione del messaggio. ome abbiamo visto, tutti raccontiamo costantemente episodi, aneddoti, storie, esperienze. Quindi ciascuno di noi possiede, senza magari esserne consapevole, delle doti da storyteller. Un po’ come succede con la musica: non serve conoscere l’armonia musicale per fischiettare sotto la doccia, come non ci occorre conoscere il nome di una nota o la tonalità di una composizione per accorgersi di una stonatura. Allo stesso modo ciascuno di noi sa riconoscere una storia raccontata bene o un messaggio comunicato efficacemente, senza dover essere per forza narratologi o copywriter pubblicitari. In modo ancora più preciso riusciamo a capire quando il nostro interlocutore non è sincero, non è egli stesso interessato o non crede nel Mai spingere, ma sempre attirare messaggio che vuole trasmetterci. Questa informazione passa attraverso una serie di indicatori che, utte le modalità che tendono a esercitare una presi a uno a uno, hanno a che fare con la postura, forma di pressione sulle persone vengono percol tono di voce, con lo sguardo, con i gesti e i mi- cepite come sgradevoli. Al contrario, le modalità T 48 che tendono ad attirare gradualmente l’attenzione delle persone sono percepite come oneste e rispet- tose. Le scuole di business management e comunicazione d’impresa distinguono tra push-strategy e pull-strategy. Le prime tendono a obbligare le persone all’interno di un processo prestabilito; le seconde mirano a farle aderire spontaneamente a un processo che sia il più possibile condiviso. In un processo comunicativo queste strategie si incarnano in un mero trasferimento delle informazioni (push-strategy) e nell’instaurazione di una relazione, anche umana, capace di invogliare l’interlocutore a saperne di più o perfino a impegnarsi in prima persona (pull-strategy). Fiducia Q uando ci si pone nei confronti di qualcuno in modo autentico, dedicandogli la nostra più attiva e presente attenzione attraverso un processo basato su una pull-strategy, di fatto si crea con lui un rapporto di fiducia. Ciò che va assolutamente notato è che la fiducia non viene emanata dal comunicatore, ma dal che cosa e (soprattutto) dal come egli lo comunica. La modalità narrativa consente di illuminare le persone che ci ascoltano con la luce della fiducia. I più influenti esperti statunitensi di storytelling si spingono addirittura a definirla faith, fede. È la luce emanata dalla storia (o più generalmente dal processo di comunicazione narrativo) che si riverbera sull’oratore conferendogli un’aura di affidabilità. (Di nuovo, gli americani usano un termine più forte: dicono che la modalità narrativa è capace di rendere trustworthy l’oratore agli occhi dell’ascoltatore. Trustworthy significa, sì, affidabile, ma anche leale, attendibile, degno di fiducia). È importante comprendere questo punto. Si potrebbe obiettare che, indipendentemente da quello che dicono, alcune persone vengono istintivamente percepite come più o meno affidabili delle altre. Non mi soffermerò a cavillare sul fatto che qualsiasi percezione, anche quella che talvolta definiamo “a pelle”, si fonda su dei precisi, per quanto sottili, processi comunicativi. Mi limiterò a sottolineare che la comune disposizione ad accordare fiducia può dipendere da molti differenti fattori, alcuni dei quali attinenti a eventuali pregiudizi. Ascoltate questa: “Nell’ottobre del 1992, circondata da altre quattrocento persone, sedevo in un freddo tendone nei pressi di Jonesborough, nel Tennessee, aspettando di ascoltare il prossimo storyteller. Le persone presenti andavano dal ricco al povero, dal cittadino al campagnolo, dal professore universitario al lavoratore con appena la licenza elementare. Accanto a me sedeva un agricoltore dalla lunga barba grigia che ostentava una spilletta della NRA [National Rifle Association, L’associazione dell’ultradestra americana pro armi da fuoco] infilata sul cappello. Quando sul palco un uomo afroamericano prese la parola, l’agricoltore si voltò verso la moglie sussurrandole qualcosa con un tono irritato, qualcosa che includeva la parola “negro”. Mentalmente, lo sfidai immediatamente a ripeterlo. Ma lui si limitò a incrociare le braccia cominciando a esaminare la struttura del tetto del tendone. Lo storyteller afroamericano iniziò a raccontare la storia di una notte trascorsa nel cuore più profondo dello stato del Mississippi. Erano gli anni sessanta. Lui e altri sei attivisti si erano accampati nel buio della campagna e non riuscivano a non pensare ai rischi che avrebbero corso l’indomani, durante una dimostrazione contro la segregazione razziale. Raccontò di come fissavano il fuoco in silenzio e di come uno di loro a un tratto incominciò a cantare e con quel canto riuscì ad alleggerire il cuore di tutti. La sua storia era talmente reale che riuscivamo a percepire la stessa paura e a vedere la stessa luce scoppiettante di quel fuoco da campo. D’un tratto ci chiese di cantare insieme a lui. Lo facemmo. Quattrocento gole umane che vibravano all’unisono sulle note di Swing Low, Sweet Chariot come un immenso organo a canne. Accanto a me, anche l’agricoltore cantava. E vidi una lacrima che gli scendeva giù, lungo la guancia. Ero appena stata testimone della potenza di una storia. Se un attivista 49 afroamericano poteva riuscire a toccare il cuore di un agricoltore ultraconservatore e razzista, beh, volevo imparare a riuscirci anch’io”. l’oratore sta pensando ad altro, oppure una storia in cui, mentre parla con la gente, l’oratore non può fare a meno di lanciare occhiate alla ragazza che gli piace mentre flirta proprio con il tizio che gli sta più raccontare questa sua esperienza, che dimo- antipatico. Insomma, indipendentemente da quello stra da dove provenga la fiducia, è stata An- che diciamo, il nostro interlocutore si costruirà una nette Simmons, che da quel giorno cominciò a sua storia basata su ciò che stiamo realmente costudiare assiduamente lo storytelling fino a diven- municando con tutto il nostro essere. E solo se tare uno dei massimi esperti mondiali della mate- quello che stiamo comunicando è una narrazione – ria. Qualsiasi altra modalità comunicativa molto qualcosa che raccontiamo con autenticità, presenza probabilmente non sarebbe riuscita ad attirare (reciprocità) e rispetto (pull- strategy) – la storia dapprima l’attenzione e infine stabilire un reale che si costruisce l’ascoltatore sarà identica a quella contatto tra due realtà umane tanto diverse. L’agri- che noi gli stiamo raccontando. coltore, a causa del suo retaggio culturale e sociale, sulle prime non ha ritenuto degno di fiducia l’oraI sei tipi di storie tore afroamericano, cominciando perfino a fissare il soffitto mentre quello parlava. Ma la modalità e storie (sempre in senso molto ampio) che narrativa è uno strumento potente: riesce a comraccontiamo quando agiamo in un processo copiere il miracolo dell’immedesimazione. Nessuno di solito si immedesima in un grafico o in una ta- municativo possono essere, sostanzialmente, di sei bella. Ma tutti ci possiamo identificare con i prota- tipi diversi: gonisti di una storia. 1 Le storie che dicono “Chi sono” (Who I am stories) Di cosa parliamo quando parliamo di storie 2 Le storie che dicono “Perché sono qui” (Why I am here stovviamente quando parliamo di storie lo facries) ciamo in senso lato. Uno spot pubblicitario è 3 Le storie che raccontano una “Viuna storia. Una canzone è una storia. Una brochure, sione” (The vision stories) un sito web, un volantino – se sono ben fatti – rac4 Le storie pedagogiche (Teaching contano, talvolta letteralmente, una storia. La mostories) dalità narrativa può essere utilizzata con profitto 5 Le storie che mostrano i “Valori in ogni attività comunicativa. Il modo in cui un voin azione” (Values-in-action stolontario si pone nei confronti di un cittadino che si ries) avvicina, racconta una storia; le parole che sceglie, 6 Le storie che leggono nella il tono di voce, le azioni che compie e perfino la pomente (I know what are you thinstura che assume – raccontano una storia. Se parking stories) lando con i miei interlocutori tengo la punta delle A L O dita nelle tasche dei jeans, quest’ultimi vedranno la storia di una persona che non ha voglia di fare quello che sta facendo e che, probabilmente, vorrebbe essere in qualunque altro posto tranne quello. Se invece sposta continuamente lo sguardo altrove, l’interlocutore immaginerà una storia in cui 50 Naturalmente si tratta di una semplificazione, e quel che accade nella realtà è che molto spesso queste tipologie si intrecciano creando narrazioni molto articolate e complesse. Si può dire che quanto più le tipologie sono intrecciate, tanto più il processo comunicativo risulta completo. Invece sieme della narrazione: i pregiudizi sono false sodi elencare una descrizione analitica per ciascuna vrastrutture che una modalità comunicativa basata delle sei tipologie, preferisco utilizzare un processo maieutico capace di farci comprenderne l’essenza e le