15.12.2012 - EDIT Edizioni italiane
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15.12.2012 - EDIT Edizioni italiane
CULTURANDO La stagione delle fiabe di Diana Pirjavec Rameša La maggior parte delle favole sono state raccolte e in parte riscritte nel corso dell’Ottocento da estensori che, come i fratelli Grimm, ne avevano riconosciuto il valore e il contenuto. Dalle nostre parti le favole divennero ben presto tesori di famiglia. Per lo più erano gli anziani cui spettava l’onore e il dovere di raccontarle ai più giovani. Scrive il pedagogo Jacob Streit:” Ogni popolo di antica civiltà aveva le proprie favole e i propri cantori che le diffondevano. È davvero singolare che presso gli indiani, gli africani, gli asiatici e gli europei si trovino molte immagini e figure simili”. E come disse lo storico della civiltà Herman Grimm, figlio di uno dei due fratelli Grimm, nelle favole si può trovare il contenuto della grande storia universale nei tempi primordiali. Severi fin quasi alla pedanteria, i narratori che incontrarono i fratelli Grimm vegliavano come gli ultimi custodi delle fiabe per- ce vo /la .hr dit w.e ww «Ipotesi» di Alessandro Damiani/ Edit 2012 La verità è oltre l’orizzonte di Paolo Quazzolo U na delle funzioni più antiche e più nobili del teatro è senza dubbio quella di affrontare e porre in discussione i grandi temi della vita umana: lo scopo è spingere la platea a riflettere su tematiche difficili, ostiche e talora anche spiacevoli, al fine di un catartico miglioramento della società. Se da un lato numerosi autori hanno preferito rivolgersi al loro pubblico con testi non impegnativi e votati al puro divertimento, dall’altro molteplici drammaturghi hanno preferito proporre, facendo uso ora del linguaggio tragico ora di quello comico, argomenti di carattere politico e sociale, volti a dare una rappresentazione spesso problematica della realtà quotidiana. Temi quali la guerra, la cupidigia per il potere, la corruzione e la sopraffazione hanno da sempre percorso la drammaturgia occidentale, svelando così al pubblico il volto più inquietante dell’essere umano. È questa la via seguita anche da Alessandro Damiani, letterato, saggista, poeta e drammaturgo di origini calabresi, ma da lunghissimo tempo residente a Fiume, una delle voci più alte e complete della letteratura istriana degli ultimi cinquant’anni. Nato il 26 agosto del 1928 a Sant’Andrea Apostolo dello Jo- nio, in Calabria, Damiani inizia a interessarsi di letteratura e politica nell’immediato dopoguerra. Dopo una breve collaborazione con “Umanità Nova”, l’organo del movimento anarchico italiano per il quale scrive articoli su temi sociali, ma anche di arte e cultura, si avvicina alle posizioni del PCI, che ben presto offre al giovane intellettuale la possibilità di entrare a far parte del Partito. Damiani, non interessato a praticare la politica in modo professionale, rifiuta l’offerta, preferendo piuttosto spendersi nell’ambito politico-rivoluzionario. Con un gruppo di giovani esce clandestinamente dall’Italia per entrare in Jugoslavia ove vengono arruolate e addestrate le brigate internazionali per af- frontare la lotta armata all’interno della causa rivoluzionaria in Grecia. L’autore per un certo periodo è in Macedonia, quindi si reca a Lubiana e infine raggiunge Fiume, città caratterizzata da una forte presenza italiana. È proprio l’arrivo a Fiume, importante centro culturale del Quarnero, che consente a Damiani di avvicinarsi a quello che diverrà uno dei suoi maggiori interessi: il teatro. Dopo un’audizione, entra a far parte della Compagnia del Dramma Italiano del Teatro “Ivan Zajc” ove ha occasione di imparare il mestiere dell’attore ma, soprattutto, di scoprire e mettere a fuoco la sua vocazione di drammaturgo. Segue alle pagine 2-3 cultura An no VIII • n. 2 201 e r b 69 • Sabato, 15 dicem ché i testi fossero riprodotti invariati e fedeli alla lettera. Erano convinti che attraverso di loro fosse conservato e amministrato un bene spirituale che non doveva andar perduto per l’umanità. Interpretazione e profondità di contenuto. Ci sono bambini più sensibili e altri più robusti. Attraverso il racconto delle fiabe i troppo sensibili possono venir fortificati e i più robusti affinati e addolciti interiormente. La stessa favola può essere esposta in modo diverso per bambini diversi. Una maestra racconterà a una classe prevalentemente femminile usando un altro tono rispetto a una classe piena di maschi esuberanti. Una madre avrà un tono differente con un tenero bambino malinconico o con un collerico ribelle. Il bambino in età prescolare è ancora del tutto dipendente dalle fiabe narrate. Se gli vengono trasmesse in modo giusto, più tardi le saprà anche leggere in modo adeguato, partendo cioè da un giusto atteggiamento di meraviglia. Bambini che sanno ancora stupirsi, meravigliarsi, si collegheranno molto più intimamente con ciò che dovranno apprendere negli anni a venire e non rischieranno di inaridirsi troppo con una conoscenza solo intellettuale. Ascoltare fiabe dai dischi nasce da una mentalità “del cibo in pillola”. Manca l’autentico lato umano, il dialogo tra chi racconta e il bambino, che è sempre un ricco scambio fra anime. Un tipico quadretto del nostro tempo: la mamma in poltrona legge un giornale illustrato e i bambini nella stanza accanto ascoltano un disco di fiabe. In alcune città europee i bambini possono ascoltare una favola anche facendo un numero di telefono: pietre invece di pane. Genitori non lasciatevi portar via la cosa più bella nella vita dei bambini: raccontate ai vostri figli fiabe e novelle! Fra i ricordi caldi e forti dei bambini divenuti adulti ci sarà anche questo: i miei genitori mi hanno sempre raccontato delle fiabe. Si formeranno legami d’amore molto più saldi di quanto avvenga accontentando i bambini nei capricci e nelle richieste che oggi si ritiene doveroso soddisfare. E allora. giacché siamo sotto Natale, molti magari in vacanza... dedichiamoci alle fiabe, per accontentare i nostri piccoli e magari ritrovare quel bambino nascosto che c’è in noi... 2 cultura Dalla prima pagina Al Dramma Italiano, tra l’altro, conosce l’attrice Olga Stancich, con la quale, nel 1950, si sposa. Gli anni Cinquanta sono, per l’autore calabrese, ricchi di attività: recita con la compagnia del Dramma Italiano, prende parte alla lavorazione di alcuni film, collabora a Radio Fiume e inizia a scrivere per numerosi periodici in qualità di critico teatrale e letterario. Contemporaneamente frequenta la facoltà di Filosofia dell’Università di Lubiana ove gli viene permesso di sostenere gli esami in lingua italiana. Gli anni Cinquanta sono anche il periodo in cui Damiani dà alla luce le prime opere drammatiche: tra il 1952 e il 1956 scrive la prima parte della trilogia “Ipotesi”, il dramma “Dal tramonto all’alba” e la commedia “Caro vecchio Sud”. Mentre le prime due opere saranno pubblicate negli anni Settanta, l’ultima è tuttora inedita. Nel 1957, deluso dall’esperienza socialista jugoslava, l’autore fa ritorno in Italia, stabilendosi a Roma. Sono anni molto prolifici non solo sul piano letterario (collabora a varie testate occupandosi sia di teatro e cinema, sia di temi sociali che di politica internazionale), ma soprattutto per i proficui incontri con alcune delle personalità più alte del panorama artistico italiano di allora: Mario Soldati, Alessandro Blasetti, Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Mario Monicelli, Carlo Lizzani, Damiano Damiani, Franco Rosi, Ermanno Olmi, solo per fare