In nomine Domini

Transcrição

In nomine Domini
Mons. Lucio Angelo Renna
VESCOVO
DI
SAN
SEVERO
IN NOMINE
DOMINI
Lettera Pastorale
SAN
SEVERO
•
15
GIUGNO
2007
Carissimi,
1. «Ringrazio il mio Dio ogni volta ch’io mi ricordo
di voi, pregando sempre con gioia per voi in ogni mia
preghiera, a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del Vangelo… e sono persuaso che Colui che ha
iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù. È giusto, del resto,
che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata
concessa… nel consolidamento del Vangelo. Infatti Dio
mi è testimone del profondo affetto che ho per tutti voi
nell’amore di Cristo Gesù e perciò prego che la vostra
carità si arricchisca sempre più in conoscenza e i ogni
genere di discernimento, perché possiate distinguere
sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il
giorno di Cristo, ricolmi di quei frutti di giustizia che si
ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di
Dio» (Fil 1, 1-11).
Quasi al termine del primo anno dalla mia nomina a
Vescovo di San Severo, affido a questa lettera il mio vivissimo ringraziamento per l’accoglienza riservatami.
Ne sono rimasto edificato e mi sono sentito incoraggiato
ad aprire con voi un dialogo aperto e fraterno. Ho notato, visitando tutte le parrocchie, disponibilità, impegno
e creatività pastorale: segno inequivocabile del cammino
finora fatto a livello diocesano e parrocchiale. Ho scorto,
come è ovvio in ogni realtà umana, anche dei problemi
che, con l’aiuto del Signore e la collaborazione di tutti,
vanno affrontati e, possibilmente, risolti. Problemi e attese che postulano sensibilità e volontà ad agire insieme
pro salute animarum.
Nella recente visita ad limina, pur basandomi sul materiale preparato dal mio Predecessore, S.E. Mons. Michele
LETTERA PASTORALE
Seccia – cui va il mio pensiero riconoscente per quanto di
bene ho trovato – ho potuto consegnare al Santo Padre il
quadro di una Diocesi viva e attenta al cammino ecclesiale. In modo particolare ho rilevato l’impegno della nostra
chiesa locale a rendere tangibile per la nostra società il
vento di speranza scaturito dal Convegno di Verona. Soprattutto ho potuto cogliere le attese del mondo sociale e
delle famiglie: si guarda a noi con speranza e ci si chiede
quella credibilità fattiva che viene dalla nostra testimonianza evangelica.
Sosteniamoci a vicenda perché, secondo il comandamento dell’Apostolo, possiamo portare gli uni i pesi
degli altri, compiendo così la legge di Cristo. Se Lui non
ci aiuta a portare, cadiamo; se non porta, noi veniamo
meno. Con sant’Agostino, vi confesso che «se mi spaventa il fatto di essere per voi, l’essere con voi mi consola»
(CCL. 104, 919-20).
2. Annunciare il Vangelo e a testimoniarlo con la vita,
personale e comunitaria, e con le opere: a questo tende
il nostro ministero nel popolo di Dio di questo territorio, ricco di fede, di tradizioni, di calore umano, di accoglienza; ma anche carico di tensioni, problemi sociali
e di fenomeni inquietanti che non possono essere ignorati. Fare ora l’elenco delle positività e dei problemi riscontrati sarebbe troppo lungo e, forse, anche inutile. Mi
è parso di riscontrare, in alcune comunità parrocchiali,
delle difficoltà nell’esercizio del discernimento ecclesiale: mancando l’esercizio del “pensare la fede” in termini
culturali per tradurla, conseguentemente, in piani pastorali e risolvendosi spesso la pratica ecclesiale in semplice
erogazione di “servizi”, risulta chiara e ovvia la suddetta
difficoltà. Le comunità parrocchiali, quindi, devono, qualora non esistessero, promuovere organismi di partecipazione e farli operare secondo uno stile di discernimento,
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non solo in relazione al proprio vissuto, ma anche in riferimento ai contesti sociali. Promuovere modelli culturali
ispirati al vangelo richiede di lavorare in tempi lunghi e
di porre segni profetici capaci di diventare modelli per la
gente del territorio.
Le difficoltà legate alla necessità di rideterminare la
pastorale in relazione al mutato contesto socio-culturale,
che appare come il problema di fondo, non aiuta a vedere l’esigenza di evitare il ripiegamento, anche se non
mancano esempi consistenti di sensibilità missionaria,
specialmente per quanto attiene ai temi dell’immigrazione. La missione fa parte essenziale dell’essere chiesa; non
è un’esperienza limitata nel tempo, bensì un impegno
organico di tutte le componenti delle realtà ecclesiali e
le strutture di servizio, chiamata a rapportarsi proficuamente agli ambienti vitali del territorio. Ciò non senza
difficoltà, spesso causate dall’abitudine a vivere un cristianesimo di comodo che non disturba le coscienze. Su
questi argomenti si è interrogata l’ultima Assemblea Generale della CEI (21-25 maggio u.s.), tenendo presente il
flusso migratorio sempre più massiccio che sta creando
una nuova mappa geografica multiculturale e multireligiosa.
È stata ipotizzata l’dea di “Diocesi o metropolia-fidei
donum”, non in alternativa ai sacerdoti fidei donum ma
come ampliamento di sensibilità e di impegno missionario. Nella missio ad gentes è stata suggerita l’idea di equipes
missionarie. Alla luce dei messaggi del Convegno veronese, è stato sottolineato che come al laicato manca spesso
la consapevolezza della propria vocazione e del proprio
ruolo nella società; così non raramente i pastori assumono un ruolo di presidenza delle comunità non adeguato
al ministero che loro compete.
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3. Riprendendo gli argomenti dei ritiri mensili, ritengo
di dover insistere su quattro priorità pastorali: la crescita
della fede, l’animazione familiare, giovanile e vocazionale, la carità e la formazione permanente. Sono convinto
che queste priorità interessino tutti noi perché richiamano la situazione socio-ecclesiale dentro la quale viviamo
e svolgiamo il nostro ministero sacerdotale. La necessità
di promuovere la crescita di una fede adulta, appare tra
le priorità evidenziate dalla riflessione del Convegno di
Verona, specie in relazione alla presenza di una fede essenzialmente liturgico-devozionale – molti sono i sacramentalizzati, molto meno gli evangelizzati – che impone
la necessità di individuare modelli alternativi rispetto alla
pastorale tradizionale che consentano di disegnare un
nuovo profilo di comunità parrocchiale, come comunità
cristiana credibile per i nostri conterranei e contemporanei. Il passaggio da sterili forme di devozionismo a reali
esperienze di incontro con Cristo esige nuovi percorsi di
iniziazione alla vita di fede, più adeguati strumenti formativi uniti a nuovi e diversi itinerari di catechesi, così
come maggiore attenzione alla formazione spirituale,
culturale e umana degli individui, unita a maggiore sensibilizzazione e responsabilizzazione del laicato. Frutto
di significativi itinerari di formazione dovrebbe essere
anche la crescita alla responsabilità missionaria. Strumenti validi appaiono le scuole di formazione, in forme
e a livelli diversi, i centri di ascolto, le mense per i poveri,
le diverse forme di volontariato che vanno diffondendosi, sia pure lentamente, come segni di una carità serena,
fraterna, condivisa e quindi efficace.
La tendenza a percepire la fede come fatto privato,
senza rilievo pubblico, fa sì che la fede incida sempre
meno nella vita concreta, tanto che la comunità cristiana
risulta scarsamente presente o poco incidente sia nei luoghi dove si formano le coscienze (scuola, famiglia, parIN NOMINE DOMINI
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rocchia), sia là dove queste si deformano (mass-media).
Nell’attuale clima culturale, la testimonianza cristiana,
come ci è stato ricordato nei vari momenti del Convegno
veronese, in quanto frutto di libertà vera, autentica, prova di non appiattimento all’omogenizzazione culturale
imperante, fatta di materialismo di ritorno, scientismo,
radicalismo, individualismo, rappresenta un rischio perché è “scomoda”. Chiesa particolare e parrocchie dovrebbero essere luoghi di profezia in cui ascoltare le richieste,
i rimproveri, le attese, i contrasti, le promesse; luoghi di
confronto e di analisi, di ricerca e di dialogo, di proposta
d’amore e di speranza.
4. La famiglia, prima cellula della società e della stessa
comunità ecclesiale, è gravemente minacciata dalla mentalità relativistica che ordisce continui attentati contro di
essa. Diventa sempre più faticoso e difficile difenderla
anche come istituto naturale. Non sottovalutiamo i tantissimi pericoli che si vanno addensando sulla famiglia
che molti vorrebbero sostituire con le unioni di fatto e altri tipi di convivenza. Grazie a Dio, nella nostra Chiesa
particolare c’è un gruppo che zela la pastorale familiare e
promuove momenti e iniziative di sensibilizzazione e di
difesa della famiglia. I media ci informano continuamente di quanto si va dicendo e facendo nei confronti della
famiglia. Ne parliamo spesso tra di noi e con le persone
preoccupate delle nubi che si addensano su di essa. «I
più grandi flagelli che si abbattono sulla famiglia derivano tutti dalla debolezza e dalle sconfitte della coppia. Se
si dimentica questa verità elementare, non si può porre
in modo giusto il problema del matrimonio… Separando
l’inseparabile (amore coniugale - amore familiare) si finisce per sostenere soluzioni rovinose per la coppia e per i
suoi figli» (Andè Collini). A giustificazione di eventuali,
strane e becere soluzioni, ci si appella alla libertà di vivere,
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di amare così come a ciascuno piace. Ascoltiamo con attenzione l’insegnamento del nostro Papa Benedetto XVI,
eco chiara, lucida e profonda del costante insegnamento
della Parola di Dio e del Magistero sulla famiglia. Non cediamo minimamente all’assalto di chi vorrebbe venire a
compromessi su valori non negoziabili; né abbiamo paura, nello nostre catechesi e, data occasione, anche nelle
omelie di essere ortodossi in merito al matrimonio come
sacramento e istituto naturale. Assistendo a dibattiti televisivi ci sorprende, a volte, che persone dichiaratamente
agnostiche parlino in difesa della famiglia con forza di
argomentazioni; mentre alcuni, che si dichiarano cattolici e praticanti, balbettano, incespicano, si vergognano di
spendere una parola chiara e in sintonia con la Chiesa.
Non dobbiamo trasformare il dibattito in corso in una
specie di lotta di religione; ma neppure essere pavidi e
tacere, venendo meno al nostro preciso dovere di parlare
per incoraggiare e illuminare i nostri fedeli. È necessario
sotto porre a costante monitoraggio la situazione socioculturale dei luoghi ove la famiglia abita, per favorirne
l’integrazione globale; avviare interventi sinergici fra parrocchie, associazioni, enti che offrono sostegno ad essa;
fare delle comunità ecclesiali luoghi accoglienti, in grado
di accompagnarla con percorsi formativi. La famiglia è
luogo privilegiato dell’esperienza dell’amore, luogo dove
si vive e si trasmette la fede, ambiente educativo, come
scuola di valori cristiani vivificati dalla preghiera. Di qui
il monito del servo di Dio Giovanni Paolo II: «Famiglia,
diventa ciò che sei!» (F.C. 17).