infinite sfaccettature. Cominciamo analizzando la prima delle due storie raccontate: quella sul Museo Salinas di Palermo, e proviamo a ricostruire la tipologia “Chi sono” intrecciata nella narrazione. Il dirigente non lo ha detto, ma noi possiamo con buona approssimazione inferire che si tratta di una persona scrupolosa, che crede nel suo lavoro, probabilmente dotata di intuizione, senso dell’umorismo e di una buona capacità di osservazione e di sintesi. Per quanto riguarda il “Perché sono qui” possiamo immaginare a buon diritto che si trovasse là perché credeva che lo stato di ignoranza (in senso tecnico) di gran parte dei cittadini nei confronti delle ricchezze storiche e culturali del proprio territorio fosse intollerabile e bisognasse porvi rimedio. Non è nemmeno difficile individuare la tipologia pedagogica (la morale potrebbe essere: se non vivi più a fondo la tua città e il tuo quartiere rischi di non sapere nemmeno quel che ti sta alle spalle… oppure: un Paese che non sa guardarsi attorno, finisce per non saper nemmeno più guardare avanti… etc.), mentre è più difficile individuare la visione (nella realtà, la visione arrivò dopo, verso la fine dell’intervento, che io naturalmente ho tralasciato), i valori-in-azione e la lettura della mente. (Su quest’ultima vale la pena specificare che si tratta di un modo originale per indicare quelle storie in cui l’ascoltatore ha la sensazione che l’interlocutore gli abbia letto nel pensiero; quelle storie che ti fanno esclamare: “ecco, lo vedi, lo dico sempre!”, oppure: “accidenti quanto è vero!”, etc.) C ombinazione vuole che le tipologie mancanti nella prima storia siano invece fondanti della seconda. Non è difficile, infatti, individuare nella storia dell’agricoltore razzista i valori in azione: sono quelli della condivisione, della concordia e comunanza pur tra persone diversissime tra loro. Allo stesso modo, l’aspetto pedagogico si evince dall’in- sull’autenticità, la reciprocità e il rispetto può far crollare in pochi minuti. La visione, infine, è incarnata dalla stessa pratica dello storytelling, che viene presentata come un mezzo capace di realizzare quel che altrove viene considerata un’utopia: la vera comunione tra tutti gli esseri umani. Qualche riflessione e un paio di suggerimenti L ’uso dello storytelling, alla fine di questa breve presentazione, dovrebbe risultare abbastanza chiaro in tutte quelle occasioni in cui ci capiterà di salire su un palco, ma probabilmente assai più fumoso in tutte le altre situazioni. Questo accade perché non siamo abituati a pensare a noi stessi come animali narranti. Ma soprattutto non siamo abituati a pensare alla nostra stessa vita come a una narrazione. Eppure, a ben vedere, è proprio quello che è. Già Sant’Agostino aveva intuito che è solo nella memoria che un essere umano può trovare se stesso: quando ci riferiamo a noi stessi, in realtà ci riferiamo a ciò che di noi ricordiamo, e da quei ricordi stratificati nel tempo ricaviamo una narrazione coerente della nostra identità. Lo stesso, naturalmente, facciamo con gli altri. Dire che qualcuno “non è più lo stesso” implica che stiamo raffrontando l’attuale percezione (che subito diventa ricordo) con la tipologia “chi sono” (in questo caso, “chi è”) applicata a quel qualcuno sotto forma di una narrazione antecedente che conserviamo nella memoria. Ne consegue che i nostri pensieri, le nostre considerazioni, le nostre scelte si basano sul processo narrativo con cui concepiamo noi stessi, gli altri e il mondo. Perciò: • • Ogni nostra azione, l’azione di chiunque altro e qualsiasi avvenimento, si manifestano all’interno di un processo narrativo; Non esiste la non-comunicazione. Non co- 51 • • • • • • 52 municare è un modo di comunicare (pensate a quando evitiamo qualcuno dopo un in quella dell’agricoltore il lato poetico è incarnato dalla sua conversione alla fratel- litigio). Ugualmente, non esiste la non-narrazione: se non raccontiamo una storia, il nostro interlocutore se ne racconterà una autonomamente; Quando interagiamo con il prossimo assumiamo istintivamente una differente modalità espressiva: lo storytelling è l’arte di rendere consapevole questo processo e di affinarlo, massimizzandone l’efficacia; Prepariamoci al gesto di comunicare, riflettiamoci sopra. Se dobbiamo comunicare qualcosa inerente a un argomento specifico, non basta documentarsi e imparare a memoria la lezione. Soffermiamoci a ragionare sul cuore dell’argomento. Cerchiamo di ricordare se abbiamo mai avuto, nel corso della vita, una qualche esperienza diretta al riguardo, qualcosa che possa essere trasmesso, all’occorrenza; Se abbiamo il compito di fornire informazioni utili su un determinato argomento, confrontiamoci dapprima, in modo diretto, con il maggior numero di persone possibili. Discutiamone con calma e attenzione, cercando di individuare i punti di forza e di debolezza di quello stesso confronto. Ci torneranno utili sul campo; Interroghiamoci sempre così: “Riguardo a questo, io cosa vorrei sapere?”. Di solito alle persone serve sapere quello che occorre anche a noi. Oppure: “Detta così, se non ne sapessi nulla, io la capirei?”; Quando l’interlocutore ci interrompe, non interrompiamolo a nostra volta. Ascoltiamo con interesse a cosa vuole arrivare anche quando dovesse sembrarci inutile o prevedibile. Se vogliamo avere tempo, dobbiamo dare tempo; Proviamo sempre a individuare quello che definisco il lato poetico dell’informazione. Basta poco, quando si tratta di “storie pure”: lanza anche con un uomo di colore. In una comunicazione tecnica è più difficile, ma bisogna sforzarsi comunque di estrarre il lato umano (spesso rappresentato proprio da chi sta comunicando); Mai nascondere i propri punti deboli, come la timidezza o l’insicurezza su alcuni argomenti (nessuno può sapere tutto): sono un potente strumento d’immedesimazione per chi ascolta; Non proviamo mai a nascondere parte dell’informazione. La gente capisce al volo quando qualcuno tenta di manipolarlo. Se ci sono zone d’ombra, insicurezze implicite nel messaggio o episodi del passato che contraddicono il messaggio stesso, affrontiamoli. Spieghiamo perché, nonostante quelle ombre, noi proponiamo quel messaggio. E se non lo sappiamo spiegare, facciamoci aiutare da chi sa farlo. Le persone si sentiranno rispettate nella propria autonoma capacità di giudizio. • • Conclusioni S e non esistesse un sostanziale equivoco alla base di ciò che di solito consideriamo comunicazione, forse non avremmo nemmeno bisogno della parola storytelling. Gli uffici di comunicazione di imprese e istituzioni troppo spesso si limitano a emettere comunicati stampa, manifesti o pagine web informative, come se la comunicazione fosse un processo unidirezionale che va dall’alto verso il basso (top-down process) invece di un gesto di comunione bidirezionale. Siamo abituati a dire, piuttosto che a comunicare. Chiunque abbia un figlio, un alunno, una moglie o un marito sa benissimo che ci si può svociare senza per questo entrare in comunicazione. Non è un caso che il motto di un grande narratore come Ernest Hemingway fosse: “Show, don’t tell”, Mostralo, non dirlo. La modalità narrativa serve appunto a mostrare invece di dire, (pull-strategies) mettono in moto un meccanismo e contribuisce a instaurare un vero canale di comu- naturale di condivisione e partecipazione. Siamo nicazione. Comunicare significa letteralmente mettere in comune, rendere partecipi, e nessuno è partecipe se non partecipa, né può essere obbligato a sentirsi tale quando non lo è (push-strategy). L’uso delle modalità narrative dello storytelling stati geneticamente e culturalmente selezionati per fornire e acquisire informazioni attraverso racconti e narrazioni. E scegliere di non tenerne conto significa, semplicemente, scegliere di non comunicare. q Per saperne di più: libri e link Annette Simmons, The Story Factor (Perseus Books group, 2006). Un testo fondamentale per chi vuole capire le potenzialità di questa disciplina, ricco di esempi, suggerimenti e spunti. Disponibile solo in inglese. Doug Lipman, Improving Your Storytelling: Beyond the Basics for All Who Tell Stories in Work and Play (August House, 2005). Si tratta di un testo dedicato a chi ha già sentito parlare di storytelling che, con uno stile semplice e intuitivo, approfondisce l’argomento attraverso tecniche, esercizi ed esperienze vissute. Pensato sia per chi utilizza lo storytelling nella comunicazione sia per chi lo pratica nell’intrattenimento. Disponibile solo in inglese. Stephen Denning, The Leader’s Guide to Storytelling: Mastering the Art and Discipline of Business Narrative (John Wiley and sons, 2008). Un saggio più tecnico rispetto agli altri, dedicato soprattutto a chi usa lo storytelling per motivare, ispirare e influenzare le persone. Disponibile solo in inglese. Andrea Fontana, Manuale di storytelling. Raccontare con efficacia prodotti, marchi e identità d’impresa (Etas, 2009). Testo utilizzato nel corso “Storytelling e narrazione d`Impresa” presso l’Università degli Studi di Pavia. Declinato soprattutto sugli aspetti di marketing interno ed esterno, ma comunque utile. In italiano. Christian Salmon, Storytelling, la fabbrica delle storie (Fazi Editore, 2008). Un libro per tutti, che affronta con uno stile avvincente il tema partendo (apparentemente) da lontano per arrivare alla vera essenza della narrazione. In italiano. www.storytellinglab.org – Un portale italiano che propone agli iscritti informazioni, lezioni e seminari dedicati alle tecniche di storytelling. L’iscrizione è piuttosto costosa ed è perciò dedicato prevalentemente ai professionisti. 