alcuni Sabato, 15 dicembre 2012 anni Novanta, in momenti diversi, ricopre il ruolo di redattore culturale per il quotidiano “La voce del Popolo” (EDIT, Fiume) e per il quindicinale “Panorama” (EDIT, Fiume). Contemporaneamente, Damiani insegna Giornalismo sia presso la Scuola Media Italiana di Fiume, sia presso la Facoltà di Italianistica a Pola. Dal rientro a Fiume, l’autore si dedica con continuità alla scrittura nelle sue varie forme: narrativa, poesia, saggistica e, naturalmente, teatro. Le sue opere vengono via via pubblicate nelle antologie del Concorso d’arte e cultura “Istria Nobilissima” e da case editrici di Trieste, Udine, Firenze, Zagabria e Fiume. Nel 1987 esce il romanzo “Ed ebbero la luna”, scritto tra il 1978 e il 1979, e da poco riedito da EDIT. Particolarmente preziose le sue opere nell’ambito della saggistica, con cui contribuisce alla rivalutazione e promozione della realtà storico-culturale della Comunità nazionale italiana in Istria e alla valorizzazione di alcune tra le personalità letterarie di maggior spicco, quale Osvaldo Ramous. Dalla metà degli anni Ottanta le sue opere – teatrali e non – iniziano a essere tradotte anche in lingua croata: la stessa trilogia drammatica Ipotesi è pubblicata a cura dell’Associazione degli Scrittori della Croazia, destando l’interesse della Maggioranza. In tempi recenti, a cura dell’Edit di Fiume, si è intrapresa la pubblicazione – o ri-pubblicazione – di numerose opere di Damiani, con l’obiettivo di realizzare, in tempi brevi, l’opera omnia. Le tre parti di “Ipotesi” si collocano in tre momenti storici che l’autore, nelle didascalie, preferisce non definire con precisione: appare tuttavia evidente che la prima fa riferimento a un passato lontano, la seconda guarda alla nostra contemporaneità, mentre la terza, quella dal carattere più enigmatico, porta sulla scena un mondo futuro nel quale, tuttavia, la storia sembra ancora una volta ripetersi immutata nomi. E sono gli anni in cui ha occasione di confrontarsi con personalità di valore internazionale, una per tutte il filosofo e drammaturgo Jean-Paul Sartre. Nei primi anni Sessanta Damiani decide di rientrare in Jugoslavia, facendo ritorno a Fiume. Riprende la collaborazione con il Dramma Italiano, soprattutto in qualità di ufficio stampa, intessendo importanti relazioni e avviando preziose iniziative culturali. Saltuariamente fa anche l’attore: in tale veste partecipa alla messinscena di uno degli spettacoli più importanti nella storia del Dramma Italiano, “Cantata del fantoccio lusitano” di Peter Weiss, messo in scena nel 1969 dal regista Francesco Macedonio. Dal 1970 e sino alla metà degli Una pur sommaria biografia rivela che l’arte teatrale, per Alessandro Damiani, ha costituito e costituisce uno dei grandi leitmotiv dell’attività artistica, attraverso le sfaccettature più diverse: la frequentazione del teatro in qualità di critico e saggista, l’esperienza attorale e, infine, quella di drammaturgo. Proprio quest’ultima, forse tra tutte le attività quella prediletta, ha condotto l’autore a cimentarsi – attraverso il complesso linguaggio scenico – con tematiche spesso difficili eppure in linea con un impegno culturale, sociale e politico perseguito lungo tutta la vita. Non è quindi un caso che la trilogia drammatica “Ipotesi” rappresenti un momento fondamentale della produzione tea- Alessandro Damiani trale (e non) di Damiani, essendo da un lato un lavoro la cui composizione ha occupato un arco temporale lungo quasi trent’anni, e dall’altro dimostrando la volontà di confrontarsi (e far confrontare il pubblico) con una tematica certamente non semplice e ammantata di risvolti inquietanti: ossia la possibilità di un conflitto combattuto con armi devastanti e, soprattutto, il fatto che la scienza possa mettersi, in modo più o meno cosciente, al servizio del potere per creare armi mostruose capaci non tanto – come ricorda l’autore – di distruggere la specie, ma soprattutto di annientare l’intera civiltà. E ciò rappresenta l’aspetto più drammatico e inquietante di tutta la vicenda. La stesura della prima parte di “Ipotesi” ha luogo agli inizi degli anni Cinquanta. Dieci anni più tardi l’autore pone mano alla seconda parte, mentre la terza vedrà la luce appena attorno alla prima metà degli anni Ottanta. Un lavoro complesso che viene dunque a maturarsi in corrispondenza del succedersi degli eventi storici e delle trasformazioni dei rapporti tra le potenze occidentali e quelle dell’est. E che, contemporaneamente, percorre il maturarsi del pensiero dell’autore. Le singole parti da cui è composta Ipotesi conoscono una prima pubblicazione, in forma separata, tra gli anni Settanta e Ottanta. In seguito vengono pubblicate assieme in una versione in lingua croata, con traduzione di Margherita Gilić, ad opera dell’Associazione degli Scrittori della Croazia. Ora, per la prima volta, la trilogia drammatica “Ipotesi” compare riunita in un unico volume, in lingua italiana. “Ipotesi su cosa?” si interroga l’autore nella nota introduttiva a questo volume. Potremmo rispondere “Ipotesi sull’incerto destino dell’uomo” all’indomani dei disastri nucleari che posero fine alla seconda guerra mondiale. Ed effettivamente la creazione di un ordigno spaventoso, le cui conseguenze si stanno pagando ancora oggi, a oltre cinquant’anni dal termine del conflitto, spinsero gli intellettuali, gli uomini di potere e soprattutto gli scienziati a riconsiderare profondamente, nel clima incerto dell’immediato dopoguerra, il ruolo della scienza all’interno della nostra società. Una scienza le cui scoperte avrebbero potuto servire (e la storia lo aveva appena dimostrato) non più ad aiutare l’uomo a migliorare la propria esistenza, ma viceversa, a distruggerla, determinandone così un destino terrificante. Ed è proprio la riflessione sul destino dell’uomo e sul fatto che l’essere umano possa autodeterminarlo, che costituisce il nucleo centrale di questa trilogia drammatica. Cui si affianca, inevitabilmente, la considerazione circa l’inquietante tentativo attuato dal potere nel piegare la scienza ai propri fini, e la sempre latente possibilità di una disastrosa connivenza tra i due termini. Ma, lungo il corso della storia, il rapporto tra potere e scienza sembra essersi del tutto capovolto: se un tempo le scoperte scientifiche inquietavano la classe dirigente e quella religiosa a tal punto da cercare soluzioni estreme (è il caso tristemente celebre di Galileo Galilei), il Novecento ha viceversa insegnato all’uomo che la scienza può essere messa al servizio dei governanti per renderli invincibili e per poter consentire loro una politica di sopraffazione nei confronti dei popoli vicini. La storia narrata da Damiani in “Ipotesi” vede scontrarsi, in vari momenti della storia umana, forze politiche opposte, che rappresentano l’eterno conflitto tra le potenze dell’occidente e quelle dell’est, tra progressisti e conservatori, tra dittatura e democrazia, tra presunti “buoni” e presunti “cattivi”, laddove appare pressoché impossibile decidere in via definitiva chi sia il buono e chi il cattivo. In mezzo a tutto ciò domina la figura dello Scienziato il quale, conteso dalle parti opposte e ormai pienamente conscio del nuovo ruolo da lui ricoperto nella società, cade in una profonda crisi esistenziale, volta non solo alla ricerca di se stesso, ma soprattutto delle impossibili giustificazioni che potrebbero spiegare un atto di autodistruzione della specie: solo l’idiozia collettiva – chiarisce l’autore – può essere il mezzo per