L’Ufficio diocesano per la pastorale familiare ha il
compito di stimolare, sostenere e coordinare il lavoro pastorale delle parrocchie. Esso non solo organizza corsi di
preparazione al matrimonio, ma anche la pastorale di accompagnamento soprattutto delle giovani coppie. Anche
le parrocchie hanno il compito di curare catechesi per le
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famiglie: in ognuna di esse vi sia un gruppo di quelle famiglie, anche poche, che vogliono fare un serio cammino
di vita cristiana, per mettersi al servizio di altre famiglie
della comunità. Questo gruppo si incontrerà periodicamente in parrocchia per un cammino formativo fondato
sulla parola di Dio e per promuovere e sostenere iniziative a sostegno delle altre famiglie. Particolarmente efficaci
saranno gli incontri con le famiglie nelle loro case, sia per
pregare e meditare insieme la Parola (centri di ascolto),
sia per discutere dei loro problemi e dare un aiuto concreto in caso di difficoltà. Il Parroco è il principale responsabile della pastorale familiare, che va radicata nel Vangelo
per recuperare il senso del sacro, creando unità tra la fede
professata e la fede vissuta.
5. La pastorale giovanile richiede una particolare attenzione e sensibilità, perché il mondo giovanile è particolarmente problematico ed attraversa un periodo di forte
crisi. Non possiamo restare indifferenti dinanzi al malessere che sta afferrando i nostri giovani, che, in numero
crescente, prendono le distanze dalla vita di famiglia,
della comunità parrocchiale e della stessa scuola. In questo contesto generale, possiamo immaginare quanto sia
prezioso e urgente il ministero di animazione giovanile e
vocazionale. Grazie a Dio, la nostra Chiesa particolare ha
un bel numero di seminaristi. Il lavoro del settore vocazionale resta comunque sempre grande e delicato, anche
perché deve interessarsi di eventuali candidati alla vita
consacrata maschile e femminile. Ho notato un notevole
impegno pastorale tra i giovani. Nonostante l’impegno
del gruppo diocesano di pastorale giovanile, a nessuno
sfugge il fatto che le nostre assemblee, le nostre riunioni,
i vari momenti di vita parrocchiale e diocesana sembrano
non interessare alla grandissima maggioranza di adolescenti e di giovani. I convegni della Chiesa e della Società
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sui problemi della gioventù sono tantissimi: ormai non
si contano più! Peccato che ad usufruirne non siano gli
interessati ma i volenterosi addetti ai lavori, o persone intellettualmente desiderose di sapere ma operativamente
menefreghiste.
Occorre trovare modi adatti per accostarsi al mondo
giovanile, tenendo presenti non solo coloro che, sia pure
episodicamente aderiscono alle varie nostre iniziative,
ben studiate, preparate e vissute; ma soprattutto quelli
che non vengono raggiunti affatto né dalla famiglia, né
dalla scuola, né dalla Chiesa, le tre agenzie classiche di
formazione che oggi sono pressoché ininfluenti. Non dormiamo sogni tranquilli a riguardo, perché i giovani sono
il nostro futuro. Rendiamoci conto che l’impegno di approccio con loro deve essere soprattutto parrocchiale: a
nulla servirebbero le giornate mondiali, né le stesse iniziative diocesane se non avessero un seguito nella vita
della parrocchia. Nella pastorale giovanile ha un ruolo
fondamentale la parrocchia come luogo di incontro e di
condivisione.
Verso i giovani bisogna avere grande attenzione ed
amore; essi non vanno incontrati soltanto in alcune circostanze, ma vanno accompagnati e sostenuti dalla presenza attiva del parroco e degli animatori dei gruppi. Il
parroco è il principale animatore della pastorale giovanile, come primo testimone di Cristo e come guida spirituale soprattutto degli animatori, di cui va curata la
formazione. Egli saprà tendere le antenne per captare
le attese dei giovani del suo territorio; ed aprirà occhi e
cuore per individuare tra i cristiani-laici dei validi collaboratori. I giovani vanno incontrati personalmente negli
ambienti in cui vivono e si riuniscono, vanno compresi
nelle loro problematiche ed aiutati con la preghiera, con
l’affetto e anche con efficaci insegnamenti. Le poche ma
essenziali indicazioni diocesane servano da incentivo a
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concretizzare, nelle parrocchie, tutto quanto di bene può
ritornare per adolescenti e giovani. L’Ufficio diocesano
per la pastorale giovanile promuoverà incontri non solo
di preghiera, ma anche a carattere culturale, sociale e formativo; particolarmente per gli animatori parrocchiali
organizzerà corsi di formazione cristiana e pastorale.
6. Il settore della carità interessa tutti e ciascuno di noi.
La carità, infatti, non è qualcosa da fare ma un impegno
essenziale della vita della comunità ecclesiale. Un grazie
di cuore va detto a tutti coloro che offrono il loro volontariato, prezioso e costante, con la viva raccomandazione di
ricordare sempre che il rapporto interpersonale con tutti, ma specialmente con chi si trova nell’indigenza, deve
connotarsi di grande sensibilità, di delicatezza e, perché
no, di tenerezza. È decisamente controproducente svolgere volontariato nel settore della carità e, poi, mancare di
tatto nello svolgimento di questo nobile ministero. Questa regola, ovviamente, vale per tutti, sacerdoti, religiosi
e laici; ma diventa indispensabile soprattutto per chi è a
più stretto contatto col mondo della povertà e della sofferenza. Sapere che i volontari impegnano il loro tempo
a favore dei poveri più poveri, non deve dispensarci dal
farci carico delle tante sofferenze e delle terribili povertà
del nostro tempo e del nostro territorio. A tale riguardo
si è costituito un “comitato socio-eccesiale” con l’intendimento e lo spirito della mia lettera pastorale “Al servizio
della collettività”. La vicinanza della Chiesa ai poveri sia
come istituzione, sia attraverso i suoi figli, in una parola la testimonianza della carità nelle sue diverse forme,
continua ad essere e apparire, agli occhi di credenti e non
credenti, come la forma principe della sua credibilità.
La carità è «la via maestra dell’evangelizzazione»
(CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità, 28), attraverso cui la Chiesa «segno e strumento dell’intima
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unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»
(LG, 1) vuole ricostruire l’autentico tessuto cristiano.
Se evangelizzare significa far incontrare gli uomini con
l’amore di Dio, allora è indispensabile la testimonianza
vissuta. Se nelle parrocchie la carità non diventa il fulcro
della pastorale ordinaria, l’annuncio rimane sterile. La
carità è l’unica legge che «spinge il cristiano ad assumere
un’attiva responsabilità nei confronti del mondo in tutti i suoi aspetti, dalla cultura all’economia, alla politica,
senza sottovalutare le forme più nascoste, e però essenziali, delle relazioni immediate e personali» (CEI, Ivi, 23).
La Caritas diocesana, punto di riferimento per i singoli
guppi Caritas parrocchiali, da costituire dove non sono
ancora esistenti, deve garantire la formazione di operatori laici per la carità, creare un osservatorio delle povertà
seguito anche da persone specializzate che siano capaci
di valutare il grado e l’entità dei problemi presenti nel
territorio diocesano.
Ci serva da guida il pensiero che il servo di Dio Giovanni Paolo II presenta nella Novo millennio ineunte: «È
l’ora di una nuova fantasia della carità, che si dispieghi
non tanto nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella
capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre, così che il
gesto d’aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma
come fraterna condivisione» (n. 50). In altre parole, la Caritas ha soprattutto una funzione pedagogica che spesso non è di facile attuazione; il suo lavoro preminente è
quello di educare alla carità, facendo comprendere che
le persone con la loro sofferenza e i loro problemi sono
sempre la prima risorsa, e che i poveri, in ogni comunità
cristiana, debbono sentirsi “a casa loro”.
7. Essere chiesa nel terzo millennio comporta esigenze
ed urgenze da non sottovalutare o, peggio, ignorare o accantonare. La CEI si chiede come «comunicare il Vangelo
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in un mondo che cambia» e vorrebbe delle comunità parrocchiali dal “volto missionario”; mentre il Convegno di
Verona ci ha sollecitati ad essere «testimoni di Cristo risorto, speranza del mondo». Un ringraziamento ai Convegnisti che hanno trasmesso, con competenza e generosità, i contenuti di Verona. Ne è testimonianza la sintesi
inviata alla CEP (allegato n. 2), e il Convegno Diocesano
di fine d’anno pastorale (22-23 giugno p.v.) del quale, al
più presto, arriverà invito e programma. Nel vuoto di
valori che caratterizza l’oggi della società, riappropriarsi
della ricchezza della tradizione cristiana e dello spessore della proposta di valori che la caratterizza e sul quale
insiste di continuo il nostro Papa Benedetto XVI appare
un’operazione da non rinviare. Accogliere la sfida del
confronto con la cultura contemporanea esige attingere
alla ricchezza della tradizione personalistica e comunitaria e di rianimare la passione educativa. Investire decisamente nell’educazione all’uso dei mass-media e nella
formazione di operatori qualificati a lavorare all’interno
di essi, è un’urgenza da non sottovalutare, perché anche
la Chiesa abbia i suoi strumenti e la qualità del prodotto
sia capace di reggere “il mercato dell’offerta”. Ovviamente, senza rinunciare a proporre i tradizionali luoghi di arricchimento culturale rappresentati dai circoli di lettura
di libri e giornali, da dibattiti su problemi di attualità, da
proposte cinematografiche e teatrali qualitativamente
valide.
8. Tutte queste sollecitazioni sono stimoli al discernimento e a quelle scelte operative, con le quali la carità
pastorale può e deve rispondere alle attese ed alle esigenze del nostro tempo. Da quanto ho potuto costatare, c’è,
tra noi, attenzione e generosa disponibilità allo Spirito,
anche se esistono alcuni fremiti da calmare, alcune stanchezze da superare: per essere meno stressati, cerchiamo
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di vivere e lavorare di più in nomine Domini e di meno
secondo il nostro genio pastorale. Voi sapete che io sono
venuto tra voi in obsequio Jesu Christi, con nessun’altra
pretesa che quella di essere “umile servo nella vigna del
Signore” con voi, cari presbiteri, diaconi, religiosi, religiose e cristiani-laici. Come preannunziato, ha cercato
di conoscere la situazione sociale (che mi sembra molto
difficile) ed ecclesiale(con tante luci ed alcune ombre).
Con questa lettera vorrei, di nuovo, dirvi e darvi tutta la mia disponibilità ad essere “con voi cristiano; per
voi vescovo”. Non confido nelle mie capacità o forze,
ma nell’aiuto del Signore e nella vostra collaborazione.