53 UNA RETE PER NON FINIRE NELLA RETE a cura di Andrea Cardoni “Quando un’opinione viene rappresentata da un’associazione,assume una forma più chiara e più precisa. Consente ai suoi sostenitori di contarsi e li coinvolge nella propria causa; li induce a conoscersi tra loro e il numero aumenta lo zelo. Un’associazione mette insieme energie di ispirazione divergente e le dirige vigorosamente verso un unico fine indicato con chiarezza” (A. De Toqueville). Introduzione. La rete spiegata con i sei gradi di separazione: è un mondo piccolo affinché chi riceve per primo la lettera possa sapere da chi proviene. 2 STACCATE UNA CARTOLINA POSTALE, COMtanley Milgram era un sociologo di Harvard che PILATELA E RISPEDITELA ALL’UNIVERSITA’ si interessò, tra i suoi vari studi, anche alla DI HARVARD. L’affrancatura non è necessaria. struttura della rete sociale. L’obiettivo di Milgram La cartolina è molto importante: ci permetterà era capire quale fosse la “distanza” tra due cittadini di seguire le tracce del documento nel suo qualsiasi negli Stati Uniti. Alla base dell’esperiviaggio verso il destinatario finale. mento c’era la seguente domanda: quanti contatti 3 SE CONOSCETE DI PERSONA IL DESTINATAsono necessari per connettere fra loro due indiviRIO FINALE, SPEDITEGLI/LE DIRETTAMENTE dui scelti a caso nella società? Milgram cominciò seIL DOCUMENTO. Fatelo soltanto se lo avete già lezionando due destinatari finali, la moglie di uno incontrato in precedenza e se vi date del tu. studente di teologia nella città di Sharon, nel Mas4 SE NON CONOSCETE DI PERSONA IL DESTIsachussetts, e un agente di cambio, a Boston. Scelse NATARIO FINALE NON CERCATE DI CONTATpoi i centri di Wichita, nel Kansas, e Omaha, nel NeTARLO DIRETTAMENTE. SPEDITE INVECE braska, come punti di partenza per la ricerca. Per QUESTO DOCUMENTO (COMPLETO DI CARl’esperimento era stata recapitata una lettera ad alTOLINA POSTALE) A UN VOSTRO CONOcuni abitanti di Wichita e Omaha selezionati casualSCENTE CHE RITENETE ABBIA MAGGIORI mente, cui veniva proposto di partecipare a uno PROBABILITA’ DI CONOSCERE IL DESTINATAstudio sul contatto sociale negli Stati Uniti. Ogni RIO FINALE. Potete spedirlo ad un amico, a un busta conteneva una breve spiegazione sugli obietparente, a un conoscente, ma deve essere tivi dell’esperimento e una fotografia con il nome, qualcuno cui date del tu. l’indirizzo e poche altre informazioni sui destinatari finali. In calce le seguenti istruzioni: S COME PRENDERE PARTE A QUESTO STUDIO 1 AGGIUNGETE IL VOSTRO NOME ALLA LISTA CHE TROVATE IN FONDO A QUESTO FOGLIO, 54 M ilgram temeva il fallimento dell’esperimento per mancanza di collaborazione delle persone coinvolte. Invece, dopo pochi giorni, attraverso due soli passaggi arrivò la prima lettera. Si trattava, come risultò in seguito, del percorso più breve fra quelli registrati. Alla fine dell’esperimento tornarono indietro quarantadue lettere su centosessanta, alcune attraverso non più di una decina di intermediari. Queste catene che avevano completato il loro percorso permisero a Milgram di determinare il numero di persone che occorrevano per far giungere la lettera al destinatario finale. Il risultato fu che, in media, il numero minimo di intermediari necessari è 5,5. Nel tentativo di trovare conferma alle proprie conclusioni, nel 1970 Stanley Milgram ideò un altro esperimento. Considerato che negli Stati Uniti, a causa della segregazione razziale, bianchi e neri erano socialmente assai distanti, mandò le lettere a dei losangelini bianchi scelti a caso, pregandoli di inoltrarle a dei newyorkesi neri scelti anch’essi a caso. In teoria, l’esperimento avrebbe dovuto indicare più fedelmente la distanza massima all’interno di una rete sociale. Ma quando le lettere arrivarono a destinazione, i risultati non furono diversi da quelli precedenti. Ancora una volta la maggior parte delle lettere giunse ai destinatari in circa sei passaggi. Nel 2001, Duncan Watts, professore del Dipartimento di Sociologia della Columbia University di New York, ripeté, insieme ad alcuni collaboratori, l’esperimento utilizzando internet e la posta elettronica come strumento di comunicazione. Scelsero diciotto destinatari di tredici nazioni diverse e seguirono le catene di e-mail inviate. Più di 60mila messaggi (61.168) generarono 24.163 catene. Di esse 384 si conclusero con il raggiungimento del destinatario. Non sorprendentemente, la distanza media misurata varia tra 5 e 7 a seconda che il mittente e il destinatario appartengano allo stesso Paese o a Paesi diversi. L’idea dei sei gradi di separazione suggerisce che all’interno della società, per quanto grande, possiamo muoverci velocemente seguendo i contatti sociali fra una persona e l’altra: la società è una rete di sei miliardi di nodi dove la distanza media fra un nodo e l’altro non è superiore a sei link. Stanley Mil- gram ha provato che non solo siamo tutti connessi, ma che viviamo in un mondo dove per connettersi bastano poche strette di mano. Viviamo, cioè, in un mondo piccolo. La rete del volontariato: dieci consigli pratici e qualche “non”. I l volontariato in Italia è composto da 40mila associazioni. Ne fanno parte circa sei milioni di persone (dati Istat 2011). Far comunicare una realtà così eterogenea nel mondo della comunicazione è un compito arduo: per questo esistono coordinamenti, enti, associazioni di associazioni che tentano di far emergere messaggi, immagini e strumenti che, come per questa campagna di comunicazione di pubblica utilità, siano capaci di generare comportamenti pro-attivi per comunità e persone che vivono in zone sismiche. Se il volontariato è una delle forme del capitale sociale, e la comunicazione è il motore del capitale sociale, il volontariato deve fare comunicazione. Quanto affermato non è un sillogismo: in quanto unica possibile voce delle aree più deboli della società, il volontariato ha il «dovere di comunicare» (M.E. Martini); l’associazionismo ha un ruolo fondamentale non solo perché è un mezzo per diffondere le nuove tecnologie della comunicazione, considerandole veri e propri «vettori di diffusione» (P. Zocchi). I sei gradi di separazione illustrati precedentemente dimostrano che la società è una rete e il volontariato, a sua volta, è una rete di reti. Per fare questo, pur rispettando le specificità dei singoli territori, è necessario che le informazioni e la catena di informazioni che costituisce tutto il percorso di questa campagna di comunicazione siano ben coordinate e siano coerenti con i messaggi della campagna. Di seguito vengono illustrati dieci consigli pratici 55 (più uno) per strutturare un piccolo ufficio stampa comune a tutte le associazioni, che dovrà lavorare rallelo con la comunicazione che il Dipartimento di Protezione Civile e Anpas metteranno in rete al fine di rendere più efficace la campagna: in atto a livello nazionale. 1 Il responsabile di ogni piazza, meglio se un referente specifico per la comunicazione, deve comunicare i dati (indirizzo, e-mail e telefono) ai referenti della comunicazione della campagna presso il Dipartimento della Protezione Civile e di Anpas. 8 Stringere rapporti amichevoli con gli uffici stampa di altre associazioni e istituzioni locali che sono in contatto con la nostra associazione (anche in questo caso creare un elenco è la soluzione più pratica per non dimenticarsi di nessuno). 2 Mappare le testate e le redazioni locali e quelle di settore: può essere utile creare un elenco di testate cartacee e web della piazza corrispondente, completo di nomi, telefoni (quando è possibile) e e-mail. A questo scopo occorre procurarsi sempre almeno un numero della testata o leggere qualche articolo sul web per capire quale giornalista si occupa di volontariato, quale di rischio sismico o di protezione civile. 9 Realizzare un file standard per l’impaginazione della rassegna stampa. Fermandosi un po’ a ragionare, una volta stabilite le caratteristiche dell’impaginato, ogni mese (o ogni bimestre, trimestre, etc) sarà necessario fare solo un copia incolla e non fermarsi ogni volta a fare valutazioni di carattere estetico su tutta la rassegna stampa. 3 Mappare blogger, profili facebook, twitter, flickr, etc. di singole persone o altre organizzazioni, comitati o movimenti che potrebbero veicolare i contenuti e gli eventi legati alla campagna “Terremoto io non rischio”. 