spiegare perché l’umanità sia giunta a perdere se stessa. E, in un mondo in cui prevale la corsa agli armamenti e la cieca ambizione a dominare gli altri, lo Scienziato è l’unico che sappia guardare in faccia la realtà. In altre parole, in un mondo divenuto ormai insensibile a ogni sollecitazione, egli è il solo a possedere la conoscenza, la capacità di analisi e di interpretazione dei fatti che lo circondano. Le tre parti di “Ipotesi” si collocano in tre momenti storici che l’autore, nelle didascalie, preferisce non definire con precisione: appare tuttavia evidente che la prima fa riferimento a un passato lontano, la seconda guarda alla nostra contemporaneità, mentre la terza, quella dal carattere più enigmatico, porta sulla scena un mondo futuro nel quale, tuttavia, la storia sembra ancora una volta ripetersi immutata. La struttura poggia su una serie di simmetrie che vedono riproporre, seppure in contesti storici diversi, personaggi equivalenti e posti tra di loro in relazioni simili. Si tratta di una serie di funzioni drammaturgiche che hanno lo scopo di sottolineare l’immutabilità dell’essere umano e il ripresentarsi, in epoche diverse, di medesime situazioni capaci di ripetersi ciclicamente. E così lo Scienziato nella prima parte ci compare sotto le sembianze del Simulacro, nella seconda come Scienziato e nella terza come Troglodita. Similmente il ruolo della donna vicina al potere è ricoperto ora da Eletta, ora da Sexy, ora da Idea; il potere è rappresentato dal Re nella prima parte, dal Presidente e dal Dittatore nella seconda e da Omicron nella terza; il Saggio, l’Intellettuale e Iota sono delle sorte di alter-ego dello Scienziato, coloro con cui il protagonista intesse un dialogo su argomenti filosofici; il Ministro (I e II parte) e Ics, rappresentano infine la funzione più impenetrabile e inquietante, coloro che sembrano conoscere verità nascoste, ma che cultura 3 Sabato, 15 dicembre 2012 ˝Da sinistra il direttore dell’Edit, Silvio Forza, Alessandro Damiani, Paolo Quazzolo e Sandro Damiani sono anche i portatori del male più oscuro. La prima parte, dunque, ci porta in un’epoca antica e le forme stesse della pièce riecheggiano quelle della tragedia classica: il prologo, un coro di ancelle, la presenza del Corifeo e del Messaggero, così come il numero contenuto di personaggi e la struttura lineare sono un voluto richiamo alle più antiche forme drammaturgiche. Il Prologo, sostenuto dallo Scienziato, ci pone di fronte alla minaccia di una nuova guerra mossa e giustificata dalle eterne motivazioni legate «alla libertà, alla giustizia e al prestigio». Lo Scienziato e le sue conoscenze, per la prima volta nella storia umana, vengono chiamati in causa per risolvere il conflitto: il protagonista, è costretto a ragionare sulle proprie responsabilità e a cercare risposte, ma ormai «la scienza, la storia e la morale» sono divenuti «specchi opachi, tutti deformati dal dubbio». E il dubbio è «l’unico nostro possesso». Si apre dunque un lungo viaggio nel tempo che vede lo Scienziato passare da una fase storica all’altra, assumendo di volta in volta sembianze differenti. In questa prima parte assistiamo allo scontro di un Re con il suo popolo: da un lato il bisogno di preservare il potere, dall’altro l’anelito alla libertà; da una parte la tirannide, dall’altra l’aspirazione a un governo democratico. In mezzo allo scontro si pone Eletta, la sacerdotessa che parla con il Simulacro del Dio e che rappresenta l’eterna contrapposizione tra potere religioso e potere politico. Il Simulacro è in questa prima parte della trilogia lo Scienziato: incarnatosi nella statua del Dio, il protagonista viene interrogato dalla sacerdotessa che a lui chiede di intervenire per porre fine al conflitto. Ma lo scienziato deve confrontarsi anche con il Mi- loquio con il Saggio è a tal fine illuminante: «Un giorno – confessa metaforicamente il sapiente – ho fissato la luce, e da quel momento non distinguo più nulla». La vicenda volge al termine, il popolo chiede al Simulacro una soluzione ed Eletta lo implora di intervenire. Ma le possibili azioni dello Scienziato porterebbero solo violenza e ridurrebbero tutto in polvere: meglio quindi che gli uomini cerchino da soli una nuova via. La seconda parte di “Ipotesi” ci porta all’epoca attuale. Qui entrano in gioco, da un lato un Segretario di partito con un’affascinante quanto scaltra moglie e un Presidente, e dall’altra un ambiguo Ministro e un Dittatore, tutti coinvolti nell’eterno scontro tra est ed ovest, tra democrazia e dittatura, tra libertà e schiavitù. In questo caso lo Scienziato, l’unico ad avere coscienza del mondo in cui vive, è conteso tra le due potenze, le quali altro scopo non hanno che prevalere l’una sull’altra. Sullo sfondo di segretissimi esperimenti nucleari, varie manovre vengono poste in atto per assicurarsi la collabo- Nel proporre “Ipotesi”, Damiani dimostra di saper conferire al teatro, ancora una volta, la sua antica e alta funzione sociale, ossia quella di divenire una sorta di grande specchio dentro il quale il pubblico vede riflessa la propria immagine e le parti peggiori di se stesso: i difetti, gli errori, talora le mostruosità che da sempre accompagnano l’esistenza umana e che, necessariamente, il teatro, per suo alto compito, deve correggere nistro, metafora della tentazione e del male, che propone all’uomo di scienza di utilizzare le sue capacità per attuare una “soluzione definitiva”: «troncare questa storia assurda, non concedere neanche un attimo di più ai secoli di affanni inutili che altrimenti si prospetterebbero davanti a noi. E, occasione unica, tu puoi farlo per tutti». Ma la conoscenza sembra aver portato all’uomo più male che bene: il col- razione dell’uomo di scienza. Nel gioco entra anche Sexy, la moglie del Segretario, donna affascinante e astuta, capace di manovrare i propri simili, spesso sostituendosi al marito nella gestione degli affari politici. Ma a lei si contrappone il Ministro – ancora una volta espressione delle oscurità del male – che in un dialogo ove entrano in ballo potere e sesso, si gioca la partita per ottenere la collabora- zione dello Scienziato. Quest’ultimo, ora sotto le spoglie di un professore, si è ritirato a vivere in una baita di montagna lontano dalla civiltà. Qui viene raggiunto dall’astuta Sexy che riesce a convincerlo a far visita al Presidente. All’uomo di potere lo Scienziato tuttavia confessa che “l’arma totale”, quella che dovrebbe assicurare l’invincibilità alla nazione che la possiede, non può essere realizzata. «Se fosse stata realizzabile – chiede il protagonista al Presidente – si sarebbe assunto la responsabilità di farla costruire?». «No, io no – risponde l’uomo di potere -. Ho ancora il senso della responsabilità davanti alla mia coscienza, per lasciarmi coinvolgere dall’insania collettiva. Però – ammonisce ancora – non si faccia illusioni, professore. Il meccanismo è tale, che nella dannata ipotesi espugnerebbe un marchingegno per l’approvazione di quell’atto». Il male è dunque inevitabile. Così come lo è presso l’altra potenza: posto di fronte il medesimo problema, il Dittatore risponde «Io sono un’entità impersonale. Da me si richiede attitudine, non partecipazione. A trattenermi dal firmare quelle cartacce non è un’esitazione emotiva, ma l’analisi accurata delle utilità. Superato questo esame io firmerò, o non firmerò, tranquillamente». A questi due uomini di potere, diversi nel credo politico ma simili nella corsa alla supremazia, lo Scienziato può solo rispondere