Secondo un antico proverbio «le forze unite diventano
più forti»; per questo chiedo, in nome di Dio, a non far
mancare ogni personale contributo per realizzare sempre più nel nostro territorio una presenza significativa
e profetica. Invito perciò a pregare lo Spirito perché ci
doni luce e forza per esprimere credibilmente la nostra
carità pastorale. Ricordo, a me stesso e a voi, che l’essenza della Chiesa comunionale e tutta ministeriale richiama, intellettualmente e operativamente, ai principi
di collegialità e di sussidiarità. Non è possibile “essere
Chiesa da soli”, ma come popolo di Dio nel quale, con
diversificazione ministeriale, tutti siamo ugualmente
coinvolti ad majorem Dei gloriam et salutem animarum.
Ricordiamo la splendida figura di don felice Canelli,
sacerdote acceso dall’amore di Dio e impegnato, in diversi settori socio-ecclesiali, per la promozione umana e
cristiana integrale dei cittadini.
La collegialità indica il sentirsi componenti e responsabili della comunità. La sussidiarità, poi, altro non è che la
valorizzazione dei carismi donati dallo Spirito non solo
per arricchire di potenzialità la Chiesa, ma anche per renderne fecondo il ministero. Il carisma è, infatti, dono al
singolo per il bene di tutti. Propongo alla comune riflesIN NOMINE DOMINI
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sione la riflessione di un teologo e contemplativo, Ugo
di San Vittore: «La Chiesa santa è il corpo di Cristo: un
solo Spirito la vivifica, la unisce in una sola fede e la santifica. Le membra di questo corpo sono i singoli fedeli,
e tutti formano un solo corpo grazie all’unico Spirito e
all’unica fede che li cementa insieme. Nel corpo umano le singole membra hanno compiti propri, diversi gli
uni dagli altri, e tuttavia quello che un membro compie
da solo non lo fa solo per sé. Così nel corpo della santa
Chiesa ai singoli vengono date grazie diverse, e tuttavia
nessuno ha qualcosa unicamente per sé, neppure quello
che solo lui possiede. Soltanto gli occhi vedono, eppure
non vedono solo per sé, ma per tutto il corpo. Soltanto le
orecchie possono udire, eppure non odono solo per sé,
ma per tutto il corpo. Soltanto i piedi camminano, eppure non camminano solo per sé, ma per tutto il corpo. Allo
stesso modo quello che ciascuno possiede da solo, non lo
possiede unicamente per sé, poiché colui che distribuisce
i doni con tanta larghezza e sapienza ha stabilito che ogni
cosa sia di tutti e tutte di ciascuno. Se dunque qualcuno
ha ottenuto di ricevere un dono dalla grazia di Dio non
appartiene soltanto a sé, anche se è solo lui a possederlo»
(PL 176, 416-417).
9. Al mio ingresso in questa nostra amata Diocesi confermai ad annum tutti gli incarichi diocesani, come segno
di stima a Voi, al mio Predecessore; ma anche come sosta
per conoscere una realtà ecclesiale per me del tutto nuova. Non posso dire di aver raggiunto completamente il
secondo motivo: ogni realtà richiede tempo, attenzione,
sensibilità per essere conosciuta. Credo di essere, a riguardo, ancora all’inizio e confido molto sul vostro aiuto
e comprensione. La vita di una Chiesa particolare e la sua
missione nel territorio non ammette le famose “calende
greche”, cioè i tempi lunghi.
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Per questo, dopo opportuna conoscenza, discernimento, ritengo mio dovere passare a un impegno più articolato e concreto da parte mia. Anche il Vescovo è chiamato
all’obbedienza verso Dio e verso il popolo affidato alle
sue cure pastorali, come, del resto, anche voi presbiteri
e diaconi. L’obbedienza, non raramente, esige rinunce e
sofferenze in chi la chiede e in chi la deve concedere. Tutti
sapete che, a partire dal prossimo settembre, è necessario
procedere a nuove nomine e/o conferme, per non creare
disagi pastorali. Questo spiega il riferimento all’obbedienza. Io vescovo non obbedirei al Signore se, avendo notato
qualche stanchezza pastorale, non prendessi, sempre in
collaborazione con gli Organismi Diocesani, le opportune decisioni. Intanto, prima di ogni altro organismo, si
procede all’elezione del CONSIGLIO PRESBITERALE;
quindi del COLLEGIO DEI CONSULTORI, secondo
quanto è prescritto nel CJC e negli attuali Statuti Diocesani dei due organismi. A nome di tutta la Diocesi e mio
personale, ringrazio tutti coloro che ne hanno fatte parte
ed hanno saputo dare un validissimo contributo all’animazione pastorale delle nostre comunità parrocchiali e
diocesana.
10. Come vi è noto, a suo tempo ho nominato una
mini-commissione per la revisione dell’ORGANIGRAMMA DIOCESANO. Un sincero apprezzamento a coloro
che lo hanno elaborato e ai Consultori che, con me, lo
hanno approvato. I vari settori saranno presieduti da VICARI EPISCOPALI, ai quali soli si farà riferimento per
questioni di loro competenza onde evitare confusioni,
fraintendimenti e/o ritardi di sorta. Allego alla presente
lettera il suddetto organigramma (allegato n. 3). Da esso
si evincerà come diversi uffici diocesani siano sotto la
presidenza e la coordinazione di Vicari episcopali, che si
incontreranno mensilmente con me, al fine di coordinare
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l’animazione pastorale della Diocesi e fare discernimento
o scelte su questioni di particolare importanza.
In via ordinaria, il Vicario episcopale, nel suo settore,
agisce in nomine et auctoritate Episcopi, sempre però sentiti, per problemi particolari, gli Uffici diocesani interessati. Cosa opportuna e, direi, necessaria, che, con periodica
sistematicità, il Vicario riunisca nel corso dell’anno gli Uffici di sua competenza per coordinare sempre meglio le
attività. Tutto questo non è affatto in alternativa al Collegio dei consultori e al Consiglio presbiterale che, come da
indicazioni, avranno le loro riunioni e le competenze secondo il CJC. Come gesto, non di formalità ma di sensibilità ecclesiale e di collaborazione, chiedo a tutti, sacerdoti
e cristiani laici che ricoprono qualche ruolo diocesano, di
consegnarmi, per lettera, il loro mandato.
Similmente faranno anche quei sacerdoti che da oltre
nove anni svolgono il ministero di parroco nella stessa parrocchia. L’esperienza raccomanda un certo rinnovamento
anche nelle comunità parrocchiali per evitare il pericolo di “routine”. Voglio rassicurare tutti, precisando che
tale gesto e l’eventuale non reincarico non sono da me
– e spero da voi – intesi come segno di sfiducia o di non
apprezzamento; ma solo e unicamente di compatibilità
operativa e di progressivo e prudente rinnovamento pastorale. Né – sia ben chiaro – intendo cambiare tutto dall’oggi al domani; ma, in dialogo con gli Organismi Diocesani interessati, nel corso dei tre anni a venire, discernere sulle diverse situazioni e, se necessario, decidere in
merito. Alla base di tutto c’è la sollecitazione della Chiesa
ad «una conversione pastorale» che richiede attenzione
ai segni dei tempi ed impegno nella nuova evangelizzazione fondata su rinnovata spiritualità.
Ritornano alla mente le parole di san Giovanni: «Ciò
che era fin da principio, ciò che abbiamo udito, ciò che
abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo
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contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia
il Verbo della vita, (poiché la vita si è fatta visibile, noi
l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi
annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è
resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito,
noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate
in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre
e col Figlio suo Gesù Cristo» (1 Gv 1, 1-3). Spero perciò
vivamente che tutti gli interessati faranno il possibile per
evitare manifestazioni poco o per niente ecclesiali; ma
cercheranno di aiutare i fedeli ad accogliere cristianamente eventuali novità, che non si verificheranno da un momento all’altro, ma con una progressività con scadenze
annuali. Il brano di san Giovanni continua: «Se diciamo
che siamo in comunione con Lui e camminiamo nelle tenebre, mentiamo e non mettiamo in pratica la verità. Ma
se camminiamo nella luce, come Egli è nella luce, siamo
in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, suo
Figlio, ci purifica da ogni peccato» (Ivi, 7-8).
Voglio fermamente credere che non ci sarà bisogno
di una mia richiesta esplicita, oltre quella rappresentata
dalla presente lettera: sapete che la richiesta di consegna
è dura per chi la fa e per chi la riceve. Voglio ricordare, a
me e a ciascuno, che lo scopo dell’obbedienza è di conformarsi più pienamente a Cristo obbediente (cfr. LG 42).
Essa è prestata al Vescovo ma con l’intenzione di unirsi più strettamente alla volontà amorosa di Dio. Anche
a me costa chiedere tale obbedienza, consapevole però
che anche io devo essere «docile alla volontà di Dio nel
compimento del mio dovere» (PC. 14). Durante la Veglia
di Pentecoste ho fatto riferimento, invitando tutti, cominciando da me, ad agire con libertà interiore. Ho anche
chiesto il dono della preghiera, la quale sola, se fatta in
spirito e verità, può esserci di luce, di forza e di incoraggiamento.
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11. Mai, come in questi momenti, si vive la dimensione
pasquale della nostra ordinazione e missione sacerdotale:
l’obbedienza, dono prezioso che abbiamo deciso di offrire al Signore. Comprendo quindi che, in caso di trasferimenti, saremo chiamati a dare a Dio e al prossimo questa
testimonianza. D’altra parte sappiamo tutti molto bene
che la Chiesa comunione è nata ed è vivificata dall’amore
di Cristo verso il Padre, esplicitato nell’obbedienza fino
alla morte in. Egualmente, Egli ha amato la Chiesa e ha
dato se stesso per essa (Ef 5, 25-26). Dal suo cuore squarciato sono scaturiti sangue ed acqua, segni della donazione suprema di Cristo per la Chiesa. Dal corpo glorioso
del Risorto si sono riversate le fiamme dello Spirito che
hanno fatto la Chiesa comunione. Essa è una comunità fedele alla Parola di Gesù e all’azione dello Spirito; è
come il capolavoro dello Spirito, posto all’inizio della
storia della Chiesa, affinché sia modello mai raggiunto
attraverso le future generazioni. Di fatto, ogni qualvolta
la Chiesa sente il bisogno di rinnovarsi, si rispecchia nel
modello ideale della Chiesa di Gerusalemme.
Tutto il ministero sacerdotale che viene da Cristo e
conduce alla Chiesa è essenzialmente un servizio che scaturisce dalla disponibilità, dall’obbedienza della creatura
e dalla comunione, dono di Dio. Il servizio sacerdotale,
segno di obbedienza e di carità pastorale di Cristo, converge nel piano della comunione, della quale i presbiteri
devono essere, col Vescovo, testimoni e promotori. Lo
scopo di ogni nostro sforzo pastorale deve essere finalizzato a questa azione originale che manifesta la realtà genuina della Chiesa: vivere e promuovere la comunione.