4 Condividere questi contatti con i referenti nazionali della campagna. 5 Creare un archivio di immagini adatte a essere inviate insieme ad articoli e comunicati: fotografie dei volontari e immagini della campagna. 10 Aggiornare periodicamente ogni elenco e ogni contatto: i siti e i giornali chiudono ma soprattutto ne nascono di nuovi ogni giorno. 10+1 Per ogni dubbio, idea, proposte riguardanti la comunicazione della campagna, chiedere sempre maggiori informazioni ai referenti, a livello nazionale, della campagna. Cinque cose da non fare • • • 6 Creare una cartella stampa, ovvero raccogliere in associazione tutte le informazioni che possono essere utili per un giornalista e riorganiz- • zarle in modo efficace per essere passate alla • stampa. Nella cartella stampa si possono inserire anche 4/5 foto (un totale, piani americani e mezza figura), con un formato 2400x1600 pixel, risoluzione 240 DPI. 7 Fissare un calendario (con le scadenze per invii) delle attività che la persona incaricata di avere i rapporti con la stampa deve fare in pa56 Non modificare loghi di nessuno degli enti Non modificare il logo della campagna Non modificare l’immagine e i font della campagna Non modificare i colori della campagna Non modificare i contenuti della campagna. q COMUNICARE CON UN GIOCO Totem Io Non Rischio a cura di Delia Modonesi e Flaminia Brasini Il totem è una installazione composta da scatoloni sovrapposti, colorati e illustrati, che contiene piccole proposte di interazione per facilitare la comunicazione tra volontari e cittadini. l totem si compone di quattro facce, ognuna dedicata a un’interazione su un aspetto del rischio. I Interazione 1: la linea del tempo ome si presenta: la prima interazione consiste in una linea temporale: un filo teso che parte da uno spigolo del gazebo lo segue per due lati e infine si aggancia al totem. C Lungo il filo, appesi con mollette, ci sono immagini e documenti riferibili a eventi sismici locali, collocati in ordine cronologico dal più lontano al più vicino. Si tratta di segnali della presenza del terremoto nella storia del luogo. Come si usa: il volontario invita il visitatore a percorrere la linea del tempo dal passato ad oggi e a guardare le tracce che il terremoto ha lasciato sul territorio. Finito il percorso il volontario può porre alcune domande per discutere: cosa si capisce dai documenti? Cosa è successo in questo territorio? Che conseguenze ci sono state nella città, sugli edifici, alle persone? Le cose viste potrebbero suscitare ricordi, stimolare le conoscenze dei visitatori e provocare emozioni (di stupore, preoccupazione, etc): in questo caso il volontario li inviterà a lasciare le loro tracce, appuntandole su un foglietto e collocandolo insieme agli altri sulla linea del tempo. Il volontario, mostrando al visitatore la mappa 57 delle massime intensità osservate in Italia, fa quindi la domanda: vivendo in questa zona che tipo di evento sismico possiamo aspettarci? Ora che hai visto la storia sismica del tuo territorio, e gli effetti che ha avuto in passato, pensi che abbia un qualche significato per il futuro? Interazione 2: rischio e responsabilità ema/contenuto: scoperta la storia e la sismicità del territorio, indaghiamo i diversi atteggiamenti che le persone possono avere di fronte al rischio sismico: dal fatalismo alle più estreme ipotesi di controllo. La domanda di fondo è: “cosa ci posso fare io?”. T Come si presenta: al centro della facciata è presente una illustrazione con una coppia di persone e dei palazzi in una zona sismica. Le figure “pensano”: cosa posso fare io? Intorno ci sono alcune piccole scene che rappresentano diversi atteggiamenti che si possono avere di fronte alla situazione di rischio. Ogni scena è incollata su una “finestrella” che si può sollevare: al di sotto c’è una immagine che rappresenta la conseguenza dell’atteggiamento scelto sulla incolumità delle persone e delle strutture. Come si usa: il volontario chiede ai visitatori di leggere l’immagine: cosa rappresenta? Si parla e si condivide la comprensione della situazione di partenza. Il volontario mostra quindi le immagini che rappresentano le diverse possibilità di scelta. Ogni visitatore indicherà la scena che meglio rappresenta il suo atteggiamento. Potrà decidere di informarsi, di riparare la sua casa, di fidarsi delle previsioni, di affidarsi alla fortuna, di non fare nulla, di scappare… seguenze della scelta fatta. Il gioco è uno stimolo alla riflessione e non un giudizio sui modi di sentire e comportarsi. Il visitatore si confronterà quindi da solo con le conseguenze delle sue scelte. Il volontario, se richiesto, potrà esplicitare meglio il significato di ogni figura. L’idea su cui si basa questa proposta è che alcune scelte ci mettono in sicurezza (informarsi, ristrutturare casa, etc), altre non ci danno garanzie. Obiettivo dell’interazione non è dare un giudizio alle persone, ma renderle consapevoli del loro spontaneo atteggiamento verso il rischio. Interazione 3: da solo – fin da subito Tema/contenuto: la terza faccia del totem parla di cosa ognuno può fare fin da subito. Come si presenta: l’exhibit si presenta come un quadernone ad anelli agganciato ad una faccia del totem. Sollevando la copertina il visitatore trova un gioco illustrato, una immagine in cui individuare elementi di arredamento su cui è possibile intervenire per aumentare la sicurezza della propria casa. Come si usa: il visitatore può tranquillamente giocare da solo e rendersi conto, aguzzando vista e ingegno, di quali sono le modifiche possibili per rendere sicuro l’arredamento della propria casa. La presenza del volontario è di verifica e stimolo delle scoperte. Analizzando i diversi elementi il volontario spingerà i visitatori a riflettere sulla situazione reale delle loro diverse case. Questa facciata del totem è la resa ludica e tridimensionale delle indicazioni del pieghevole. Interazione 4: se arriva un terremoto... ema/contenuto: la quarta faccia del totem riSollevando la finestrella della soluzione scelta si guarda i comportamenti corretti durante e troverà un’immagine che faccia riflettere sulle con- dopo un terremoto. 58 T Come si presenta: sulla faccia del totem sono rappresentati un ambiente casalingo e un ambiente esterno. Sulle figure sono poste diverse finestrelle da sollevare per trovare indicazioni di luoghi e azioni corrette e segnali di pericolo. Si tratta di un gioco per indovinare quali sono i posti sicuri e quelli pericolosi durante un terremoto. A seconda della scelta fatta c’è una risposta. Come si usa: viene chiesto al visitatore di scegliere in caso di terremoto dove andrebbe a ripararsi e cosa crede che possa succedere nell’ambiente in cui si trova. Il gioco è molto autoesplicativo e non ha bisogno di grosso intervento da parte del volontario. Questo deve essere presente a commentare eventualmente le varie scelte fatte, ma il visitatore deve essere lasciato libero di esplorare il più possibile gli ambenti e scoprire cosa ci può far stare sicuri e cosa ci mette in pericolo. Interazione 5: futuro e comunità ema/contenuto: il quarto lato del totem parla di cura del proprio territorio, collaborazione e futuro. T Come si presenta: la quarta faccia del cubo presenta una frattura che la attraversa da cima a fondo. Come si usa: il volontario chiede ad ogni visitatore di disegnare il profilo di una sua mano su un foglietto colorato e di lasciare una sua traccia: un messaggio, un consiglio, un desiderio… Ognuno può poi incollare la sua mano lungo la frattura, come a chiuderla: alla fine della manifestazione al posto di un territorio ‘spaccato’ avremo un territorio tenuto insieme dal contributo di tutti. q 59 SEMPLIFICAZIONE DEL LINGUAGGIO Obiettivo: farsi capire! a cura di Valeria Bernabei L e amministrazioni pubbliche utilizzano spesso scili la prima volta che li usi “classificazione siun linguaggio molto tecnico e specialistico lonsmica” → “il territorio italiano è classificato in tano dalla lingua parlata dai cittadini. Alcune ricerzone a diversa pericolosità”, “microzonazione che statistiche sull’argomento indicano che circa il sismica” →”indagini per individuare le aree che 60% della popolazione italiana non è in grado di possono amplificare lo scuotimento del terrecapire i testi prodotti dalle pubbliche amministramoto”. zioni. Parlare e scrivere con chiarezza, semplicità e precisione, con parole concrete e di uso comune faRidondanze Usa espressioni della lingua comune e evita il vorisce la comprensione del messaggio da parte di burocratese. chi ascolta. Ecco alcuni esempi: I testi dei materiali informativi della campagna di sensibilizzazione “Terremoto io non rischio” sono stati scritti rispettando alcune regole della semplificazione del linguaggio. • • • • • • • • • 60 Sintassi Utilizza frasi semplici, lineari e brevi: es. “È il crollo delle case che uccide, non il terremoto”; Preferisci i verbi ai nomi, cioè evita nominalizzazioni, es. “applicare modifiche” → “modificare” “provvedere