che sulla terra «Tutto – nomi, fatti, uomini – procede come se avvenisse per la prima volta; e invece si tratta di circostanze già accadute, di esperienze già consumate prima della notte dei tempi, in un’altra giornata storica. Non è un ricorso… sono le ansie, sempre le stesse, di una povera umanità, destinata a frangersi sulla riva dell’esistenza». La corsa alla supremazia è quindi una storia già nota: i suoi esiti disastrosi non hanno insegnato nulla all’uomo, che periodicamente torna a compiere i medesimi errori. La scena finale di questa seconda parte ci propone l’immagine di un “sit-in” di giovani che protestano contro gli esperimenti nucleari: a nulla varrà il loro gesto eroico contro i militari. Così come al termine della prima parte, anche questa seconda sezione della Tri- logia descrive l’impossibilità per lo Scienziato di intervenire sulle sorti dell’umanità: gli esperimenti nucleari continueranno e con essi la corsa verso l’autodistruzione. L’ultima parte di “Ipotesi” ci proietta in un mondo del futuro che, seppur dominato dai computer, è pur sempre assillato dal bisogno di sottomettere le potenze nemiche. I personaggi – i cui nomi sono ormai ridotti a semplici sigle – devono confrontarsi con il Tro- vela alfine la sua vera identità: un “mostriciattolo con gli zoccoli e il muso caprino”, ossia il demonio. Ma, curiosamente, egli è l’unico personaggio che, come il Troglodita, avendo viaggiato nel tempo, possiede la memoria storica, ed è quindi l’unico con il quale il protagonista può avere un vero dialogo. Sembra così che la storia, ancora una volta, stia per ripetersi. Ma qualcosa accade: l’incontro tra Idea e il Troglodita ha effetti imprevedibili, e la scoperta per la donna del sentimento d’amore sconvolge ogni cosa: «È un turbamento – esclama Idea – che mette in forse tutto il sistema di valori, una minaccia alla struttura del mondo». Ed effettivamente, nel monologo finale, il Troglodita afferma: «Senza l’amore come potete avere la cognizione della bellezza, principio di ogni attrazione che crea armonie? L’esistenza, priva di questa scintilla, ha significato? […] A voi manca il vincolo più dolce e saldo che tutto unisce e assolve: la pietà. […] Scoprire la propria ragion d’essere. In questa contraddizione si consuma il dramma della vicenda umana. Rimane una sola certezza: la Verità è oltre l’orizzonte». Lavoro complesso, dal linguaggio talora ermetico, “Ipotesi” rappresenta una importante riflessione sull’uomo dei nostri tempi. Il pessimismo che percorre la Trilogia proviene dalla constatazione che l’essere umano non impara nulla dalla storia e dai propri errori: le sue ambizioni lo conducono a perdere la memoria del passato e a ripercorrere le stesse strade pericolose. Ma il finale dell’opera sembra aprire un varco alla speranza: solo la forza dell’amore e la consapevolezza dei propri limiti potranno salvare la civiltà. Il testo dell’autore calabrese è ricco di metafore e di riferimenti, tuttavia non importa quali figure si vo- La storia narrata da Damiani (...) vede scontrarsi, in vari momenti della storia umana, forze politiche opposte, che rappresentano l’eterno conflitto tra le potenze dell’occidente e quelle dell’est, tra progressisti e conservatori, tra dittatura e democrazia, tra presunti “buoni” e presunti “cattivi”, laddove appare pressoché impossibile decidere in via definitiva chi sia il buono e chi il cattivo glodita, sorta di reperto storico ritrovato casualmente, che porta con sé la testimonianza di un mondo passato. Ancora una volta si tratta dello Scienziato il quale, precipitato in un mondo dominato da intelligenze artificiali, risulta essere l’unico a poter ricordare e, soprattutto, a poter provare sentimenti. Omicron e Idea sono, ancora una volta, i portatori di due modi diversi di governare e, di nuovo, gareggiano tra loro per assicurarsi l’ordigno più potente. Il confronto con Iota, sorta di alter ego dello Scienziato, conduce il protagonista a interrogarsi sul suo ruolo e ad ammettere che la ricerca della verità non è mai approdata a nulla: «Conoscere fu per noi un’istanza sempre viva e mai soddisfatta, una voglia che si nutriva delle proprie brame, alla ricerca del chiarimento definitivo. Ma la verità si rivelava come orizzonte, non come meta». Il confronto tra il Troglodita e Ics ci pone ancora una volta dinnanzi allo scontro tra il bene e il male laddove Ics – personaggio già incontrato dallo Scienziato, sotto altre sembianze, nelle precedenti parti della Trilogia – ri- gliano scorgere dietro i personaggi che si muovono nel dramma: ciascuno potrà riconoscere statisti di ieri e di oggi, intravvedere potenze di opposto orientamento politico, regimi totalitari e governi democratici non più esistenti oppure ancora in vita. O, forse, nulla di tutto questo. Ciò che emerge è il tema, antico eppure mai superato, dei rapporti tra l’uomo e la conoscenza, nell’eterno assillo che questa possa costituire un progresso per l’umanità o una minaccia per la civiltà. È la storia sempre attuale di Edipo che, cercando di scoprire la verità, finisce per far emergere gli aspetti più inquietanti dell’esistenza umana. E nel proporre “Ipotesi”, Damiani dimostra di saper conferire al teatro, ancora una volta, la sua antica e alta funzione sociale, ossia quella di divenire una sorta di grande specchio dentro il quale il pubblico vede riflessa la propria immagine e le parti peggiori di se stesso: i difetti, gli errori, talora le mostruosità che da sempre accompagnano l’esistenza umana e che, necessariamente, il teatro, per suo alto compito, deve correggere. 4 cult Sabato, 15 dicembre 2012 ARTE Non sono solo dei gadget, sono delle vere e proprie opere d’arte. Accessibili a t L’ombrello che ti fa sorridere? U di Patrizia Lalić O ggi li chiamano gadget, ma è la dolcezza e la sonorità del termine souvenir, un po’ in disuso, a rendere meglio il concetto e la funzione di questi oggetti capaci di incarnare, più che un luogo visitato, un’esperienza. Non solo permettono di ricordare, ma persino di rivivere attraverso un frammento, le emozioni di un momento. E poi? Col passare del tempo vengono dimenticati e accantonati pieni di polvere in qualche angolo della nostra casa. Una vera e propria rivoluzione del concetto di souvenir, nel capoluogo del Quarnero, è stata fatta per puro caso ed è nata dalla creatività e, soprattutto, dalla necessità di Vujka Meić di trovare quanto prima un lavoro. “Anche se iscritta all’Ufficio di collocamento, nessuno mi chiamava per un impiego – esordisce ‘Mića mala’, ossia ‘Bambina piccola’, che oltre ad essere la denominazione ufficiale della ditta che realizza i gadget è diventato pure il simpatico soprannome della proprietaria nonché nostra interlocutrice –. “Dovevo assolutamente inventarmi qualcosa. Parlando con diverse persone, sono giunta alla conclusione che Fiume aveva bisogno di un souvenir diverso, che rispecchiasse l’anima della città. Doveva essere qualcosa di non troppo costoso, utile, qualcosa che non avrebbe creato ingombro in casa, ma sarebbe stato un artefatto ad uso quotidiano. E così ho pensato a dei gadget firmati. Fiume per me è una città che emana vibrazioni positive e chi meglio di Vjekoslav Vojo Radoičić poteva catturarle e trasformarle in oggetti che ti mettono allegria appena li vedi? Si è trattato di un ottimo esempio di utilizzo e promozione dell’arte nella vita quotidiana“. L’illustre artista fiumano ha accettato volentieri la proposta di Vujka Meić e ben presto Radoičić ha disegnato il primo ombrello, seguito subito