Se la Chiesa vuole essere testimonianza di Cristo deve essere carità. Si deve lasciar fecondare dallo Spirito che è la
carità. Che cosa è la Chiesa senza l’amore? Che cosa è la
Chiesa con la carità? Viviamo la carità, serviamo la comunione affinché lo Spirito nei cuori dei credenti rinnovi la
LETTERA PASTORALE
24
Chiesa e la conduca verso la parousia del Signore. Come
sacerdoti di Cristo, nella forza dello Spirito, collaboriamo
affinché sia lo Spirito colui che ringiovanisce la nostra
Chiesa particolare, continuamente la rinnova, la arricchisce e la abbellisce con i suoi doni e i suoi carismi. Diamo
anche noi la vita come Cristo, affinché la sposa di Cristo
sia davanti al mondo bella e splendente, senza rughe e
senza macchia, santa e immacolata (cfr. Ef 5, 25-27).
12. Non sembri inopportuno il richiamo al senso di responsabilità che di sicuro tutti, chi più chi meno, ci sforziamo di coltivare. La responsabilità che di solito è intesa
come assunzione di un determinato atteggiamento e rispetto di un dovere, è, in senso terminologico, capacità
di “dare risposte”. Concretamente se qualcuno esplicitamente o implicitamente dovesse rivolgerci domande, noi
non possiamo e non dobbiamo volgerci dall’altra parte
fingendo di non aver sentito o intuito. Dobbiamo rispondere. Ma a chi? E cosa? Anzitutto a Dio, accogliendo e vivendo fino in fondo la sua chiamata. Non possiamo mai
dimenticare che la nostra storia sacerdotale inizia dalla
Voce, dalla vocazione che non è una forzatura, un’imposizione autoritaria, ma un invito delicato e misterioso di
Dio ad accogliere e vivere l’identità sacerdotale. Invito
che esige una risposta sincera e libera che si concretizza nell’impegno pastorale vissuto con passione. Vivere
la vocazione significa rispondere a Dio e scoprire che la
santità e il ministero consiste primariamente in questa
adesione al divino volere. Rispondere alla comunità affidata alla nostra cura pastorale e al prossimo che guarda
e chiede per sapere, imparare, mettersi in relazione con
Dio e con i valori, trovare equilibrio tra difesa dei propri
spazi e solidarietà, tra vita personale e comunione.
Rispondendo, noi sacerdoti dimostriamo di aver capito l’amore, di non avere paura d’amare chi ci è affidaIN NOMINE DOMINI
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to dal Signore. Rispondere al mondo che geme e freme
intorno a noi (cfr. GS, 1 e 2). La nostra risposta non può
darla nessun altro. Il modo di essere e di agire è strettamente personale: non deludiamo la speranza e le attese
che la nostra gente ripone in noi. Per questo dobbiamo
saper leggere le molteplici domande che ci vengono rivolte, senza dimenticarci che taluni domandano ma non
attendo risposte sincere, o vogliono da noi una conferma
per quello che hanno già deciso. Rispondere a se stessi è
la cosa più significativa che si riflette sulla propria personalità, sulla personale dignità e sul rispetto per se stessi
e per gli altri. Non si può mai barare nel rispondere. Se
cercassimo di barare anche con noi stessi, sarebbe il caso
di chiederci se, per caso, non abbiamo una doppia personalità e affidarci, con umiltà, a chi può aiutarci professionalmente e spiritualmente. A tale riguardo, mi permetto
di raccomandare la direzione spirituale: avere un direttore spirituale, aiuta anche noi a riscoprire gli orizzonti
sempre nuovi e radianti della salvezza!
13. La terza priorità pastorale riguarda la nostra formazione permanente. Vi presento (allegato n. 1) il sussidio
diocesano per un cammino triennale presbiterale preparato da una mini-commissione, che ringrazio per il lavoro svolto. Ci andiamo sempre più convincendo che la formazione permanente non è qualcosa da fare ma uno stile
di vita da assumere per impegnarsi adeguatamente alla
suddetta nuova evangelizzazione e per favorire la conversione pastorale. Il mondo cambia con rapidità vertiginosa mettendo in crisi certezze e, addirittura, valori. D’altra parte, il sacerdozio, dono immenso in fragili vasi, non
può essere vissuto fuori o contro il mondo, ma al servizio
di esso, non nel senso dell’accomodamento a schemi di
pensiero e di azione dettati e voluto dalla logica mondana, bensì come animazione, annuncio e testimonianza
LETTERA PASTORALE
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del Vangelo. Paolo VI, di felice memoria, amava dire che
il maestro è credibile se testimone. L’atteggiamento dei
nostri contemporanei conferma la valenza e la forza di
questa espressione: non vogliono belle parole ma fulgidi
esempi. In questa luce intendiamo e viviamo la proposta
presbiterale diocesana di formazione permanente.
Essa esige un impegno sempre rinnovato di ricerca,
di studio, di discernimento e di scelte. È un modo di santificarsi, uno stile di vita e di missione sacerdotale, un
progetto completo di pastorale che parte dai recettori con
i quali il sacerdote percorre un cammino di evangelizzazione promozione integrale della persona. Di fronte all’attuale cultura mediatica, il sacerdote ha la possibilità di
testimoniare una “relazionalità controcorrente”, se ha il
cuore spalancato alla gente e si fa carico delle trasformazioni antropologiche in corso per riuscire a donare tutto
Dio all’uomo e tutto l’uomo a Dio.
14. Il ministero pastorale non consiste nell’avviare, di
volta in volta, alcune iniziative, affidandosi all’estemporaneità e alle urgenze. Esso è una forma di santificazione
e di predicazione: un vero e proprio stile di vita. Il sacerdote tende alla santità attraverso il suo stesso ministero.
La vita di santità è la fede in Cristo, vissuta e testimoniata
con e nel ministero. Il sacerdote dona quel che riceve; e
ogni iniziativa pastorale non può che essere espressione
di vita interiore. Come le sentinelle dell’aurora (cfr. Cantico dei cantici), egli guarda verso l’orizzonte per scorgere
i segni dei tempi e avere una visione più ampia e precisa
di ciò che è veramente essenziale; per individuare i punti-chiave, gli orientamenti concreti circa la sua vita e la
sua missione nel complesso, problematico e affascinante
del mondo attuale da amare, aiutare e coinvolgere in maniera efficace, interessando vecchie e nuove generazioni.
Dinanzi al sacerdote si apre uno scenario sconfinato; ed
IN NOMINE DOMINI
27
egli non può fingere di non vederlo e restare chiuso nelle
sue abitudini, nelle ripetitività pastorali, intese e vissute
come sacramentalizzazione, a volte motivata da utilità
personale. Mente, occhi e cuore aperti sono richiesti al
sacerdote. Con generosità e radicalità. Le mezze misure,
i perbenismi, i “se” e i “ma” rovinano tutto e, specialmente se accompagnati da atteggiamenti di superiorità,
di arroganza e di cattivo carattere, danno un’immagine
decrepita, asfittica, anacronistica e, qualche volta, odiosa
del sacerdozio e della Chiesa.
La disponibilità verso ogni luogo, ogni persona, ogni
comunità parrocchiale ci aiuta «a vedere con gli occhi di
Dio e ad amare col suo cuore». Forse, carissimi fratelli,
dobbiamo cercare di recuperare sempre di più la visione
di fede del nostro sacerdozio che non appartiene a noi,
ma è dono di Dio all’umanità attraverso la nostra persona, in se stessa vulnerabile e fragile, ma resa forte e credibile dalla presenza del Signore in noi.
15. Concludo con le parole di san Giovanni: «Figlioli,
non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella
verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità
e davanti a lui rassicureremo il nostro cuore qualunque
cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore
e conosce ogni cosa. Carissimi, se il nostro cuore non ci
rimprovera nulla, abbiamo fiducia in Dio; e qualunque
cosa chiediamo la riceviamo da Lui perché osserviamo i
suoi comandamenti e facciamo quel che è gradito a Lui.
Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome
del suo Figlio Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri,
secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti dimora in Dio ed Egli in lui. E da questo conosciamo che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato»
(Ivi 3, 18-24). Ci sia d’esempio Maria, madre e sorelle nostra, che, immersa nella luce del mistero della Carità, ha
LETTERA PASTORALE
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sempre fatto la scelta della Volontà divina per cui la sua
vita terrena è stata l’ascesi di un sì, detto e vissuto sempre,
anche nei momenti più drammatici della Sua storia. Sia
le sue parole sempre nel nostro cuore sacerdotale: «fate
quello che Gesù vi dice!».
Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù
15 giugno 2007
✠ Lucio M. Renna
IN NOMINE DOMINI
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INDICAZIONI PER UN CAMMINO
DI FORMAZIONE PERMANENTE DEL CLERO
Allegato 1
La formazione permanente del clero è una delle preoccupazioni più vive e costanti della vita della Chiesa e si
è maggiormente accentuata a partire dal Concilio Vaticano II. Le ragioni che la esigono derivano sia dalla stessa
identità del ministero presbiterale, che in quanto dono
dello Spirito richiede di essere continuamente rinnovato
(2 Tim 1, 6), sia dalle attese che insorgono dalla storia e
che invocano un ministero sempre più attento e capace di
interpretare “l’annuncio” nella fedeltà a Dio e all’uomo.
1. Perché una formazione permanente
La Formazione Permanente è innanzitutto motivata come necessaria dalle scienze umane che la ritengono intrinseca al processo formativo permanente di ogni
persona e quindi anche del presbitero per esprimere una
propria immagine vera e significativa, ma anche per garantire una presenza autentica e al passo dei tempi in
un’epoca soggetta ad un «rapido mutarsi delle condizioni sociali e culturali degli uomini» (P. d. V. 70). Perché il
presbitero tenga il passo con il cammino della storia senza adeguarvisi passivamente, ma cercando di cogliere le
positive direttrici di marcia che servano gli uomini e li
aiutino a sviluppare la propria identità senza schiavizzarli, deve allenarsi al confronto con la realtà complessa
per poterla innervare di vangelo senza scoraggiarsi per
l’impressione di essere inadatto a compiere debitamente
la sua missione.
LETTERA PASTORALE
30
Altrettanto forti sono le motivazioni teologiche che si
radicano nello stesso dono di grazia del ministero che il
presbitero ha ricevuto, dono i cui effetti sono il carattere o
carisma pastorale che lo configura a Cristo Capo, Pastore,
Sposo della Chiesa e lo segna per sempre nel suo essere
come ministro di Cristo e della Chiesa, e la grazia concomitante che gli assicura l’aiuto di cui ha bisogno per il
fruttuoso compimento del suo ministero. La vocazione
presbiterale che nell’ordinazione trova il suo punto più
alto della sua conferma è anche un continuum che esprime la condizione del presbitero che nel tempo ravviva il
dono della vocazione al servizio della volontà di Dio che
è la salvezza di ogni uomo.
Le finalità della Formazione Permanente possono essere sintetizzate nelle seguenti tre mete:
a) aiutare i presbiteri ad approfondire la coscienza di
essere “uomini del mistero” ossia conservare e sviluppare la coscienza della verità intera e sorprendente del loro essere ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ciò comporta che i preti
considerandosi con lo sguardo di verità con cui li
considera Cristo riscoprano la dimensione della
fede: come si potrà insegnare a credere se prima
non si è credenti?
b)aiutare i presbiteri ad approfondire la loro identità
di “uomini di comunione”, ossia riscoprire la consapevolezza e la crescita della fraternità presbiterale.
c) aiutare i presbiteri a crescere nella consapevolezza
di essere “uomini della missione” per tutti gli uomini e per tutti i popoli.