allo stanziamento” → “stanziare”; Esplicita il soggetto e evita le forme impersonali, es. “in caso di dubbi” → “se hai qualche dubbio”; Preferisci frasi di forma affermativa, evita le doppie negazioni, es. non ignorare→ conosci, informati. Lessico Scrivi in modo breve e conciso, evita le espressioni prolisse e le parole ridondanti: Evita gli stereotipi e le frasi fatte; Preferisci le parole italiane a quelle inglesi, se sono ugualmente sostituibili “know-how” → “competenze”; Limita i termini tecnici - specialistici e defini- • • • • • • • • • entro (e non oltre) legge (vigente) commissione (apposita) requisiti (richiesti) un (particolare) tipo di Parole comuni Evita le espressioni di tono inutilmente elevato: ingiunzione → ordine erogare → pagare istanza → richiesta, domanda nonché → inoltre, anche, e Parole concrete e dirette Usa parole concrete e dirette, che aiutano il lettore a visualizzare il concetto: • • segnaletica → segnali nominativo → nome • • al fine di, a scopo di, con l’obiettivo di → per in caso di → se Preposizioni semplici Usa preposizioni semplici, invece di quelle complesse: U Organizzazione delle informazioni na volta scelte le informazioni utili, vanno disposte secondo una sequenza logica, che agevoli la lettura da parte del destinatario. Se il materiale informativo è diretto a un pubblico indifferenziato, le informazioni più generali devono pre- cedere quelle particolari. La campagna “Terremoto efficaci sono, invece, ad esempio: «Cosa fa lo Stato io non rischio” si rivolge a tutti i cittadini che pos- per aiutarti?», “Gli effetti di un terremoto sono gli siedono un’abitazione e, quindi, ad un pubblico indifferenziato. Di conseguenza, nelle prime facciate del pieghevole sono contenute informazioni di carattere generale sulla sismicità del territorio italiano e sul fatto che, allo stato attuale delle conoscenze, non sia possibile prevedere con certezza quando e precisamente dove si verificheranno i prossimi terremoti. Nelle facciate successive del pieghevole sono contenute, invece, informazioni più specifiche su cosa deve sapere il cittadino e cosa deve fare per la sua sicurezza. Per facilitare ulteriormente il lettore, può essere utile segnalare l’architettura del testo con titoletti. Se un testo è lungo va frammentato in paragrafi brevi, preceduti da titoli significativi, che servano come punti di ancoraggio per la “scansione visiva” della pagina alla ricerca di informazioni. I testi dei materiali della campagna sono stati organizzati con questa logica, suddividendo il testo in piccoli paragrafi preceduti da un titoletto o da una domanda che ne riassumono il contenuto. I titoletti devono essere precisi, chiari e sintetici. Un titolo come «Informazioni importanti» non serve a nulla, perché non dà nessuna informazione sul contenuto e obbliga il cittadino a iniziare la lettura del testo. Titoli stessi ovunque?”. Questi titoli individuano immediatamente l’argomento del testo e possono essere letti dando un’occhiata veloce al pieghevole. Grafica na buona scelta grafica può influire sulla qualità comunicativa del testo. Nello scrivere un testo, è buona regola fare attenzione a: • l’interlinea e i margini, la lunghezza delle righe e l’impaginazione a pacchetto, che possono influenzare la velocità di lettura; • la scelta del carattere, evitando quelli fantasiosi ed eclettici, usando un solo tipo di carattere e utilizzando il grassetto ed il corsivo con parsimonia. U Nei materiali della campagna sono stati utilizzati: margini e interlinee adeguati, in modo da rispettare l’equilibrio tra i pieni e i vuoti, caratteri tipografici grandi e font leggibili. La scelta del carattere tipografico (o font), infatti, è la spina dorsale della realizzazione grafica di un testo, perché ne influenza l’aspetto e la leggibilità più di ogni altra decisione tipografica. q Per saperne di più: www.ec.europa.eu/dgs/translation/rei/ REI - Rete per l’eccellenza dell’italiano istituzionale www.ec.europa.eu/translation/writing/clear_writing/how_to_write_clearly_it.pdf Scrivere chiaro: una guida per il personale della Commissione europea www.blog.mestierediscrivere.com/ Blog di Luisa Carrada con indicazioni utili per la scrittura sul web www.urp.it/ Urp degli Urp – Comunicazione pubblica in rete www.maldura.unipd.it/buro/ Linguaggio amministrativo 30 regole per scrivere testi amministrativi chiari chiaro e semplice, Università di Padova www.provincia.perugia.it./web/guest/rubriche/sopravvivereallapa/guidalinguaggio Provincia di Perugia – Guida alla semplificazione del linguaggio, “Sopravvivere alla pubblica amministrazione”, ovvero “sfida al burocratese” www.palestradellascrittura.it/ Un laboratorio di ricerca sul linguaggio, che si avvale dell’esperienza di un network di professionisti: giornalisti, copywriter, scrittori professionali, esperti del web, ricercatori, divulgatori scientifici, formatori www.unifg.it/dwn/urp/direttiva.pdf Direttiva sulla semplificazione del linguaggio delle pubbliche amministrazioni Dipartimento della Funzione Pubblica A. Fioritto (a cura di ) “Manuale di stile. Strumenti per semplificare il linguaggio delle amministrazioni pubbliche”, Il Mulino, 1997. 61 COMUNICAZIONE INTERPERSONALE Faccia a Faccia Interattività e ascolto a cura di Valeria Bernabei L a comunicazione interpersonale che coinvolge due interlocutori o pochi interlocutori si distingue dalla comunicazione che ne coinvolge molti per alcuni tratti particolari: mentre nella comunicazione uno a molti – come, ad esempio, quella televisiva o radiofonica – non c’è possibilità di interazione o l’interazione è molto limitata, la comunicazione uno a uno/uno a pochi avviene in simultanea, in compresenza ed è interattiva (ovvero, è aperta a interventi, obiezioni e correzioni da parte degli altri). Di conseguenza, nella comunicazione faccia a faccia è molto importante il tema dell’ascolto, ovvero la capacità di tirare fuori il contributo che viene fornito dall’interlocutore “esterno”, volontariamente o involontariamente. In questo senso, ascoltare è già comunicare. Apertura e chiusura del discorso N ella comunicazione uno a uno/uno a pochi, alcune fasi dell’evento comunicativo assumono un significato speciale. In particolare, sono molto importanti: • L’apertura di un discorso (nel nostro caso, le frasi iniziali per “agganciare” i cittadini nelle piazze, attraverso le diverse facciate del totem), perché è il momento in cui si stabilisce un patto di fiducia tra le persone coinvolte e si dichiara la propria disponibilità a parlare e ad ascoltare; • La chiusura del discorso, perché ci si deve accertare che l’altra persona sia soddisfatta (nel nostro caso, si deve verificare che il cittadino non abbia dubbi, indicare dove approfondire gli argomenti di maggiore interesse e ribadire il messaggio della campagna). 62 Meccanismi di ripetizione L a ripetizione è un aspetto tipico della comunicazione interpersonale faccia a faccia, e in particolare di quella uno a uno. Applicare meccanismi di ripetizione può risultare utile per chiarire i temi che stiamo trattando o le finalità della campagna. Nell’interazione faccia a faccia è meglio non dare per scontato nulla, per evitare fraintendimenti. Verbale e non verbale N ella comunicazione uno a uno/pochi hanno pari rilevanza la comunicazione verbale e quella non verbale. Spesso usiamo questi linguaggi inconsciamente e altrettanto spesso questi vengono percepiti inconsciamente dall’interlocutore. Tuttavia, sono estremamente importanti e un uso più mirato e consapevole di queste risorse può migliorare notevolmente la qualità della comunicazione. q COMUNICARE CON IL CORPO: LA COMUNICAZIONE NON VERBALE a cura di Valeria Bernabei G ran parte di ciò che comunichiamo agli altri si esprime attraverso il linguaggio non verbale, ovvero attraverso i segnali visivi e vocali emessi dal corpo. Dobbiamo quindi verificare che il messaggio verbale, cioè quello comunicato dalle parole effettivamente pronunciate, sia coerente con il messaggio del corpo. Se vogliamo comunicare un messaggio in modo credibile, infatti, è importante che ci sia coerenza fra ciò che diciamo a parole e ciò che esprimiamo attraverso il corpo. Oltre che con le parole, la comunicazione avviene anche attraverso: • il modo di vestire • la postura • l’espressione del volto • il contatto oculare • i movimenti delle mani, delle braccia e delle gambe • la tensione del corpo • la distanza spaziale • il contatto diretto • la voce (tono, ritmo, inflessione) Elementi alla base degli atti comunicativi G li elementi alla base di qualunque atto comunicativo sono: il linguaggio del corpo, la voce e le parole. Il significato di qualsiasi messaggio viene dedotto da: • il linguaggio visivo del corpo (gesti, posture, mimica facciale); • gli elementi vocali (dunque, non verbali) del parlato (tono, timbro e ritmo); • le parole effettivamente pronunciate (contenuto verbale). Naturalmente le parole che pronunciamo sono importanti, ma il comportamento non