dopo da sottobicchieri, grembiuli da cucina, magliette, borse in stoffa per la spesa..., oggetti recanti tutti il marchio “Izvorno riječko” (prodotto originale fiumano) e “Osobita kvaliteta” (di qualità particolare). La particolarità degli ombrelli, che portano gli inconfondibili e simpatici messaggi dell’autore, come del resto di tutti gli altri elementi della collezione, è appunto la sinergia tra la loro utilizzabilità e l’arte, cosa che in poco tempo ha fatto diventare questi comuni oggetti dei veri e propri dettagli di moda, un ‘must’. Vengono realizzati da un’impresa di Varaždin e il processo produttivo è tutt’altro che semplice ed è costoso. ”Per riuscire a trasferire l’opera su tutta la tela dell’ombrello – spiega Vujka Meić –, bisogna dapprima fotografarla ed eleborarla graficamente al computer, nei minimi dettagli, in modo da non perdere la continuità dell’immagine sui raggi dell’ombrello. Poi ogni sezione viene stampata su particolari rotoli di carta, che vengono appoggiati sulla tela impregnata e posti sotto ad una grande pressa a temperature elevate. Quindi, viene tagliata, cucita e si procede con l’assemblaggio. Io l’ho detto sin dal primo momento: quando apriamo l’ombrello sopra la nostra testa c’è... una grafica d’artista”. Dopo il felice connubio artistico con Vojo Radoičić la Meić ha deciso di ampliare l’offerta. Il progetto ‘glagolitico’ di Bruno Paladin in tal senso si integrava perfettamente con le sue scelte. “Si tratta di una scrittura che è stata usata nella storia anche in altre parti del Paese, non solo lungo il nostro litorale – ha precisato Vujka Meić –. Bruno ha sfruttato al massimo il suo genio artistico: giocando con i colori e con i possenti caratteri glagolitici ha creato dei prodotti allegri e allo stesso tempo eleganti. Sino ad ora sono stati realizzati sottobicchieri in diverse tonalità e un ombrello da donna, mentre quello da uomo, caratterizzato da colori più sobri sarà disponibile a breve”. “Si è trattato di una grande sfida – ha puntualizzato l’eclettico artista connazionale Bruno Paladin –, anche perché la fiducia che mi viene data dai collaboratori, amici o galleristi, per me è sempre fonte di grande ispirazione. Conosco Vujka ormai da tanti anni e, parlando di arte e nuove idee abbiamo pensato di dar vita un prodotto legato al territorio e alla città. Non dobbiamo dimenticare che a Fiume in un lontano passato c’erano anche tipografie che stampavano in glagolitico. Mi tengo alla larga dal kitsch e proprio per questo motivo ho deci- Bruno Paladin e Vujka Meić Ombrelli firmati Paladin Ombrelli firma tura Sabato, 15 dicembre 2012 5 tutti. Una brillante idea per un regalo di Natale o qualche anniversario Uno dei tanti progetti d’autore... so di collaborare alla realizzazione dei souvenir autentici, che non sono dedicati esclusivamente ai turisti, ma che possono catturare l’attenzione anche di chi vive qui. Ora siamo giunti al momento in cui la produzione non riesce a far fronte alle richieste del mercato. Non solo i fiumani amano gli ombrelli, ma sono molto richiesti a Spalato, sulle isole quarnerine e in particolar modo in Istria”.- riferisce l’artista connazionale. Bruno Paladin si è trovato molto bene con il motivo scelto, visto che le lettere fanno parte di una ricerca che porta avanti da diversi anni, un tema che praticamente lo perseguita e che ha perfezionato nell’ambito del suo grande ciclo artistico ‘Nuova Babilonia’. Prendendo come leit motive, appunto, il simbolo della lettera proveniente da vari alfabeti: greco, cirillico, latino e anche arabo – dà vita ad un caos di informazioni che testimoniano la situazione politica e gli eventi che circondano l’autore stesso. Un gioco di parole da cui nascono dei nuovi segni grafici, che diventano poi pittura. ati Vojo Radoičić “Adopero questa tecnica espressiva per puntare il dito contro il caos che stiamo vivendo – spiega Paladin –. Inizialmente realizzato con il disegno, questo tema si è sviluppato in un intero ciclo ‘babilonico’, funzionando come realta a sé stante, come associazione di idee e soprattutto come moderna interpretazione pittorica. Nei decenni scorsi usavo scomporre il quadro in più parti, invertendo le sequenze, le quali davano poi vita ad una composizione nuova e astratta. Le opere riflettevano il senso diffuso di incertezza, di precarietà e il livello psicologico della gente, messo a dura prova dagli avvenimenti politici e bellici degli anni Novanta. La situazione, per fortuna, è cambiata, ma nonostante ciò sono rimaste presenti le assurdità, le incomprensioni e l’impossibilità di comunicare. Oggi i miei lavori rappresentano un collage di titoli di giornali che riportano frasi pronunciate dai politici, informazioni che leggo quotidianamente e trasmetto nei miei lavori. Una vera performance. Delle volte so molto bene ciò che scrivo, altre invece, nello scegliere le lettere guardo soltanto la loro forma grafica. Il cosiddetto messaggio nascosto è un gioco mio, personale ed intimo, e non ho la pretesa che uno vada a decifrarlo, anche se gli esperti che conoscono bene gli alfabeti forse sarebbero in grado di farlo”. Paladin è anche sinonimo di una straordinaria energia creativa e di un inesauribile vitalismo. Costantemente impegnato in nuove iniziative, egli crea e sperimenta usando tecniche e materiali sempre nuovi con cui da vita a forme scultoree, rilievi, ceramiche o grafiche originali, irripetibili, delle piccole opere d’arte. A differenza di altri artisti che si chiudono nei propri atelier, egli contrasta l’attuale momento di crisi socio-economico prendendo parte a progetti internazionali, colonie artistiche e simposi, perché li considera un’occasione per imparare cose nuove e proporre il proprio lavoro all’estero. Un progetto a cui si è dedicato di recente sono le bottiglie in argilla realizzate per le più grandi cantine vinicole del Collio sloveno (Goriška brda). “ Il simposio è stato organizzato dal Consolato generale polacco in Slovenia in collaborazione con i massimi produttori di vino del luogo, quali Kristančić, Simčić, Movia e altri ancora. Un incontro, dove ogni artista ha dato il suo contributo dipingendo il biscotto ceramico con smalti engobbi, mentre le bottiglie venivano riempite con vini pregiatissimi. Il prodotto così confezionato verrà acquistato da consolati e ambasciate quale regalo di rappresentanza. Con tutti gli artisti che annualmente raggiungono il Collio sloveno, provenienti addirittura da New York e dall’Inghilterra, i produttori di vino locali sono diventati anche promotori dell’arte e collezionisti. Personalmente partecipo ogni anno a questi eventi e sono fiero di dire che molte iniziative sono partite proprio dal sottoscritto”. Ma Bruno Paladin non si ferma qua. Il prossimo marzo, infatti, assieme a Igor Zlatkov, intraprendente produttore di grappe e olio d’oliva di Filozići, sull’isola di Cherso, darà il via al primo simposio internazionale sul modello di quello sloveno, intitolato “LAG Filozići OPG Margar F”. “Io non salto da stile a stile, ma da materiale a materiale. Adesso sono tutto preso dalla ceramica. Assieme a Igor abbiamo realizzato tanti campioni e ora bisogna decidere esattamente che forma dare alle bottiglie, anche perché il procedimento non è affatto semplice. I miei contenitori dovranno venir riempiti con grappe, che sono un liquido acido e la ceramica non è adatta a contenere i liquidi quanto lo è la porcellana. Si tratta di un materiale molto poroso e, seppur ricoprendo l’interno con delle cristalline particolari e adatte all’uso alimentare, nel corso della cottura possono sempre succedere delle piccole e microscopiche crepe che potrebbero causare la fuoriuscita del liquido. Io non sono esclusivamente un ceramista, ma quando decido di fare una cosa guardo di farla nei migliori dei modi e, appunto, per apprendere e studiare quale sia il migliore metodo di lavorazione delle bottiglie, qualche giorno fa ho fatto visita ai più grandi maestri ceramisti di Faenza, Deruta e Nove, alcuni dei più grandi centri italiani del settore”. 