IN NOMINE DOMINI
35
2. Cosa è la Formazione Permanente? Significato, esigenze, attese
Poiché il processo formativo ingloba tutta la persona
e il suo agire in vista di una crescita armoniosa ed integrale, la Formazione Permanente deve riguardare unitariamente sia la dimensione antropologica che quella
teologica del presbitero e si propone di promuovere persone capaci di assumere con responsabilità e fiducia la
propria vita per crescere e rinnovarsi nella sua identità,
nella capacità relazionale, nella qualità di servizio sociale
ed ecclesiale. Per questo la Formazione Permanente non
è tanto una struttura quanto uno spazio di esperienza, di
maturazione che pur in continuità con la formazione iniziale si caratterizza come processo costante di revisione
e conversione in senso qualitativo della realtà personalerelazionale-ministeriale del presbitero.
Essa, pur realizzandosi nell’alveo di un presbiterio disposto a maturare insieme, esige dal singolo presbitero
la disponibilità alla cura di sé, a prendersi per mano per
rispondere in modo sempre più incisivo alle istanze del
ministero: cura personale per la propria vita spirituale,
l’aggiornamento teologico, l’attenzione alle problematiche pastorali poste dal contesto culturale in cui si vive.
A questo proposito occorre superare due ostacoli che
minano alla base la Formazione Permanente.
Si tratta di non cedere alla tentazione di una ideologia predominante oggi, secondo cui il tempo ben speso è
quello dell’agire, non c’è tempo del riflettere, di ascolto,
di rientrare in sé…
Si cade così nel pragmatismo ministeriale senz’anima che alla fine produce quella stanchezza psicologica,
fisica, spirituale che genera scetticismo e perdita di ogni
entusiasmo e passione per il Regno. Altro ostacolo da superare é quello di non avere la profonda convinzione di
LETTERA PASTORALE
36
appartenere ad un unico presbiterio: si crede che è meglio far da soli che suscitare comunione, si viene delusi
da certi incontri spirituali o pastorali tra presbiteri, incontri che pure hanno tutti i connotati per favorire un certo
scoraggiamento. Purtroppo non si mette in conto quella
che la Commissione episcopale per il clero nella lettera inviata al clero in occasione del Grande Giubileo (18
maggio 2000), chiamava l’«ascetica degli incontri», che
favorendo l’amicizia tra i preti, la preghiera comunitaria,
l’accoglienza e talora anche la sopportazione reciproca
ha un valore in se stessa quale segno visibile di quella
fraternità che è vissuta appartenenza al presbiterio.
Un’altra esigenza da tener presente in un progetto di
Formazione Permanente è pensare a percorsi differenziati distinguendo almeno due tempi di formazione così
come i Vescovi e la P. d. V. propongono.
Il primo riguarda i primi anni di ministero sacerdotale: a tutti noi presbiteri consta quanto delicato sia il
passaggio dei neordinati dalla vita del Seminario alla
piena attività pastorale. Occorre perciò che si indichino dei percorsi esperienziali caratterizzati particolarmente da sperimentazioni adeguate all’esercizio del
ministero presbiterale. Temi indicativi possono essere
i seguenti:
1) esposizione e confronto sui principi che riguardano
l’esercizio del ministero della Parola, dei Sacramenti, del governo del Popolo di Dio;
2) lo stile, il modo, l’arte con cui deve essere trasmesso il messaggio evangelico nelle sue diverse forme
(catechesi, predicazione, lectio divina…) tenendo
presente la diversificazione dell’uditorio a cui è diretto il messaggio;
3) lo spirito con cui deve essere celebrato il culto divino, la cui finalità è quella di portare le persone
all’incontro con Cristo;
IN NOMINE DOMINI
37
4) l’amministrazione della Parrocchia, l’animazione della comunità, il coordinamento della presenza partecipativa dei fedeli laici nella liturgia, nella catechesi,
nel Consiglio Pastorale in altri organi di partecipazione;
5) il rapporto di comunione e di collaborazione responsabile con il Vescovo e con il resto del presbiterio;
6) la capacità di dialogo con le persone, anche quelle
non cattoliche o non credenti.
È questo il passaggio dalla teoria alla pratica, dal sapere al saper fare. Ovviamente non si può pensare che basti
questo percorso esperienziale concreto per avviare un
giovane presbitero, occorre ricercare insieme come integrare teologia, spiritualità, ascesi e servizio pastorale e a
questo fine è necessario mettere in condizione il giovane
presbitero di operare accanto a presbiteri spiritualmente
solidi e zelanti nelle loro attività pastorali. Questa familiarità, unita ad un dialogo ricercato, frequente e cordiale
con il Vescovo, con gli altri presbiteri giovani e anche con
quelli che più tali non sono, coltivare la loro amicizia, il
mutuo apprezzamento, il sostegno, la condivisione favoriranno il superamento di un certo scoraggiamento che
prende davanti ai primi insuccessi, il riuscire a trovare
un’armoniosa sintesi tra il dono di sé agli altri e l’appartenenza esclusiva al Signore (maturità affettiva); l’imparare
a gestire il proprio tempo in funzione del ministero e non
privilegiare mai l’uso dei mezzi a discapito dei contenuti
e soprattutto delle persone.
Il secondo tempo riguarda gli anni dell’età adulta e
matura. I presbiteri di quest’età corrono il rischio di non
credere più necessaria la Formazione Permanente: con la
presunzione di sapere ormai tutto di essere comunque
esaurientemente formati, rischiano di cedere alla tentaLETTERA PASTORALE
38
zione di identificare il proprio dover essere con la propria
esistenza, rifiutando mediazioni e sviluppo; si rischia
così di diventare funzionari del culto a ore, non testimoni
a tempo pieno di ciò che la grazia di Dio opera in chi è
disposto ad accoglierla e a corrispondervi. Occorre poi
mettere in conto il rischio di cedere alle tentazioni di avarizia, di autoritarismo, di carrierismo e anche più semplicemente a ridurre gli impegni pastorali al puro necessario a favore di attività più gratificanti. La Formazione
Permanente può aiutare questi presbiteri a rientrare da
quel senso di disincanto, perdita di fervore nell’apostolato o peggio da quel senso di rassegnazione o d’impotenza che possono far capolino man mano che gli anni si
accumulano.
Le proposte di temi che maggiormente possono favorire la Formazione Permanente dei presbiteri adulti e
in età matura sempre alla luce della fede e dalle scienze
umane potrebbero riguardare:
1) i metodi di rilevazione o di ricerca che li aiutino
a discernere ed interpretare i segni della cultura e
della società entro cui esercitano il ministero;
2) incontri atti a rimotivare e a tener viva la coscienza
presbiterale impedendo una sua atrofizzazione;
3) corsi di aggiornamento teologico che facciano superare un certo empirismo superficiale che si può verificare quando si è perso o semplicemente l’attitudine
allo studio e alla riflessione e vadano al cuore del mistero cristiano che è sempre apertura convinta alla
fede nel Dio di Gesù Cristo che si scopre e si deve far
scoprire come Padre nel servizio dei fratelli;
4) accorgimenti pedagogici adeguati a facilitare un
metodo di lavoro che badi all’incontro, alla circolazione delle idee, al confronto a far crescere il senso
di una partecipazione “più democratica” alla vita
della Chiesa da parte dei fedeli laici;
IN NOMINE DOMINI
39
5) iniziative che preparino i presbiteri ad assumere,
quando richiesto, nuove responsabilità in seno agli
organismi diocesani di curia o pastorali;
6) chiarificazioni su problematiche riguardanti il rapporto tra la Chiesa ed il Mondo;
7) istruzioni sulle tecniche e i mezzi della comunicazione a servizio dell’evangelizzazione e dell’organizzazione di una parrocchia.
3. Quali i luoghi e gli “spazi” della Formazione Permanente?
In attesa che la commissione presbiterale della CEP,
con l’aiuto dell’IPP ci consegni un quadro più esaustivo
e completo circa la Formazione Permanente è opportuno
in questa sede presentare alcune esperienze e luoghi della Formazione Permanente possibili nel nostro contesto
diocesano.
Il primo “luogo” in cui effettuare la Formazione Permanente è evidentemente la vita pastorale del prete con
le sue relazioni, il ministero considerato nella sua totalità
e nella sua ferialità vissuto in tutte le stagioni sia di età
che di attività pastorale. Come non considerare occasione di Formazione Permanente la celebrazione liturgica
specie nel giorno del Signore, sia nella sua fase preparatoria che in quella attuativa? E la preghiera personale
e comunitaria? Come non riconoscere una valenza formativa alla guida e all’accompagnamento della comunità cristiana nei vari momenti di vita e di azione? O al
servizio di carità, alla cura dei malati, al farsi carico dei
problemi e delle sofferenze della gente? Alla presidenza del Consiglio Pastorale Parrocchiale, alla formazione
puntuale e periodica dei catechisti e degli operatori pastorali?
LETTERA PASTORALE
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Altro “luogo” rilevante è il collegio dei presbiteri sia a
livello diocesano che zonale. Nel contesto comunitario si
può sperimentare il senso di appartenenza ad un unico
corpo presbiterale e si vive la corresponsabilità di essere
preti per la Chiesa non per una comunità solamente.
Le esperienze di Formazione Permanente a livello spirituale, nel contesto collegiale della Diocesi, sono i ritiri
spirituali mensili che in quanto a partecipazione vedono
la quasi totalità del clero diocesano; gli Esercizi Spirituali
che si vogliono proporre in due date distinte nell’anno
per permettere alla maggioranza dei presbiteri di viverli
insieme come preti della stessa Chiesa particolare.
Sia nel caso degli Esercizi come in quello dei Ritiri si
continuano a prevedere momenti forti di preghiera comunitaria e personale, riflessione sulla Parola di Dio, momenti di silenzio, possibilità di celebrare il sacramento
della Riconciliazione. Ciò che non si dovrebbe mai tralasciare in queste occasioni è un tempo adeguato da vivere
in fraterno scambio di idee sulle tematiche proposte dalle relazioni o meditazioni e forme di correzione fraterna
che sicuramente possono fondare meglio l’amicizia tra i
presbiteri. Sempre in contesto di collegialità o zonale o
semplicemente di empatia tra un certo numero di preti
si possono proporre degli incontri di formazione tipo i
cenacoli di spiritualità proposti dall’Unione Apostolica
del Clero, incontri che partendo da una riflessione sulla
Parola di Dio e passando attraverso un confronto teologico pastorale, terminano con un momento conviviale che
mira a far crescere l’amicizia e la stima vicendevole. Anche l’interscambio di preti nel servizio pastorale, momenti di studio, di discernimento comune, di progettazione
pastorale zonale senza peraltro staccarsi dalle indicazioni della Diocesi, la lettura comunitaria di riviste teologiche, la conoscenza più approfondita di figure sacerdotali
eminenti del recente passato (una sorta di scuola di santiIN NOMINE DOMINI
41
tà)… saranno forme concrete di Formazione Permanente
all’interno di una zona pastorale o della diocesi intera e
nello stesso tempo un «segno chiaro ed evangelizzante di
comunione per le comunità parrocchiali». Come sarebbe
bello sentir dire dalla nostra gente, riferendosi ai nostri
sacerdoti, «vedi come si amano»!