verbale condiziona in modo molto forte l’impressione che riceviamo dagli altri e quella che gli altri ricevono da noi. In particolare, nel caso ci sia una contraddizione fra ciò che si afferma e ciò che si manifesta con il linguaggio del corpo, si tende in genere a dare più credibilità al linguaggio non verbale. Si ritiene, infatti, che i segnali del corpo siano più difficili da controllare e che mentano di meno. L a gestualità è un mezzo di comunicazione visiva capace di trasmettere ciò che il linguaggio verbale non sa comunicare. Ne consegue che la forma di comunicazione più efficace è quella in cui alle parole si accompagnano i gesti. Per interpretare un messaggio non verbale dobbiamo sempre considerare tutti i gesti nel loro insieme: i gesti presi singolarmente non significano niente, ma se si presentano tutti insieme nel corso di una interazione, allora ci sono buone probabilità che la nostra interpretazione sia corretta. Nel comunicare con gli altri, dobbiamo capire se le persone a cui ci rivolgiamo manifestano: • segnali di serenità/disagio e ansia; • segnali di apertura/chiusura. Linguaggio non verbale che indica apertura I l linguaggio non verbale che indica apertura e uno stato interiore positivo è composto da una serie di gesti, tra cui: mani in vista, palmi aperti, gambe e postura sciolta, priva di tensione nervosa, buon contatto oculare. Il corpo si espone al mondo senza barriere e, così facendo, è vulnera- 63 bile agli altri, ma ciò non provoca alcun disagio alla persona. La postura che esprime vicinanza e Guardarsi negli occhi I l contatto oculare è uno strumento di grande importanza per stabilire intesa e senso di fiducia nei confronti dei nostri interlocutori. Nel corso di una normale conversazione, il contatto oculare • inclinazione in avanti del busto, che dimostra con chi ci sta di fronte è tendenzialmente intermittente, c’è un continuo movimento di sguardi interesse per l’altro; volto a verificare le reazioni dell’ascoltatore nei • tendenza ad avvicinarsi col corpo e orientarlo confronti di chi parla: entrambi osservano il lindirettamente verso l’altro; guaggio corporeo dell’altro. Il maggior contributo alla buona intesa che si può instaurare nel corso • rilassatezza delle braccia e mani; di una conversazione proviene dal giusto contatto • sguardo che mantiene il contatto con gli occhi oculare. dell’altro senza però fissarlo in modo eccessivo, cosa che può esprimere aggressività. NELLE PIAZZE: per una comunicazione efficace, mettetevi di fronte all’interlocutore per poterlo Linguaggio non verbale che indica chiusura guardare direttamente e non al suo fianco o in posizione laterale. l linguaggio non verbale che indica chiusura si Sorridere fonda su un complesso di gesti, movimenti e pocalore si traduce in genere in un’impressione migliore (e, dunque, simpatia) dell’altro su di noi. È composta da questi tratti: I sture con cui il corpo si richiude in se stesso. Chi si sente minacciato, tende a far apparire il corpo più piccolo di quanto lo sia realmente e a proteggersi erigendo barriere difensive. L’emozione negativa trova tipica espressione nello scarso contatto con gli occhi dell’altro, nella tensione delle spalle e nella posizione incrociata di braccia e gambe. In questo caso può essere utile cambiare strategia e/o cercare di scoprire il motivo della sua insoddisfazione. La postura che trasmette lontananza (e dunque distacco) è composta in genere da questi tratti: • posizione rigida delle braccia e gambe; • inclinazione del busto laterale e tesa all’indietro (in piedi); • sguardo che mantiene poco il contatto con gli occhi dell’altro/a. I l sorriso denota un’emozione positiva e manifesta gioia, anche se è un’espressione che ci troviamo spesso ad adottare per convenienza sociale. Sincero o di convenienza che sia, il sorriso suscita comunque una sensazione gradevole in chi lo riceve in quanto comunica la mancanza di ostilità e la disposizione alla benevolenza. Di conseguenza, il sorriso è capace di suscitare un atteggiamento benevolo negli altri e di favorire le interazioni positive. Fate in modo che il sorriso corrisponda sempre al contenuto del messaggio verbale e non entri in conflitto con ciò che state dicendo. NELLE PIAZZE: accogliete i cittadini con un sorriso! Ascoltare col corpo L a maggior parte delle persone preferisce parNELLE PIAZZE: assumete una postura sciolta, guarlare anziché ascoltare. Quando una persona vi date negli occhi la persona con cui parlate, cercate parla dimostrate con il corpo di ascoltare, di essere di non incrociare le braccia e parlate senza mettere presenti e di comprendere ciò che viene detto? Prale mani in tasca. ticare un “ascolto attivo” significa non soltanto 64 ascoltare, ma anche dimostrare di ascoltare. Ascoltare il linguaggio del corpo significa: • • municativo fra noi e gli altri. Se vi trovate in una simantenere un buon contatto con gli occhi del- tuazione di questo genere, è importante cercare di l’altro (il contatto oculare aiuta chi parla a sa- offrire all’interlocutore qualcosa da fare o da guardare: così, lo si obbliga indirettamente a slegare le pere di essere ascoltato con interesse); braccia e ad assumere una postura più distesa. usare i movimenti della testa (annuire lenta- mente è un segno d’incoraggiamento, annuire a velocità media è un gesto di conferma con il quale comunichiamo di capire, annuire rapidamente è un gesto con cui comunichiamo di essere in totale accordo o di voler interrompere chi parla per intervenire); • di vista del linguaggio corporeo, perché possono formare una barriera che ostacola lo scambio co- rispecchiare in modo naturale il linguaggio corporeo dell’interlocutore attraverso l’eco posturale (il linguaggio non verbale è contagioso). Le braccia rivestono grande rilevanza dal punto NELLE PIAZZE: ascoltate attivamente i cittadini! Non assumete un atteggiamento di chiusura con il corpo, ma, al contrario, adottate uno stile aperto, perché così è più probabile che l’interazione abbia esito favorevole e l’altra persona eviti di chiudersi in sé stessa. Se la persona che avete davanti persiste nell’atteggiamento di chiusura, porgetele qualcosa da guardare (il pieghevole, la scheda), per costringerla ad aprirsi e a sciogliere le braccia conserte. Durante la conversazione, variate e modulate il ritmo, il timbro, il tono e l’inflessione della voce. q Per saperne di più: www.giovannacosenza.it/ Dis.amb.ig.uando, blog di Giovanna Cosenza, professore associato di semiotica presso il Dipartimento di Discipline della Comunicazione dell’Università di Bologna www.gandalf.it/ Pensieri sulla rete e sulla comunicazione, blog www.nuovoeutile.it/ Teorie e pratiche della creatività, blog coordinato da Annamaria Testa, pubblicitaria e docente di teoria della comunicazione all’Università Bocconi di Milano James Borg, Il linguaggio del corpo, Ed. Tecniche nuove, 2009 David Cohen, Capire il linguaggio del corpo, Editori Riuniti, Roma, 2002 Ricci Bitti, Enrico Pio; Santa Cortesi, 1977 Comportamento non verbale e comunicazione, Il Mulino, Bologna. 65 NUOVI STRUMENTI DI COMUNICAZIONE PER LA FORMAZIONE …La formazione continua! a cura di Valeria Bernabei Social “Terremoto io non rischio” pagina Facebook del Dipartimento e i contributi più recenti pubblicati su Twitter da Ingv e da Anpas. a piattaforma social “Terremoto io non rischio”, Dopo l’accesso si può modificare e personalizzare è uno strumento che mette in connessione le facilmente il proprio account. persone in un contesto operativo, attraverso la conNella sezione “Forum”, sono state aperte delle divisione di conoscenze, approfondimenti, discusaree di discussione su: sioni e sviluppo delle informazioni. Il social prende il meglio della tecnologia dei social network tradi- • Servizio Nazionale della Protezione civile; zionali e lo integra con le esigenze di partecipazione e maggior coinvolgimento dei collaboratori. • Volontariato; Ma soprattutto, permette di scambiarsi informa- • “Cosa comunicare” - memoria storica, pericozioni in tempi rapidissimi e in modo maggiormente losità sismica, vulnerabilità sismica, rischio sivisuale e interattivo rispetto, per esempio, alle esmico, prevenzione; mail. La comunicazione social, per le sue caratteristiche di interattività, consente un concreto • “Come comunicare” - tecniche di comunicazione , motivazione a comunicare l’evento, scambio di idee, opinioni, suggerimenti, contributi come coordinarci per comunicare bene, comue documenti in tempo reale, favorendo un processo nicare con un gioco, semplificazione del lindi creazione di una vera e propria intelligenza colguaggio, comunicazione interpersonale; lettiva. L Alla piattaforma social si accede attraverso un • link, con delle credenziali di accesso, che saranno inviate a ognuno dei volontari che ha partecipato alla formazione. • A lla piattaforma è iscritto tutto il gruppo di lavoro che ha collaborato alla realizzazione della • campagna e che metterà in condivisione i materiali della