6 cultura Sabato, 15 dicembre 2012 CINEMA Era il 6 dicembre del 1994, quando un infarto uccise Gian Maria Volonté. Mille voci dentro. Gran bella fac di Sandro Damiani E ra il 6 dicembre del 1994, quando un infarto uccide Gian Maria Volonté. Aveva 61 anni. Stava girando un film, in Grecia: “Lo sguardo di Ulisse” di Theo Angelopoulos. Verrà rimpiazzato da Erland Josephson. Non che Volonté fosse un attore “bergmaniano”. Lo era, anche. Come lo dimostrano molti suoi film: recitazione interiore, sommessa, quasi sussurrata, pause, silenzi lunghi, dialoghi spezzati... ma era anche attore dalla recitazione sopra le righe, grottesca, sorniona, ironica; suadente, aggressiva, violenta. E naturalistica e veristica e... Era un fenomeno. Il teatrologo Ferruccio Marotti lo defini’ “L’unico attore di spettacolo italiano”. Dirà il regista Theo Angelopulos: “Il personaggio del direttore della cineteca di Sarajevo era stato scritto pensando a Gian Maria. Lui era romantico come una figura di Stendhal, non aveva bisogno di recitare, portava tutto dentro di sé ”. Volonté ha rivestito i panni di personaggi con tanto di nome e cognome ovvero storicamente esistiti, e personaggi fittizi, ma riconoscibilissimi. Alla prima categoria appartengono Giordano Bruno e Bartolomeo Vanzetti (con Giuliano Montaldo), Lucky Luciano ed Enrico Mattei (con Francesco Rosi), Aldo Moro (una prima volta con Elio Petri, quindi, dieci anni dopo, con Beppe Ferrara), Carlo Levi (“Cristo si e’ fermato a Eboli”, ancora con Rosi). Alla seconda, invece, quella più consistente, il sindacalista fatto fuori dalla mafia (“Un uomo da bruciare” di OrsiniFratelli Taviani), il tenente del Regio Esercito nelle trincee veneto-friulane della Prima guerra mondiale (“Uomini contro” di Rosi), un ispettore di polizia sadico, complessato e strafottente (“Indagine su un cittadi- no al di sopra di ogni sospetto” di Petri), un operaio della catena di montaggio (“La classe operaia va in paradiso”, di Petri), un direttore di giornale reazionario e cinico (“Sbatti il mostro in prima pagine”, di Bellocchio); un minatore cileno (“Actas de Marusia”, di Littin); il comunista italiano clandestino sotto il fascismo (“Il Sospetto” di Maselli); un giudice non fascista durante il Ventennio (“Porte aperte”. di Amelio), un autista di corriera calabrese, claudicante, col pallino del talent-scout sportivo (“Un ragazzo di Calabria” di Comencini).... E ne abbiamo lasciati fuori altri trenta: attore dalle mille voci, camaleontico, capace di salti mortali unici da uno stato d’animo all’altro – dal migliore al peggiore con tutte le nuance intermedie. Basta fare mente locale sui soli film che grazie soprattutto a lui si sono accaparrati premi internazionali in tutto il mondo - Venezia, Cannes, Berlino, Los Angeles compresi - diversissimi per genere e storie, dunque, per protagonista. Un esempio per tutti: Cannes, 1972, “La classe operaia va in Paradiso” di Elio Petri ed a “Il Caso Mattei” di Francesco Rosi, vincono ex aequo la Palma D’Oro. Per quattro quinti lo “spazio” è occupato, rispettivamente, dal metalmeccanico e dal presidente Mattei... Gian Maria Volonté nasce a Milano (9 aprile, 1933), ma cresce a Torino. Nemmeno ventenne si aggrega alla compagnia ‘Il Carro dei Tespi’. Ha inizio il percorso che lo porterà a scegliere la carriera artistica. Scende a Roma, frequenta l’Accademia. Il talento è talmente straripante che arrivano i primi ingaggi “seri”: a ventiquattro anni è con Diana Torrieri (“Fedra” di Racine), in teatro e in televisione. L’anno dopo, con Giorgio Albertazzi (è Rogozin ne “L’idiota” di Dostoevskij). Lo chiamano alla Stabile di Trieste, poi al Piccolo di Milano e all’Estiva di Verona. Qui è Romeo, mentre la splendida ventenne Carla Gravina è Giulietta. Grande successo e grande scandalo! Galeotto, il Balcone, tra i due nasce un legame che durerà molti anni, nascerà Giovanna. (A proposito della sua vita sentimentale, dopo Gravina ci sarà la sceneggiatrice Amalia Balducci, infine Angelica Ippolito, la figlioccia di Eduardo De Filippo, con cui rimarrà fino alla fine dei suoi giorni, a Velletri.). Lo scopre il cinema. Piccole parti, fino all’incontro con i Fratelli Taviani e Valentino Orsini: è il protagonista del loro film sulla mafia: “Un uomo da bruciare”. È la seconda pellicola di un nuovo genere, quello della terza rivoluzione cinematografica italiana del dopoguerra. Dopo il Neorealismo dei Visconti, Rossellini, De Sica e la Commedia all’italiana dei Monicelli, Risi, Germi, ecco il Cinema di documentazione sociale o Cinema politico, avviato da Francesco Rosi con “Salvatore Giuliano”. Ovviamente, come tutte le “rivoluzioni” italiane non ha nulla a che fare con la Presa della Bastiglia: è un procedere di “nuovo” che si affianca al “vecchio”, lo contamina, lo deruba, per qualche tempo ci va a braccetto. Inoltre, è macchinosa, con continui “stop and go”. Volonté dovrà aspettare i Settanta prima di ergersi a monumento di questo genere, ancora in nuce. Ma c’ è già chi crede in lui: sono Sergio Leone e Mario Monicelli: “Per un pugno di dollari”, “Per un dollaro in piu’” e, tra i due, “L’Armata Brancaleone”. Nel frattempo continua ad apparire in tv, con un seguito incredibile: a ruota, “Vita di Michelangelo Buonarroti”, un episodio de “Il Commissario Maigret” con Gino Cervi e “Caravaggio”. A intermittenza fa teatro. Nell’anno in cui cui sullo schermo fa il pistolero, in un buco del cen- tro di Roma, con suo fratello, altri colleghi e l’attore e regista Carlo Cecchi mettono in scena “Il Vicario”, un dramma tedesco che accusa Pio XII di contiguità col nazismo. La polizia interrompe e poi dell’attore e del cinema, soprattutto in rapporto alla società, “filosofia” che viene da lontano, da un fuoritempo ora, però, maturo. Riporto, in proposito, quanto mi disse nell’intervista (uscita su “La Voce del Popolo” e mandata in onda da Radio-Capodistria) concessami nel dicembre del 1973 a Roma, durante una pausa delle riprese di “Il Sospetto” di Citto Maselli. “L’inizio della mia attivita’ di attore risale a molti anni fa. Ne avevo diciotto quando ho incominciato. Dopo i corsi dell’Accademia nazionale di arte drammatica, mi sono subito orientato verso un tipo di scelte che in quel momento erano espresse principalmente dal discorso avviato nel Piccolo Teatro di Milano da Grassi e Strehler. Il mio rientamento e la mia formazione sono passati attraverso una serie di esperienze culturali che in quel frangente caratterizzavano una parte ed era la più significativa, del teatro italiano. I miei propositi, ovviamente in corrispondenza con le condizioni obiettive che di volta in volta mi si offrivano, erano rivolti ad una saldatura tra la professione di attore e la ricerca tematica: ossia a un tentativo di coerenza che in alcuni momenti sarà risultato meno incisivo, e in altri si è potuto esprimere con maggiore chiarezza. Pertanto, il mio impegno politico-ideale è da vedersi impostato e vincolato a una serie di vicende che hanno caratterizzato il mio lavoro di attore. Si tratta di