Grande considerazione hanno anche le iniziative
appartenenti alla sfera teologica-pastorale e tra queste
particolare menzione meritano i corsi residenziali di più
giorni articolati attorno ai grandi temi teologici che hanno
attinenza diretta con la vita della Chiesa e con il ministero pastorale (temi biblici, ecclesiologici, i piani decennali
della Chiesa italiana); questi corsi oltre che essere corsi di
aggiornamento, per il fatto di essere residenziali favoriscono anche una maggiore conoscenza tra presbiteri ed
un caldo clima di fraternità.
Altra esperienza da promuovere sono le cosiddette
giornate teologiche con cadenza bimestrale o trimestrale
sul tema pastorale dell’anno da svolgere con metodologia seminariale o laboratoriale che molto più delle lezioni
frontali favoriscono il coinvolgimento diretto dei partecipanti.
Di fondamentale importanza e quindi da favorire
sono gli incontri di carattere esperienziale-agapico che
già si vivono ma che vanno maggiormente sollecitati: la
celebrazione della Santa Messa Crismale (forte momento
di aggregazione del presbiterio intorno al proprio Vescovo); la giornata di Santificazione sacerdotale; la presenza
di tutti alle ordinazioni diaconali e presbiterali. Sono altresì da promuovere nella nostra chiesa particolare quei
tentativi (che peraltro già cominciano a realizzarsi) di fraternità sacerdotale con diverse modalità di realizzazione
(sacerdoti con ministeri diversi o al servizio di comunità
diverse che condividono alcuni momenti essenziali di
vita come liturgia delle ore e i pasti; o sacerdoti di una
LETTERA PASTORALE
42
stessa vicaria o di vicarie diverse che spontaneamente si
ritrovano periodicamente insieme per pregare, programmare, collaborare, mangiare).
4. Ambiti della Formazione Permanente
Per la definizione degli ambiti ci rifacciamo a quelli
delineati dalla P.d.V. che funzionalmente divide le dimensioni della formazione in umana, spirituale, intellettuale, pastorale ma che invita a ricondurle all’unitarietà
della crescita della persona del presbitero attorno al nucleo unificante della “Carità Pastorale”.
a. Ambito della formazione umana
L’umanità è qualità essenziale alla persona e al ministero del presbitero. Egli mai dovrà dimenticare di essere
«uomo scelto tra gli uomini per essere al servizio degli
uomini… perciò egli deve presentarsi con un bagaglio di
virtù umane che lo rendano degno della stima dei fratelli» (Direttorio per la vita e il ministero dei presbiteri).
A volte però si ha l’impressione che in questo campo
si pretenda di vivere di rendita, non si dà sufficiente importanza alle qualità umane. Ripercorrendo quando dice
la P.d.V. ora presentiamo quei valori-atteggiamenti che il
documento elenca a questo proposito:
- la sensibilità nel percepire e farsi carico di ciò che è
nel cuore delle persone che si incontrano;
- la capacità di dialogare, di ascoltare, di collaborare,
di dar fiducia;
- la capacità di giudicare con equilibrio senza pregiudizi e superficialità.
Questi valori sono necessari alla costruzione di personalità equilibrate, capaci di relazioni, mature nell’affettività, amanti del bello oltre che del bene, amanti della
IN NOMINE DOMINI
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buona creanza, della gentilezza nel tratto, della pulizia
nel vestire, della sobrietà nel bere e nel mangiare, del
buon uso del danaro e del tempo, della fedeltà alla parola data…
b. Ambito della formazione spirituale
I tratti della formazione spirituale intesa come apertura totale al trascendente e come rapporto di comunione piena con Dio, forza trasversale che attraversa tutta
la realtà della formazione, sono anzitutto quelli comuni
della vita nuova nello Spirito, propri di ogni battezzato,
ma vissuti nel presbitero secondo il dinamismo specifico
di crescita effuso come dono dello Spirito nel sacramento
dell’Ordine (P.d.V. 72). La spiritualità del presbitero dev’essere fortemente cristocentrica e come tale caratterizzata da un’intima comunione e familiarità con il mistero
di Dio uno e trino, una vita intimamente unita a Cristo
sacerdote e buon pastore a cui il presbitero in forza dell’Ordine è configurato.
Impegno sempre costante e mai esaurito di ogni presbitero è ricercare Gesù Cristo per dimorare con lui ponendosi in religioso ascolto della sua Parola, accogliendola, meditandola, confrontandola con la propria vita.
Una ricerca di Gesù Cristo sperimentata nei sacramenti
soprattutto quelli dell’Eucaristia e della Riconciliazione,
nella preghiera liturgica della Chiesa, nella relazione con
gli uomini a partire dai più poveri, rivestendosi della
Carità di Cristo che il presbitero dovrà testimoniare in
ogni direzione. Massima attenzione dovrà essere data
dal presbitero a vivere i consigli evangelici dell’obbedienza, della castità vissuta nel celibato e della povertà,
consigli che pur non avendo per lui la valenza dei voti
professati, lo associano a Cristo Signore povero, obbediente e casto. La devozione mariana sarà un caposaldo
della vita spirituale del presbitero che vedrà in Maria la
LETTERA PASTORALE
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madre che Gesù dall’alto della croce ha dato al suo discepolo prediletto.
c. Ambito della formazione intellettuale
Questo ambito della formazione è strettamente collegato con gli altri due e quindi non è da considerare fine
a stesso, di livello puramente nozionistico o peggio di
superbia mentis. É ancora una volta l’esortazione apostolica P.d.V. che ci dà la prospettiva secondo cui curare la
formazione intellettuale: l’intelligenza della fede e quella
del cuore (n. 51), che sfocia in una graduale crescita sapienziale. Si tratterà di condurre, attraverso lo studio e la
riflessione, a “vedere” ed approfondire la verità del mistero di Dio, quella dell’uomo, quella di se stessi dentro la
trama storica concreta dell’esistenza e nella loro reciproca
relazione.
Tutto in funzione della comunicazione della verità del
Vangelo al mondo di oggi nella fedeltà a Dio, alla Chiesa,
all’uomo.
Sarà necessario allora privilegiare momenti di studio e
di aggiornamento del pensiero e delle culture dell’uomo
di oggi, di quelle che si chiamano scienze umane (psicologia, pedagogia, sociologia, antropologia, mass-media e
nuovi linguaggi, informatica, internet…), di quelle teologiche, delle indicazioni offerte dal Magistero. Questa
esigenza è motivata dalla capacità di rispondere alla sfida della nuova evangelizzazione, dall’esercizio di amore
verso Dio e il prossimo, dall’essere il presbitero in grado
di aiutare gli altri a dare ragione della loro speranza cristiana, offrendo quei contenuti necessari con linguaggio
semplice e lineare. Sarà la formazione intellettuale che
promuoverà l’inculturazione della fede e l’evangelizzazione della cultura così come dicono i Vescovi italiani nella presentazione del «Progetto culturale cristianamente
ispirato». È uno sforzo necessario per evitare da una parIN NOMINE DOMINI
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te il pericolo del conformismo e della ricerca della popolarità e dall’altro del soggettivismo o di ridurre il mistero
ad una pura e semplice sacramentalizzazione.
d. Ambito della formazione pastorale
Tutta la formazione del presbitero è finalizzata alla
formazione pastorale, cioè alla carità pastorale di Gesù
Cristo (P.d.V. 57). È questa finalizzazione che unifica e
specifica tutti gli altri ambiti della formazione. Tuttavia
volendola individuare meglio essa consiste nell’acquisizione da parte del presbitero dello zelo, della passione, del coraggio dell’annuncio, della parresia (audacia
e coraggio) che era proprio di Cristo. In questo cammino formativo molto spazio dev’essere dato alla fantasia
pastorale e all’intelligenza creativa per escogitare nuove
forme di apostolato con cui affrontare le problematiche
derivanti dalle considerazioni che la nota pastorale della
CEI sul volto missionario delle parrocchie in un mondo
che cambia, ci presentava circa i tre livelli di cristiani presenti nelle nostre Chiese. Ma ancora di più per evitare
la semplice ripetizione di pratiche pastorali consolidate
dall’abitudine che spesso risultano costose in termini di
investimento personale e di energie ma al tempo stesso
magre di risultati. In questo cammino è richiesto al presbitero un livello di maturità non comune (umana, spirituale, ecclesiale, culturale) ed un equilibrio frutto di una
disciplina di vita ritmando i tempi della preghiera, del lavoro, del riposo che lo sostenga in quel clima di tensione
in cui è chiamato a svolgere il suo ministero. La ripresa
delle finalità di cui si è parlato all’inizio di queste linee
operative e di riflessione potrà aiutare il «presbitero ad
essere e a fare il prete nello spirito e secondo lo spirito di
Gesù Buon Pastore» (P.d.V. 73).
Concludendo queste riflessioni occorre dire che la
Formazione Permanente non mira a produrre persone
LETTERA PASTORALE
46
perfette: ognuno è portatore di singolarità e di limiti…
è l’esperienza di Gesù nella formazione degli apostoli a
ricordarcelo.
Occorre anche ricordare che il primo responsabile della Formazione Permanente è il Vescovo che come “Pastore, Fratello, Maestro, Guida, Amico” si porrà in atteggiamento autorevole e dialogante nei confronti dei singoli
presbiteri e del presbiterio nel suo insieme. Un Vescovo
nella linea del vangelo e non mero “sorvegliante” dell’ortodossia, dell’ordine, del sacro che a lungo andare provocherebbe nel clero scollamento, disagio, sofferenza nei
rapporti personali, chiusura nel proprio orto-parrocchia
e alla fine isolamento.
Il Vescovo in questo lavoro paziente e tanto necessario
si potrà avvalere di collaboratori e in primis di un prete incaricato della formazione permanente (da noi ruolo riservato al Vicario Generale), che sia stimato da tutti,
abbia saggezza e cuore, capacità di accompagnamento,
equilibrio interiore, pazienza.
Un’attenzione particolare nella Formazione Permanente è quella di puntare alla “buona qualità della vita”
tenendo in debito conto i bisogni primari dell’uomo-prete: casa, cibo, vestito, riposo, ferie… privilegiando uno
stile di sobrietà ed essenzialità, rifuggendo la ricercatezza ed il lusso. Occorre anche che il prete sappia dire
dei “No” alle esagerate richieste della gente seguendo il
consiglio di san Carlo Borromeo ai suoi preti: «Non trascurare la cura di te stesso e non darti agli altri fino al
punto che non rimanga nulla di te a te stesso». L’attivismo divorante può essere causa di esaurimento fisico,
psichico, spirituale. Un’altra attenzione da considerare in
un cammino di Formazione Permanente è il prevenire o
la ricomposizione di fratture tra preti anziani e preti giovani. Degli uni e degli altri bisogna valorizzare i pregi:
la saggezza e l’esperienza degli uni, la vitalità e l’entuIN NOMINE DOMINI
47
siasmo degli altri in vista di un reciproco arricchimento
interiore e pastorale.