formazione, monitorerà le aree di discussione di propria competenza, chiarirà gli eventuali dubbi dei volontari e risponderà alle loro domande. In questo modo si riuscirà a dare continuità all’attività di formazione e a supportare i volontari “formatori” nel trasferimento delle informazioni agli altri volontari che saranno presenti nelle piazze. Nella home page del social si trovano i Feed, ovvero tutti gli aggiornamenti pubblicati sui siti Dpc, Anpas, Ingv e ReLuis, i contenuti pubblicati sulla 66 “Logistica” - organizzazione della piazza, organizzazione dello stand e sistemazione dei materiali. Nella sezione “Domande”, sono state inserite domande e risposte sul rischio sismico. Nell’area “Download” è possibile scaricare le dispense del corso, le presentazioni e gli approfondimenti. Nella stessa sezione è stato inserito un piccolo manuale di utilizzo del social. q GLOSSARIO AG - accelerazione orizzontale massima su suolo rigido e pianeggiante: è il principale parametro descrittivo della pericolosità di base utilizzato per la definizione dell’azione sismica di riferimento per opere ordinarie (Classe II delle Norme Tecniche per le Costruzioni). Convenzionalmente, è l’accelerazione orizzontale massima su suolo rigido e pianeggiante, che ha una probabilità del 10% di essere superata in un intervallo di tempo di 50 anni. Amplificazione locale: modificazione in ampiezza, frequenza e durata dello scuotimento sismico dovuta alle specifiche condizioni litostratigrafiche e morfologiche di un sito. Si può quantificare mediante il rapporto tra il moto sismico in superficie al sito e quello che si osserverebbe per lo stesso evento sismico su un ipotetico affioramento di roccia rigida con morfologia orizzontale. Se questo rapporto è maggiore di 1, si parla di amplificazione locale. Classificazione sismica: suddivisione del territorio in zone a diversa pericolosità sismica. Attualmente il territorio italiano è suddiviso in quattro zone, nelle quali devono essere applicate delle speciali norme tecniche con livelli di protezione crescenti per le costruzioni (norme antisismiche), massima in Zona 1, la zona più pericolosa, dove in passato si sono avuti danni gravissimi a causa di forti terremoti. Tutti i Comuni italiani ricadono in una delle quattro zone sismiche. Epicentro: il luogo sulla superficie terrestre dove gli effetti del terremoto si manifestano con maggiore intensità. L’epicentro si trova sulla verticale dell’ipocentro, la zona in profondità dove si verifica la rottura delle rocce e dalla quale le onde sismiche si propagano in tutte le direzioni. Esposizione : è il numero di unità (o “valore”) di ognuno degli elementi a rischio presenti in una data area, come le vite umane o gli insediamenti. Faglia: superficie di rottura della crosta lungo la quale avviene lo scorrimento delle rocce a contatto che, per attrito, genera le onde sismiche. In funzione del movimento che si osserva lungo la superficie si parla di faglie normali, inverse e trascorrenti. Intensità: misura gli effetti di un terremoto sulle costruzioni, sull’uomo e sull’ambiente, classificandoli in dodici gradi attraverso la scala Mercalli. L’intensità non è quindi una misura della “forza” del terremoto, perché le conseguenze dipendono dalla violenza dello scuotimento ma anche da come sono state costruite le case e da quante persone vivono nell’area colpita. Ipocentro: la zona in profondità dove, in seguito ai movimenti delle placche litosferiche, le rocce della crosta terrestre si rompono dando origine al terremoto. In Italia i terremoti avvengono generalmente entro i 30 km di profondità, tranne che nel Tirreno meridionale dove si possono registrare terremoti Effetti locali (o di sito): effetti dovuti al compor- con ipocentro profondo fino a 300 km. tamento del terreno in caso di evento sismico per la presenza di particolari condizioni lito-stratigra- Magnitudo: misura l’energia di un terremoto e si fiche e morfologiche che determinano amplifica- calcola attraverso l’ampiezza delle oscillazioni del zioni locali e fenomeni di instabilità del terreno terreno provocate dal passaggio delle onde sismi(instabilità di versante, liquefazioni, faglie attive e che, registrate su di un rullo di carta dai pennini dei sismografi (sismogrammi). Il valore di magnitudo si capaci, cedimenti differenziali, ecc.). 67 attribuisce utilizzando la scala Richter. Microzonazione sismica: suddivisione di un territorio a scala comunale in aree a comportamento omogeneo sotto il profilo della risposta sismica locale, prendendo in considerazione le condizioni geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche in grado di produrre fenomeni di amplificazione del segnale sismico e/o deformazioni permanenti del suolo (frane, liquefazioni, cedimenti e assestamenti). Normativa antisismica: norme tecniche “obbligatorie” che devono essere applicate nei territori classificati sismici quando si voglia realizzare una nuova costruzione o quando si voglia migliorare una costruzione già esistente. Costruire rispettando le norme antisismiche significa garantire la protezione dell’edificio dagli effetti del terremoto: in caso di terremoto, infatti, un edificio antisismico potrà subire danni ma non crollerà, salvaguardando la vita dei suoi abitanti. Onde sismiche: le onde che si generano dalla zona in profondità dove avviene la rottura delle rocce della crosta terrestre (ipocentro). Le onde si propagano dall’ipocentro in tutte le direzioni fino in superficie, come quando si getta un sasso in uno stagno. Esistono vari tipi di onde che viaggiano a velocità diversa; le onde che si propagano per ultime (onde superficiali) sono quelle che causano le oscillazioni più forti. Pericolosità sismica di base: componente della pericolosità sismica dovuta alle caratteristiche sismologiche dell’area (tipo, dimensioni e profondità delle sorgenti sismiche, energia e frequenza dei terremoti). La pericolosità sismica di base calcola (generalmente in maniera probabilistica), per una certa regione e in un determinato periodo di tempo, i valori di parametri corrispondenti a prefissate probabilità di eccedenza. Tali parametri (velocità, accelerazione, intensità, ordinate spettrali) descrivono lo scuotimento prodotto dal terremoto 68 in condizioni di suolo rigido e senza irregolarità morfologiche (terremoto di riferimento). La scala di studio è solitamente regionale. Una delle finalità di questi studi è la classificazione sismica a vasta scala del territorio, finalizzata alla programmazione delle attività di prevenzione e alla pianificazione dell’emergenza. Costituisce una base per la definizione del terremoto di riferimento per studi di microzonazione sismica. Pericolosità sismica locale: componente della pericolosità sismica dovuta alle caratteristiche locali (litostratigrafiche e morfologiche, vedi anche effetti locali). Lo studio della pericolosità sismica locale è condotto a scala di dettaglio partendo dai risultati degli studi di pericolosità sismica di base (terremoto di riferimento) e analizzando i caratteri geologici, geomorfologici, geotecnici e geofisici del sito; permette di definire le amplificazioni locali e la possibilità di accadimento di fenomeni di instabilità del terreno. Il prodotto più importante di questo genere di studi è la carta di microzonazione sismica. Piano comunale di protezione civile: piano di emergenza redatto dai Comuni per gestire adeguatamente un’emergenza ipotizzata nel proprio territorio, sulla base degli indirizzi regionali, come indicato dal DLgs. 112/1998. Tiene conto dei vari scenari di rischio considerati nei programmi di previsione e prevenzione stabiliti dai programmi e piani regionali. Placche litosferiche: porzioni della crosta terrestre nelle quali è suddiviso l’involucro più esterno della Terra. Le placche si muovono le une rispetto alle altre, avvicinandosi, allontanandosi o scorrendo lateralmente ed i movimenti relativi determinano spinte ed accumulo di sforzi in profondità. Quando gli sforzi superano la resistenza delle rocce, queste si rompono generando il terremoto. Rete sismica nazionale: rete di monitoraggio sismometrico distribuita sull’intero territorio nazio- nale, e gestita dall’Ingv - Istituto Nazionale di Geo- (sismometri) vengono registrate da strumenti digitali fisica e Vulcanologia. Costituita da un centinaio di ed i dati possono, così, essere elaborati dai computer, stazioni sismiche, svolge funzioni di studio e di sor- riducendo i tempi necessari per calcolare la magniveglianza sismica, fornendo i parametri epicentrali tudo e l’epicentro dei terremoti. al Dipartimento della Protezione Civile per l’orgaSussidiarietà: è un principio giuridico-amministrativo nizzazione degli interventi di emergenza. che stabilisce come l’attività amministrativa volta a Rischio sismico: stima del danno che ci si può at- soddisfare i bisogni delle persone debba essere assitendere in una certa area ed in un certo intervallo curata dai soggetti più vicini ai cittadini. Per “soggetti” di tempo a causa del terremoto. Il livello di rischio s’intendono gli Enti pubblici territoriali (in tal caso si dipende quindi dalla frequenza con cui avvengono parla di sussidiarietà verticale) o i cittadini stessi, sia i terremoti in una certa area e da quanto sono forti; come singoli, sia in forma associata o volontaristica ma dipende anche dalla qualità delle costruzioni, (sussidiarietà orizzontale). Queste funzioni possono dalla densità degli abitanti, dal valore di ciò che può essere esercitate dai livelli amministrativi territoriali subire un danno (monumenti, beni artistici, attività superiori solo se questi possono rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente. L’azione del sogeconomiche,ecc.). getto di livello superiore dovrà comunque essere temSciame sismico: sequenza sismica caratterizzata poranea, svolta come sussidio (da cui sussidiarietà) e da una serie di terremoti localizzati nella stessa quindi finalizzata a restituire l’autonomia d’azione alarea, in un certo intervallo temporale, di magnitudo l’entità di livello inferiore nel più breve tempo possiparagonabile e non elevata. In uno sciame sismico bile. generalmente non si distingue una scossa princiIl principio di sussidiarietà è recepito nell’ordinamento pale. italiano con l’art. 118 della Costituzione, come indiSismografo: strumento che consente di registrare cato dalla L.Cost. n. 3/2001. le oscillazioni del terreno provocate dal passaggio delle onde sismiche. Un sismografo è costituito da una massa, con un pennino all’estremità, sospesa attraverso una molla ad un supporto fissato al terreno, sul quale è posto un rullo di carta che ruota in continuazione. Quando il terreno oscilla, si muovono anche il supporto ed il rullo di carta, mentre la massa sospesa, per il principio di funzionamento del pendolo, resta ferma ed il pennino registra il terremoto tracciando le oscillazioni su carta (sismogramma). Tsunami: letteralmente “onda di porto”, è un termine giapponese che indica un tipo di onda anomala che non viene fermata dai normali sbarramenti posti a difesa dei porti. Il fenomeno dello tsunami consiste in una serie di onde che si propagano attraverso l’oceano. Le onde sono generate dai movimenti del fondo del mare, generalmente provocati da forti terremoti sottomarini, ma anche da eruzioni vulcaniche e da grosse frane sottomarine. Vita nominale di una costruzione: indica il numero di anni durante i quali una struttura deve poter essere usata per lo scopo per cui è stata progettata. Questo parametro, previsto dalle Norme Tecniche per le Costruzioni, condiziona l’entità delle azioni sismiche di progetto. Per le costruzioni ordinarie, la vita nominale considerata è ≥ 50 anni. Sismogramma: registrazione su carta delle oscillazioni del terreno provocate dal passaggio delle onde sismiche. Nel corso degli anni sono cambiati i modi con i quali si ottengono tali registrazioni: dai primi sismogrammi tracciati su carta affumicata, si è passati a registrazioni su carta fotografica e poi su carta termosensibile. Oggi le oscillazioni rilevate dai sensori Vulnerabilità: attitudine di una determinata compo- 69 nente ambientale – popolazione umana, edifici, servizi, infrastrutture, ecc. – a sopportare gli effetti di un evento, in funzione dell’intensità dello stesso. La vulnerabilità esprime il grado di perdite di un dato elemento o di una serie di elementi causato da un fenomeno di una data forza. È espressa in una scala da zero a uno, dove zero indica che non ci sono stati. q 70 APPENDICE Principali terremoti con magnitudo uguale o superiore al sesto grado accaduti in Italia nell’ultimo millennio estratta dal catalogo CPTI11: www.emidius.mi.ingv.it/CPTI11 Pag. 1 di 4 Anno Me Gi 1169 2 4 1117 1 1184 5 3 24 1279 4 30 1298 12 1328 12 1348 1 1 1 25 1352 12 25 1295 9 1349 9 1456 12 1461 11 1466 1 1511 3 1542 12 1561 8 1626 1627 1638 1638 1646 4 7 3 6 5 1654 7 1657 1 1659 11 3 9 5 27 15 26 10 19 4 30 27 8 31 Or 15 7 Mi 15 Veronese Studio Om GUAL07 55 I_max Lat 9 Lon Mw 45.309 11.023 6.6 Sicilia orientale GUAL07 10 10 18 CAMERINO MONA8717 10 15 Reatino NORCIA Carinzia GUAL07 5 MONA8713 GUAL07 58 10 42.575 12.902 6.2 10 42.856 13.018 6.3 9-Oct 46.578 13.541 7.0 CAAL96 7 8 21 2 14 15 15 Valle del Crati Churwalden 30 15 5 25 40 15 50 12 10 15 9 45 50 5 45 24 0 25 5 22 15 29 Area epicentrale GUAL07 6 39.395 16.193 6.7 43.093 12.872 6.3 8 46.947 9.505 6.0 Lazio meridionale-Molise GUAL07 20 10 41.560 13.901 6.5 MONTERCHI 9 43.469 12.127 6.4 10 46.198 13.431 6.9 MOLISE Aquilano Irpinia Friuli-Slovenia Siracusano Vallo di Diano Girifalco Gargano Calabria Crotonese Gargano Sorano-Marsica Lesina Calabria centrale SCAL04 17 9 37.215 14.949 6.4 MEAL88 199 GUAL07 10 GUAL07 31 GUAL07 66 GUAL07 32 CAAL08 32 GUAL07 GUAL07 GUAL07 GUAL07 CAAL08 7 65 213 42 35 GUAL07 44 CAAL08 9 GUAL07 126 11 41.302 14.711 7.2 10 42.313 13.544 6.4 8-Sep 40.765 15.334 6.0 10 37.215 14.944 6.7 10 10 11 10 10 38.851 16.456 6.0 41.737 15.342 6.6 39.048 16.289 7.0 39.279 16.812 6.8 41.727 15.764 6.6 10-Nov40.563 15.505 6.8 10 41.635 13.683 6.2 10 38.694 16.249 6.5 9-Oct 41.726 15.393 6.3 71 Pag. 2 di 4 Anno Me Gi 1661 3 22 1688 6 1690 12 1693 1 5 4 9 1685 3 8 1693 1 11 1695 2 25 1694 9 8 Or 12 50 15 14 21 30 19 13 11 5 1702 3 14 5 1703 1 14 18 1703 1706 1731 1732 2 11 3 11 1741 4 1743 2 2 3 20 29 24 20 Mi 30 40 30 11 13 3 7 40 16 30 9 5 1751 7 27 1 1755 12 9 13 30 12 13 18 10 55 1781 1783 1783 1783 6 2 2 3 1786 3 72 3 5 7 28 10 14 10 Area epicentrale Appennino romagnolo Mittel-Wallis Sannio Carinzia Val di Noto Sicilia orientale Irpinia-Basilicata Asolano Beneventano-Irpinia Studio Om FABRIANESE GUAL07 216 GUAL07 60 GUAL07 30 11 41.283 14.561 6.9 8-Sep 46.634 13.882 6.5 8-Sep 37.141 15.035 6.2 ECOS02 GUAL07 185 GUAL07 251 GUAL07 82 GUAL07 37 GUAL07 GUAL07 GUAL07 GUAL07 71 99 50 183 SGAM02 145 BOAL00 77 Brig. Naters/VS ECOS02 Appennino umbro-marc. GUAL07 68 Sicilia nord-orientale Mw 10 Basso Ionio CAGLIESE Calabria Calabria Calabria Lon GUAL07 79 Appennino umbro-reatinoGUAL07 199 Aquilano Maiella Foggiano Irpinia I_max Lat MONA87157 GUAL07 356 GUAL07 191 GUAL07 323 GUAL07 10 11 10 10 44.021 11.898 6.0 46.280 7.630 6.1 37.140 15.013 7.4 40.862 15.406 6.7 45.801 11.949 6.4 10 41.120 14.989 6.5 11 42.708 13.071 6.7 9 43.425 13.005 6.2 10 42.434 13.292 6.7 10-Nov42.076 14.080 6.8 9 41.274 15.757 6.5 10-Nov41.064 15.059 6.6 9 10 39.852 18.777 7.1 43.225 12.739 6.2 46.320 7.980 6.1 10 43.597 12.512 6.4 11 38.297 15.970 7.0 10-Nov38.580 16.201 6.6 11 38.785 16.464 6.9 9 38.102 15.021 6.1 Pag. 3 di 4 Anno Me Gi Or Mi Om 13 1 0 45 Prealpi carniche 1799 7 28 22 5 Appennino marchigiano GUAL07 71 7 GUAL07 19 9 Mw 38.636 16.268 6.0 46.306 12.821 6.0 9-Oct 43.193 13.151 6.1 5 16 1832 1 13 13 1836 4 25 0 20 Calabria settentrionale GUAL07 46 10 39.567 16.737 6.2 1836 11 20 7 30 Basilicata meridionale GUAL07 17 9 40.142 15.776 6.0 1832 3 8 18 37 30 GUAL07 107 8-Sep 38.127 14.418 6.4 Valle del Topino GUAL07 102 10 Crotonese 14 12 13 17 20 50 Basilicata Cosentino 1855 1857 1870 1873 25 16 4 29 11 21 16 3 50 15 55 58 Törbel VS Basilicata Cosentino Bellunese 7 12 10 6 29 1 45 10 41.500 14.474 6.6 9-Oct 37.603 15.140 6.2 Sicilia settentrionale 1851 8 1854 2 1854 12 GUAL07 223 GUAL07 128 9 Lon 26 20 15 Molise Catanese GUAL07 76 I_max Lat 1805 7 1818 2 1823 3 21 18 Calabria centrale Studio 1791 10 1794 6 20 Area epicentrale Liguria occ.-Francia GUAL07 101 GUAL07 103 GUAL07 89 GUAL07 86 10 10 10 42.980 12.605 6.3 39.079 16.919 6.5 40.952 15.667 6.3 39.256 16.295 6.2 7-Aug 43.350 7.648 6.7 ECOS02 GUAL07 340 GUAL07 56 GUAL07 199 46.230 7.850 6.4 11 40.352 15.842 7.0 10 39.220 16.331 6.1 9-Oct 46.159 12.383 6.3 9 1887 2 23 5 21 Liguria occidentale GUAL07 1516 10 43.715 8.161 6.9 1894 11 16 17 52 Calabria meridionale GUAL07 303 38.288 15.870 6.0 1895 4 14 22 17 Slovenia GUAL07 296 8 46.131 14.533 6.2 73 Pag. 4 di 4 Anno Me Gi Or Mi Area epicentrale Studio 1905 9 8 1 43 Calabria meridionale GAMO07895 1908 12 28 4 20 Calabria merid.-Messina GUAL07 800 11 Alto Adriatico 8 1915 1 1916 8 1919 6 1920 9 1930 7 1936 10 1962 8 1963 7 13 16 29 7 23 18 21 19 1968 1 15 1978 4 15 1976 5 6 6 52 15 5 0 6 55 8 7 3 6 10 18 5 19 45 20 0 2 23 1 33 Avezzano Mugello Garfagnana Irpinia BOSCO CANSIGLIO Irpinia Mar Ligure Valle del Belice Friuli Golfo di Patti Om GUAL07 257 GUAL07 566 GUAL07 756 GAAL02 547 BAAL86 267 GUAL07 262 GUAL07 463 GUAL07 163 43.957 11.482 6.2 44.185 10.278 6.4 41.068 15.318 6.6 46.089 12.380 6.1 41.230 14.953 6.1 43.150 8.083 6.0 38.268 15.112 6.0 9 1997 9 26 9 40 Appennino umbro-marc. BOAL00 869 74 9 6 44.034 12.779 6.1 8 Irpinia-Basilicata Aquilano 9 42.014 13.530 7.0 GUAL07 332 GNDT95 770 34 32 10 10 10 38.146 15.687 7.1 37.756 12.981 6.3 18 1 Mw 10 23 6 Lon 10-Nov38.819 15.943 7.0 MOAL99 1041 11 1980 11 2009 4 I_max Lat 9-Oct 46.241 13.119 6.4 GUAL07 1394 10 QUES09 316 40.842 15.283 6.8 43.014 12.853 6.0 9-Oct 42.342 13.380 6.3 Campagna “Terremoto io non rischio” Manuale per i volontari formatori