un discorso su una visione del ruolo di attore meno astratta e scollata, ma aderente alla concreta realtà sociale”. Quando Federico Fellini gli propone il personaggio di Casanova (il protagonista, poi, sarà Donald Sutherland), prima di accettare Gian Maria vuole sapere per filo e per segno quali sono le “intenzioni” artistiche e culturali del Regista; il che manda Fellini in crisi: è Rosi a raccontarlo; riferisce che il grande Riminese gli aveva detto: “Voleva sapere da me cose che nemmeno io so, io invento durante le riprese, giorno per giorno...” vieta del tutto lo spettacolo: “È contrario allo spirito del Concordato”. Tira aria nuova in Italia, non la si avvertiva da più di vent’anni: da ovest soffia il Sessantotto franco-tedesco, arrivatovi con il Sessantasette universitario americano. L’Italia che non vuol essere da meno, in piazza ci manda pure i lavoratori... E Cinecittà smette di tergiversare: accanto al Cinema d’Autore, alla Commedia all’italiana e a film pseudopolizieschi e altrettanto (pseudo) erotici, avvia la stagione del Cinema politico. Ognuno dei suddetti generi ha più simboli, campioni, “marchi di fabbrica”. L’ultimo arrivato ha lui, solo lui, Gian Maria Volonté. Che si vede piovere offerte su offerte, e da registi di grande valenza artistica e robusta preparazione culturale. D’altronde, lui ha già introiettato una propria filosofia sul ruolo È d’obbligo, a questo punto, una digressione. Quando all’epoca, ma specialmente qualche anno prima, Gian Maria Volonté riusciva a far sentire la propria voce ed esprimeva concetti, come quello su riportato, spesso anche nel mondo progressista e di sinistra lo si tacciava di “radical-chic, “snob”, “comunista salottiero”... Parecchio tempo dopo – perché lui non ne ha mai voluto parlare – si saprà che in quegli anni rompe un contratto da 250 milioni di lire con Dino De Laurentiis, per poter fare solo i film che gli aggradano, comprese certe pellicole sperimentali a zero entrate... Quando Francis Ford Coppola lo chiama per il “Padrino”, lui ringrazia e va in Messico a fare un film corale del cileno Miguel Littin (“Actas de Marusia” - Nomination all’Oscar e Premio Golden Ariel). Quando Federico Fellini gli propone il personaggio cultura 7 Sabato, 15 dicembre 2012 Lo ricorderemo anche come un grande del teatro italiano cia: sguardo malinconico di Casanova (il protagonista, poi, sarà Donald Sutherland), prima di accettare Gian Maria vuole sapere per filo e per segno quali sono le “intenzioni” artistiche e culturali del Regista; il che manda Fellini in crisi: è Rosi a raccontarlo; riferisce che il grande Riminese gli aveva detto: “Voleva sapere da me cose che nemmeno io so, io invento durante le riprese, giorno per giorno...”. Un “no, grazie”, anche a Michelangelo Antonioni... Insomma, altro che “comunista da salotto”... e poi dà soldi al partito e ai gruppi extraparlamentari. Durante la lavorazione de “Il Sospetto”, a Torino, paga di tasca propria una giornata di lavoro alla troupe e alla produzione, perché vuole essere vicino, anche fisicamente, ai lavoratori della ‘Leyland Innocenti’ che occupano la frabbrica in segno di protesta verso la proprietà che la vuole smantellare... Tra il 1970 e il 1976, il cinema italiano è Gian Maria Volonté. I film li ho già citati all’inizio. Tutto cambia, quasi di botto, nella seconda metà del decennio. Il terrorismo BR alza la mira. Non uccide solo magistrati, poliziotti, giornalisti, sindacalisti, politici. Ammazza anche qualsiasi voglia, desiderio, speranza, ipotesi di cambiamento sociale e politico in Italia. Ciò, assieme alla nascita dell’emittenza televisiva privata che erode ampie fette di pubblico al cinema, la massiccia importazione di film americani, che influiscono sui gusti e l’invecchiamento dei grandi cineasti-artisti italiani e stranieri, comporta il de profundis per il Cinema di denuncia sociale e politico. Inoltre, i De Laurentiis ed i Ponti se ne sono già andati dall’Italia, Cristaldi, Grimaldi e Lombardo sono spiazzati. Si ricorre a coproduzioni internazionali, ma con prodotti pensati più per il mercato estero (da dove arriva il grosso dei capitali) che non per quello italiano. Entra in campo la RAI, è una sana iniezione di danaro, ma anch’essa è interessa- Sulla scena del film “Per un pugno di dollari” ta a tematiche politicamente non impegnate/impegnative. Del resto, nessuno meglio della dirigenza dell’ente radiotelevisivo di Stato è a conoscenza del summenzionato mutamento dei desiderata della platea cinematografica: è subentrato uno spettatore privo di appetiti politico-culturali e artistici. È un momento in cui Gian Maria Volonté è costretto a tirare i remi in barca. Fa un breve ritorno al teatro e mette in scena “Girotondo” di Arthur Schnitzler, con Carla Gravina. Ma anche il teatro è in disarmo. I grandi enti pubblici, al pari delle compagnie private, propendono per un teatro “gastronomico” - diceva Brecht - magari con tanti classici in repertorio, ma a base di allestimenti tutti trine e merletti. Ciò nondimeno, Volonté resta un artista interessante e appetibile, ovunque. Certo, sono A intermittenza fa teatro. Nell’anno in cui sullo schermo fa il pistolero, in un buco del centro di Roma, con suo fratello, altri colleghi e l’attore e regista Carlo Cecchi mettono in scena “Il Vicario”, un dramma tedesco che accusa Pio XII di contiguità col nazismo. La polizia interrompe e poi vieta del tutto lo spettacolo: “È contrario allo spirito del Concordato” film a più basso costo, quasi di nicchia. Ma ci sono. Prima però di tornare a girare Gian Maria ha da vedersela con la salute: fuma come una ciminiera, cancro ai polmoni, operazione. Riuscita, ma continuerà a fumare... Riprende l’attività nel 1983: “La morte di Mario Ricci” dello svizzero Claude Goretta, e Palma D’Oro a Cannes come migliore attore protagonista. Un paio di anni dopo, con Beppe Ferrara, dà vita a “Il Caso Moro” in cui, oltre a fare un ritratto umanissimo del leader democristiano assassinato dalle Brigate Rosse, irride all’imbecillità politica, culturale, ideologica dei terroristi. Torna a lavorare con Rosi. Si erano lasciati, con un romanzo cinematografato - “Cristo si è fermato a Eboli”: un saggio, il suo, di recitazione e di mimetica – si ritrovano con un altro roman- zo, “Cronaca di una morte annunciata” di Gabriel Garcia Marquez. A ruota, ecco “Un ragazzo di Calabria” di Luigi Comencini, in cui l’apporto di Volonté è eccezionale. Subito dopo si reca in Belgio e per Andre’ Delvaux indossa i panni del medico e alchimista Zenone, nella descrizione che ne fa Marguerite Yourcenar nel romanzo “L’Opera al Nero”, che sarà anche il titolo del film. Infine, da segnalare quattro delle ultime sei pellicole girate: “Tre colonne in cronaca”, con Carlo Vanzina; “Porte aperte”, con Gianni Amelio; “Una storia semplice”,con Emidio Greco, tratto dall’omonimo romanzo del “suo” autore: Leonardo Sciascia. Prima di quello che sarà il suo ultimo film, a Velletri, fa rivivere attraverso il coinvolgimento di tutta la cittadinanza, in una sorta di “teatro totale in piazza”, un bombardamento subito dalla città, nel 1944, tratto dal diario di un sacerdote diventa uno spettacolo che attira numeroso pubblico. Infine, arriva “Il tiranno Banderas/Tirano Banderas”, con José Luis García Sánchez: un ritorno all’antico, film politico al cento per cento. È il 1993, il suo ultimo film. E l’ultimo riconoscimento, il Seminci: migliore attore della Semana Internacional de Cine de Valladolid. Ed eccoci all’inverno del 1994. Si gira da alcuni giorni, quando, la notte, Gian Maria Volonté è colpito da un infarto. Fatale. La notizia rimbalza in Italia, dove si scopre che sia l’Uomo che l’Artista erano amati di gran lunga di più di quanto si pensasse. 