Concludendo facciamo nostra l’esortazione di Paolo
a Timoteo: «Sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella Carità, nella fede, nella purezza. Fino
al mio arrivo dedicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. Non trascurare il dono spirituale che è in
te. Abbi premura di queste cose, dedicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso. Vigila su
te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante; così
facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano» (I Tim
4, 12-16). Formazione permanente e dedizione apostolica
si alimentano l’un l’altra: questa la convinzione dell’Apostolo, questa sia la nostra convinzione.
5. Proposte per un progetto triennale di formazione
permanente
a. Ambito della formazione spirituale
La formazione spirituale è affidata ai Ritiri spirituali
mensili e ai Corsi di Esercizi Spirituali per il clero diocesano (si prevedono due corsi all’anno per facilitare la
partecipazione della maggior parte del clero).
Una proposta complementare potrebbe essere quella
dei Cenacoli di spiritualità, sull’esempio dei Cenacoli proposti dall’UAC, che si possono proporre ai preti delle varie vicarie. Per quanto concerne i temi dei Ritiri per il primo anno (quello in corso) si rimanda allo schema dettato
dal Vescovo, per gli anni successivi la pista di riflessione
potrebbe essere tracciata seguendo i Discorsi di addio e la
Preghiera sacerdotale di Gesù in Gv 14-17 con particolare
attenzione alla spiritualità di comunione (2° anno). Per il
terzo anno si propone di riflettere sulle Virtù Teologali anima e fondamento dell’agire morale del cristiano e quindi
LETTERA PASTORALE
48
anche del sacerdote: si tratta di aiutare a comprendere che
senza queste disposizioni interiori o atteggiamenti non
può realizzarsi nessun concreto approccio a Dio ed un
autentico ed effettivo cammino di santità. Un aiuto potrà
esserci dato dall’esaminare le tre virtù negli scritti e nella
vita del Servo di Dio don Felice Canelli.
b. Ambito della formazione umana
Quest’ambito primo nell’ordine logico, poiché gratia
supponit naturam, è fondamento insostituibile dell’intera
formazione. Per costruire personalità equilibrate, forti,
libere, capaci di portare il peso del ministero pastorale,
occorre accentuare il respiro della libertà, la fiducia, il diritto di essere felici, il perdono. Per un cammino in questo
senso si propone lo studio delle virtù umane o cardinali,
intorno ad esse si raggruppano tutte le altre.
Educarsi alla relazione fraterna per maturare la coscienza di appartenere ad una sola famiglia presbiterale,
questo impegno non deve essere considerato un optional
o una semplice relazione amicale; la relazione fraterna è
una testimonianza visibile del primato di Dio Padre di
cui tutti siamo figli. Acquisire uno stile dialogico fatto di
attenzione alle persone, di ascolto, di rispetto, di calore
umano è un impegno che arricchisce la figura umana del
prete e lo rende trasparenza dell’amore di Dio.
Non meno importante è educarsi ad una maturità psico-affettiva per coltivare relazioni mature che non facciano
del prete un casto ma misogino, un puro ma freddo e distaccato, un devoto ma ritualista. Di qui il curare l’amicizia,
la collaborazione, il confronto e a volte anche lo scontro costruttivo e mai demolitore, il porsi sempre come compagni
di viaggio degli uomini e le donne del nostro tempo più
che censori dei loro comportamenti. (1° tempo)
Educarsi alla cura di sé, imparare a gestire la propria
imperfezione, dare importanza al proprio e all’altrui fiIN NOMINE DOMINI
49
sico senza eccessi ma sapendo dosare tempi e modi di
azione per una sana accoglienza sia dello star bene che
della malattia. Educarsi alla corretta comunicazione che
significa essere affabili, cioè esercitare un rispettoso dialogo, imparare l’arte della collaborazione che richiede la
capacità di saper attendere che gli altri imparino a fare
ciò che tu faresti in più breve tempo; superare la spirale
del silenzio che in certi casi non è una virtù ma un atteggiamento di sospetto o di superiorità nei confronti di
chi è di fronte. (2° tempo) Educarsi all’arte del discernimento, in un mondo in cui prevalgono più le emozioni
che le convinzioni è fondamentale il senso critico, il richiamo alla coerenza e alla fedeltà agli impegni assunti.
Saper dare importanza alle buone maniere: gentilezza
del tratto, gusto nel vestire, pulizia del corpo e dell’abbigliamento, anche quello liturgico, sobrietà nel mangiare
e nel bere, buon uso del denaro, del tempo, fedeltà alla
parola data, umiltà nel chiedere scusa, dare più importanza all’essere che all’apparire: ne va di mezzo non la
figura del prete quanto la credibilità di ciò che lui rappresenta. (3° tempo)
c. Ambito della formazione intellettuale
È un’esigenza con la quale il presbitero si apre alla conoscenza delle cose per poterle rapportare a Dio.
Le tematiche che si potrebbero proporre sono le seguenti:
- Bioetica e problematiche morali ad essa connesse.
(1° anno)
- L’evangelizzazione e i problemi della giustizia sociale, del lavoro, della politica, della salvaguardia
del creato. (2° anno)
- Conoscenza dei cardini delle altre religioni per un
approccio multiculturale in funzione di un’integrazione dei tanti immigrati. (3° anno)
LETTERA PASTORALE
50
d. Ambito della formazione pastorale
Tutto il processo formativo mira a formare dei veri
pastori sull’esempio di Gesù e non degli impiegati della
Azienda-Chiesa per cui si propongono i seguenti temi:
- Lo studio delle lettere pastorali di San Paolo, i documenti del Magistero sulla pastoralità. ( 1° anno)
- La liturgia e le sue regole: non siamo i padroni ma
i servi del Mistero di Dio e della Chiesa, ciò che ci
è stato consegnato dobbiamo trasmettere, la conoscenza dell’arte come veicolo di evangelizzazione.
(2° anno)
- La buona amministrazione di una parrocchia,
aspetti economici, giuridici…
- La dimensione missionaria al fine di suscitare nuove vocazioni di preti e laici fidei donum.
IN NOMINE DOMINI
51
DA VERONA IN POI
Relazione del lavoro Diocesano
sul 4° Convegno Ecclesiale Nazionale
Allegato 2
Il percorso della nostra Diocesi
Al rientro da Verona, il 25 novembre, tutte le realtà
parrocchiali in un’Assemblea Diocesana molto attenta
hanno ascoltato le relazioni dei delegati diocesani al Convegno ecclesiale, i quali insieme al Vescovo, hanno offerto
alcune chiavi di lettura del Convegno appena concluso.
Successivamente ci sono stati tre incontri nelle vicarie
per i Consigli Pastorali Parrocchiali per l’assimilazione
dei temi emersi a Verona e per sensibilizzare i componenti dei CPP a portare avanti con impegno il lavoro di riflessione e di confronto nelle comunità parrocchiali, attorno
ai cinque ambiti indicati come gli spazi della vita umana
in cui testimoniare la speranza nel Cristo Risorto.
Dai lavori pervenuti dalle singole realtà parrocchiali,
e con il contributo dell’Ufficio catechistico e dell’Ufficio
scuola, sono emerse aspirazioni, esigenze, proposte di
seguito esposte.
❧ Vita Affettiva
Dall’intervento sulla vita affettiva è emerso con forza
il dato dell’ individualismo come piaga che ha reso la vita
affettiva fragile. La relazione affettiva si è notato ormai è
vissuta e basata solo sul semplice piacere immediato, che
soddisfa un’esigenza, un bisogno, specchio di una realtà
più ampia che viene proposta come unica strada sopratLETTERA PASTORALE
52
tutto ai giovani di oggi, con la conseguenza inevitabile
che gli adolescenti vivono una certa “immaturità affettiva”. Vi è una cultura e una attività politica tendente ad
avallare situazioni di precarietà dei legami affettivi. I giovani dopo la preparazione al matrimonio come coppia
vengono lasciati soli ad affrontare i problemi della vita a
due, con non poche difficoltà e un progressivo “raffreddamento” della stessa coppia. Le nostre comunità cristiane sono caratterizzate da relazioni formali che faticano
ad essere pensate come luoghi di relazioni affettive e di
condivisioni delle responsabilità. La speranza di una vita
affettiva è messa a dura prova da numerose sofferenze
che vanno dalle gravi crisi o fallimenti di relazioni familiari alla solitudine degli anziani all’allontanamento dei
giovani dalla comunità in cui non si sentono “amati”.
Le proposte avanzate vorrebbero che:
Venga istituito in Parrocchia un punto di ascolto e di
accoglienza ove si possa rivolgere chiunque abbia un
problema personale o familiare per ricevere suggerimenti, consigli, aiuti ecc.
Vengano istituiti sia a livello interparrocchiale che diocesano dei corsi di formazione tenuti da esperti in sociologia/psicologia/antropologia sui problemi relazionali
rivolti ad adolescenti/giovani/adulti/nubendi/giovani
coppie/sacerdoti/educatori.
Aiutare la famiglia a riacquistare il suo ruolo di centralità nella educazione alla vita affettiva con l’istituzione
di una scuola di formazione permanente per genitori e
“scuola delle emozioni” per gli adolescenti e i giovani.
È importante che il linguaggio dell’annuncio esprima
il calore proveniente da relazioni affettive profonde anche nella vita ecclesiale.
IN NOMINE DOMINI
53
❧ LAVORO E FESTA
La festa è percepita più come solo bisogno personale,
di liberazione dal lavoro, riposo orientato al divertimento, e quindi sempre meno gratuità, dono e servizio per e
alla comunità. Vi è una scarsa attenzione delle Parrocchie
alla realtà del lavoro. Oggi si sente forte il nuovo modo
di vivere la festa che è percepita più come: svago, pub, cinema, ristorante, ballo, week end, tutti modi finalizzati a
liberarsi dal peso del lavoro che come tempo propizio per
incontrare L’Altro e gli altri. La precarietà del lavoro porta instabilità e frustrazioni e quindi pochi giovani nelle
parrocchie. Esistono nelle comunità cattoliche forti discrepanze derivanti da leggerezza, incuria e smisurate dosi di
superficialismo e tradizionale bigottismo che fanno della
Domenica un giorno qualsiasi senza incidere sulla vita.
Di conseguenza emerge con chiarezza che né la società
odierna né a volte le stesse comunità aiutano più a vivere
la dimensione della “festa”.
Le proposte avanzate vorrebbero che:
Recuperare il significato da attribuire al lavoro e alla
festa attraverso l’aiuto dell’Ufficio per la pastorale del
Lavoro con la preparazione di un compendio, coinvolgendo coloro che pensano di impegnarsi in politica.
Che nelle Parrocchie e nell’ambito della catechesi dell’iniziazione cristiana si “rispolveri” il pensiero sociale della Chiesa per riflettere su quanto il Magistero ha detto e
dice circa il lavoro, che non deve rendere schiavo l’uomo.
Educare al rispetto del lavoro e delle feste come tempo
da dedicare al Signore.
Si crei una rete di formazione e di conoscenza della
Dottrina Sociale della Chiesa a livello parrocchiale, interparrocchiale e diocesano.
LETTERA PASTORALE
54
Riscoprire il tempo del riposo, della festa e della vera
gioia, con coraggio viverlo come giorno dedicato al Signore e allo spirito, con la famiglia e la comunità.
Riscoprire l’impegno per gli altri nel giorno di Festa
valorizzando l’oratorio anche come luogo di socializzazione.
❧ FRAGILITÀ
Vi sono molti aspetti della fragilità e anche di diverso
genere: menomazioni fisiche, l’alcolismo, immigrazione,
disoccupazione, disgregazione dell’Istituto familiare e le
droghe. Vi è comunque una sorta di disinteresse e scarsa
partecipazione da parte della comunità parrocchiale alle
diverse problematiche con la paura di sporcarsi le mani
con tali situazioni ed a volte anche la paura di collaborare con gli enti specializzati per un recupero della realtà
territoriale, ma non per questo sentirsi i salvatori della
patria. Non si è capaci di ascoltare e di accogliere, forse
questo è il maggior problema legato alla fragilità. Da ciò
emerge che, la fragilità giovanile è più bisognosa di attenzione all’interno della comunità parrocchiale. I ragazzi in fase preadolescenziale, sono fatti oggetto di un bombardamento di messaggi negativi per quanto riguarda i
rapporti affettivi, messaggi che spesso provengono dalla
stessa scuola, fragilità del futuro impossibile da progettare a causa delle difficili prospettive del lavoro, lo stesso
contesto sociale difficile per la crisi dei valori tradizionali,
soprattutto della famiglia, porta i giovani a cadere in un
vivere alla giornata e lasciarsi scivolare le cose addosso
come se non ci fossero più vie di uscita. Alla comunità
spetta forse oggi più che mai la testimonianza attiva di
una possibilità di vivere diversamente ma in modo propositivo la vita.
IN NOMINE DOMINI
55
Le proposte avanzate vorrebbero che:
La fragilità potrebbe essere risolta seguendo tre vie:
l’ascolto, l’accoglienza dell’uomo e la condivisione.
Si organizzino corsi di formazione specifici per i vari
settori.
Ci sia la presenza di educatori qualificati e formati prima di tutto alla scuola del Vangelo per divenire punti di
riferimento forti e sicuri per i giovani che avvicinano.
Approfondimento della giusta dimensione della sessualità nell’ambito del rapporto affettivo, ed una presa
di coscienza del ruolo e dell’importanza della famiglia
fondata sul matrimonio.
Servizi ai fratelli immigrati: buoni pasto mensili, pranzo mensile comunitario per i più bisognosi, creazione di
un centro di volontariato di accoglienza, di assistenza legale per la sistemazione di pratiche amministrative e di
situazioni-giuridiche (status giuridico, assistenza medica,
lavoro…), assistenza medica attraverso la partecipazione volontaria di professionisti, organizzazione di lezioni
sistematiche di lingua italiana, che possano divenire anche momento di incontro e di comprensione reciproca. I
percorsi catechistici e formativi devono tener conto della
particolare condizione di fragilità giovanile.
❧ TRADIZIONE
Dalla discussione in seno all’ambito della tradizione
si è notato che nella comunità non si trasmette la fede
ma si prepara solo ai sacramenti. La pastorale familiare
è discontinua e a volte inesistente nelle parrocchie. Nelle
parrocchie si “corre” nel fare tante piccole cose ma ci si
dimentica di “avere” del tempo per l’uomo. Tutto viene riportato effettivamente ad una concreta mancanza
di formazione all’interno delle comunità. Le Parrocchie
LETTERA PASTORALE
56
e quindi la Diocesi non riescono a farsi completamente
carico delle problematiche e attese degli uomini di oggi,
con la conseguenza di un progressivo scollamento tra la
vita di fede e quella di uomini di ogni giorno.
Le proposte avanzate vorrebbero che:
La Parrocchia diventi testimone quindi il luogo dove
la tradizione trova compimento attraverso la Dottrina, i
Sacramenti, la Liturgia e la Vita.
I Sacerdoti e i laici impegnati nelle comunità parrocchiali uscissero fuori dalle mura della chiesa per arrivare
alle mura domestiche incontrando le famiglie, gli anziani, gli ammalati, per divenire Chiesa missionaria e che
aiuti sia i fedeli più attivi che quelli lontani a riscoprire le
giuste radici della religiosità.
Venga privilegiata la famiglia nell’attività pastorale
magari con l’istituzione di un osservatorio permanente
che consenta di dare aiuto alle famiglie in difficoltà e che
accompagni le famiglie più giovani nel loro cammino
non sempre facile.
Le coppie che frequentano i corsi di preparazione al
matrimonio vengano seguite anche dopo la celebrazione
del sacramento, cosi come quelle che si preparano al battesimo dei propri figli.
Creatività e innovazione nei linguaggi.
La Diocesi deve essere più presente sul territorio, deve
conoscere la realtà delle singole parrocchie, collaborare
attivamente nella programmazione, favorirne la realizzazione e verificarne la riuscita.
IN NOMINE DOMINI
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❧ CITTADINANZA
È emerso con chiarezza che al giorno d’oggi l’individualismo ha preso il sopravvento sull’aspetto sociale legato ai ruoli familiari ed alle regole della comune convivenza. Si nota in modo del tutto particolare la mancanza
di un osservatorio permanente che studi le problematiche
del territorio parrocchiale con la conseguenza che vi è una
conoscenza approssimativa delle situazioni economiche
e politiche presenti sullo stesso. Le figure di marito e padre o di moglie e madre, che in passato erano le chiavi di
accesso alla cittadinanza della istituzione famiglia sono
diventate obsolete con il rischio di essere addirittura ormai figure sorpassate e incapaci di trasmettere valori per
le generazioni future. È emersa anche l’esistenza di una
cittadinanza della terza età, in cui trovano spazio quelle
persone tra le più deboli della società, quegli anziani che
non trovano accoglienza all’interno delle proprie famiglie o che non hanno famiglia e che necessitano di tutto,
dall’assistenza morale a quella sanitaria. Esiste una cittadinanza dei minori ed una degli emarginati in cui si
allocano i minori a rischio, gli extracomunitari, categorie
guardate con diffidenza.
Le proposte avanzate vorrebbero che:
La Parrocchia diventi luogo di discernimento comunitario all’interno del quale i laici, con le loro competenze e
professioni, possono e devono svolgere il ruolo di collegamento tra la Chiesa e la Società civile, e che i laici non possono rimanere distanti dall’impegno politico inteso come
interessamento ai problemi della città o ai problemi che
quotidianamente ogni cittadino è costretto ad affrontare.
Si auspica la costituzione di una consulta cittadina interparrocchiale aperta alle istituzioni per costruire una
sinergia che possa incidere di più sulla vita cittadina.
LETTERA PASTORALE
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La Parrocchia deve occuparsi della formazione della
coscienza civica dei ragazzi e dei giovani che la frequentano organizzando incontri interparrocchiali e diocesani
che riscoprano i fondamenti della Dottrina sociale della
Chiesa.
IN NOMINE DOMINI
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Il nuovo organigramma
della Curia Diocesana
Allegato 3
I. SETTORE PASTORALE
presieduto dal Vicario Episcopale
A. pastorale di base
• Ufficio per l’Evangelizzazione e la Catechesi
• Ufficio Liturgico
• Ufficio per la pastorale Giovanile
• Ufficio Missionario e Cooperazione tra le chiese
B. pastorale dell’ambiente
• Ufficio per l’Evangelizzazione della Carità
• Ufficio per la pastorale della Famiglia
• Case Accoglienza; Carceri; Ospedali
II. SETTORE LAICATO
presieduto dal Vicario Episcopale
A. pastorale del laicato
• Movimenti e Gruppi Ecclesiali
• Confraternite
• Associazioni
• Ufficio Scuola e past. Scolastica
• Pastorale della cultura
• I.S.S.R.
• Ufficio pastorale sociale del lavoro
• Consulta per il laicato
• Ufficio per la comunicazioni Sociali
• Addetto stampa della Diocesi
LETTERA PASTORALE
60
III. SETTORE VITA RELIGIOSA
presieduto dal Vicario Episcopale
• Religiosi e religiose
• Ordo Virginum
• Istituti di Vita Consacrata
• Istituti Secolari
• CISM
• USMI
IV. SETTORE FORMAZIONE PERMANENTE
presieduto dal Vicario Generale
• Sacerdoti
• Diaconi e ministri istituiti
• Seminaristi
• Animazione Vocazionale
V. SETTORE GIURIDICO
presieduto dal Vicario Episcopale
A. Tribunale diocesano
• Vicario Giudiziale
• Difensore del vincolo
• Promotore di giustizia
• Notaio
B. Cancelleria e Archivio
affidato al Cancelliere
• pratiche per nulla osta istruttorie matrimoniali
• pratiche per dispense
• protocollo
IN NOMINE DOMINI
61
• legati pii
• archivio corrente
• archivio storico (dal 1907)
• fondo solidarietà sacerdotale
• cassa Oboli
VI. SETTORE AMMINISTRATIVO
presieduto dal Vicario Episcopale
• Economato
• Ufficio Amministrativo-Legale
• Ufficio per l’Edilizia di Culto
• Ufficio per i Beni culturali
• Rapporti con gli Enti
• Archivio amministrativo
INCONTRI
degli Organismi di partecipazione
• Consiglio Episcopale a scadenza mensile
• Collegio dei Consultori a scadenza bimestrale
• Consiglio Presbiterale a scadenza bimestrale
• Consiglio per gli Affari Economici a scadenza trimestrale
• Consiglio Pastorale Diocesano a scadenza trimestrale
LETTERA PASTORALE
63
INDICE
IN NOMINE DOMINI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag.7
INDICAZIONI PER UN CAMMINO
DI FORMAZIONE PERMANENTE DEL CLERO. . . . . . » 29
1. Perché una Formazione Permanente. . . . . . . . » 29
2. Cosa è la Formazione Permanente?
Significato, esigenze, attese. . . . . . . . . . . . . . . . . » 35
3. Quali i luoghi e gli “spazi” della Formazione
Permanente? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 39
4. Ambiti della Formazione Permanenete. . . . . . » 42
5. Proposte per un progetto triennale
di Formazione Permanente . . . . . . . . . . . . . . . . » 47
DA VERONA IN POI
Il percorso della nostra Diocesi. . . . . . . . . . . . . . . . . » 51
Il nuovo organigramma
della Curia Diocesana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 59
LETTERA PASTORALE