8 cultura Sabato, 15 dicembre 2012 A V A V I I T A R R A C Jamie Oliver 30 minut za kosilo Mladinska knjiga A A N A I T T A R I R T S A I Sylvia Day Predana Mladinska Knjiga C A N C A I R L R B A B Ian Kershaw Hitler Cankarjeva založba I C N U T I Erich von Daniken Povijest je u krivu VBZ P German – Hoch Živeti zakon privlačnosti Mladinska knjiga E.L. James Pedest odtenkov sive Žepna knjiga S T King - Ellis Kompas VBZ I S Dušan Mlacović Plemstvo i otok Leykam C I E.L. James Cinquanta sfumature di rosso Mondadori Paolo Rumiz Trans Europa Express Feltrinelli Jo Nesbo Žohari Profil Ali Žerdin Omrežje moči Mladinska knjiga Jo Nesbo Brezskrbno Didakta I C Andrea Scanzi Ve lo do io Beppe Grillo Mondadori Howard Phillips Lovecraft Kroz dveri snova Zagrebačka naklada Tvrtko Vuković Tko je u razredu ugasio svijetlo? Meandarmedia L I E.L. James Cinquanta sfumature di grigio Mondadori Zoran Ferić Apsurd je zarazna bolest VBZ B L Gianpaolo Pansa La guerra sporca Rizzoli Naomi Klein Doktrina šoka Mladinska knjiga Hellstrom – Roslund Tri sekunde Mladinska Knjiga B B Marco Malvaldi Milioni di Milioni Sellerio B Bruno Vespa Il palazzo e la piazza Mondadori Ken Follett Propad velikanov Mladinska Knjiga U Jonathan Safran Foer Jesti životinje Algoritam Robert Lyndon Potraga za sokolom Fraktura IN SLOVENIA P Pascal Mercier Noćni vlak za Lisabon Profil U Lilli Gruber Eredità Rizzoli E.L. James Cinquanta sfumature di nero Mondadori IN CROAZIA P Daniel Pennac Storia di un corpo Feltrinelli V I LIBRI PIÙ VENDUTI IN ITALIA NOVITÀ IN LIBRERIA La veracità dei rapporti di Sepùlveda e le incriminazioni di Slavenka Drakulić Dicembre, mese di feste e regali e un buon libro è sempre gradito. Nelle librerie italiane ritorna Luis Sepùlveda con Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico (Guanda) Chi non ricorda la bellissima ‘Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare’? Come dimenticare la commovente vicenda della gabbiana Kengah? A sedici anni di distanza dal besteller che ha conquistato il pubblico dei bambini e degli adulti, Sepúlveda torna a scrivere un’altra storia di amicizia fra esseri molto diversi fra loro. Questa volta siamo a Monaco. Max è un ragazzo come tutti gli altri ma ha un amico speciale, il gatto Mix, con cui condivide il suo appartamento. La storia è semplice e spontanea, così come il pubblico cui è indirizzato: i bambini, ma anche gli adulti-bambini, in grado di cogliere l’essenzialità e la veracità dei rapporti, soprattutto quelli che, dopo un’iniziale diffidenza, si instaurano fra esseri molto diversi e distanti fra loro. Il linguaggio è quello diretto, naturale e disambiguante di chi non teme la verità e punta dritto al sodo. Dopo il famoso “maghetto” ecco ritorna J.K. Rowling con il primo romanzo per adulti, Il seggio vacante (Salani) è una storia ricca di humor nero, capace di sorprendere e far riflettere. A chi la visitasse per la prima volta, Pagford apparirebbe come un’idilliaca cittadina inglese. Un gioiello incastonato tra verdi colline, con un’antica abbazia, una piazza lastricata di ciottoli, case eleganti e prati ordinatamente falciati. Ma sotto lo smalto perfetto di questo villaggio di provincia si nascondono ipocrisia, rancori e tradimenti. La morte di Barry Fairbrother, il consigliere più amato e odiato della città, porta alla luce il vero cuore di Pagford e dei suoi abitanti e la lotta per il suo posto all’interno dell’amministrazione locale è un terremoto che sbriciola le fondamenta, che rimescola divisioni e alleanze dove emerge una verità spiazzante, ironica, pu- rificatrice: che la vita è imprevedibile e spietata, e affrontarla con coraggio è l’unico modo per non farsi travolgere, oltre che dalle sue tragedie, anche dal ridicolo. Milioni di milioni (Sellerio) di Marco Malvaldi è un romanzo che inizia con l’ironica freschezza di una barzelletta, e che poi, gradualmente, come i milioni di milioni di fiocchi di neve che si posano al suolo di Montesodi, si trasforma in una storia articolata e complessa fino ad assumere i toni di un giallo avvincente. Il tutto condito da una lingua ai limiti del vernacolare, funzionale alla creazione dell’intreccio e alla resa dei personaggi. Un libro piacevole che alterna elementi comici a stralci narrativi più profondi e complessi, divertente e al tempo accattivante. Insomma, siamo in pieno stile Malvaldi che, neanche stavolta, delude le aspettative del lettore e anzi lo incoraggia a seguire le gesta del malcapitato personaggio. Nelle librerie croate, segnaliamo il romanzo Klub nepopravljivih optimista (Vuković&Runjić) di Jean-Michel Guenassia. Un libro coraggioso che racconta di un gruppo di apolidi scappati dai paesi dell’est per salvarsi la vita in piena epoca staliniana, buoni comunisti (non tutti) che lasciano il loro paese con disperazione e che al loro arrivo in Francia sono messi in disparte in quanto simbolo di una tragedia in corso di cui nessuno degli europei, per vari motivi, vuole sapere. Avvincente e intenso, al di là dell’esperienza personale del protagonista che funge da filo rosso e lega le avventure e il passato degli altri personaggi. Non soltanto un romanzo tipicamente “francese”, da godersi appieno, ma anche e soprattutto uno spaccato di vite vissute, da un mondo che effettivamente conosciamo poco e su cui le illazioni si sprecano. Non si tratta di un saggio storico, Anno VIII / n. 69 del 15 dicembre 2012 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina / Progetto editoriale di Silvio Forza Art director: Daria Vlahov Horvat / edizione: CULTURA Redattore esecutivo: Silvio Forza e Diana Pirjavec Rameša Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Patrizia Lalić, Viviana Car, Paolo Quazzolo Foto: Goran Žiković La redazione del presente inserto ha consultato i siti: www.knjiga.hr, www.kulturaplus.com, www.sveznazdor.com www.svetknjige.si, www.emka.si, www.librerie.it, www.italialibri.net, e la rivista “Arte” (Giorgio Mondadori Editore) si tratta di un intreccio di vite, di drammi che possono fare anche a meno della precisione dello storiografo. Santiago Roncagliolo presenta il suo primo romanzo Crveni travanj (Edicije Božičević). Un giallo, o meglio ancora un noir, dove il lettore troverà, o crederà di aver trovato, le risposte alle domande che si succedono lungo le pagine del libro, a cominciare ovviamente da quella primigenia: chi è il colpevole? Chi ha compiuto i delitti? E tuttavia, al di là della soluzione di questi enigmi, resterà sospesa l’impressione insopprimibile che la vera colpa è condivisa da tutti, dall’intera comunità di Ayacucho e più oltre, al fondo di tutte le cose, dal genere umano. Il volume si presenta diverso, interessante, ben scritto e coinvolgente, si sviluppa su trame ben diverse dai soliti serial killer americani. Slavenka Drakulić si ripresenta con un’opera di forte impatto emotivo Optužena (VBZ). In nome dell’amore anche la violenza è permessa. Molte sono le tonalità che descrivono un rapporto coniugale che in un momento scoppia come una bolla di sapone. Le vicende che seguiranno porteranno ad un forma di amoreodio tra madre e figlia allevata tra violenza e punizioni. Sempre corretta nella sue descrizioni, a volte dai toni forti, la Drakulić, ha ancora una volta dimostrato di essere un autore ai ai vertici della letteratura croata contemporanea. Viviana Car